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Da STELLANTIS a STALLANTIS!

Per avere la conferma che la demagogia è contraria a ogni legge economica e naturale abbiamo dovuto caderci a piè pari, mettendo a rischio, oltre all’ambiente, anche la società civile, l’economia e il lavoro. 

L’industria automotive europea è tutta completamente in crisi. Inseguire la politica del Green Deal solo in Europa, lasciando gli altri continenti a proseguire nelle loro politiche espansive ha definitivamente messo il vecchio continente all’angolo. 

Il paradosso, ma inacetato dai 300 milioni di cervelli anestetizzati dalle favole pseudo ambientali, pseudo pacifiste e pseudo comuniste, è ben visibile, ad esempio, dalla destinazione delle nostre auto euro 4 nel continente africano, come se là non avranno modo di inquinare quanto in Europa questo nostro comune pianeta.

Sono anni che dalle nostre colonne sosteniamo il pericolo di questa politica antiscientifica e onerosa per i cittadini. Noi, con la nostra misera cultura scolastica, con quelle minime competenze economiche e di marketing e sociali, avevamo tutto previsto.

Ma le “Gretinate” hanno avuto molto più appeal delle competenze e soprattutto del buonsenso.

Questi grandi e ricchissimi CEO delle potenze industriali non hanno voluto ascoltare i dubbi, che non possono non aver avuto. Tanto le loro provviste sono e saranno sempre milionarie, nonostante le crisi e le centinaia di migliaia di posti di lavoro che si potranno perdere, oltre all’indotto che seguirà immediatamente dopo la crisi di quella o quell’altra casa automobilistica.

Ecco che all’inizio della settimana, le borse hanno gridato vendetta, almeno quelle europee. Già, perché mentre Stellantis perdeva oltre il 15% e Milano quasi il -2% le borse asiatiche crescevano a due zeri (+15% circa). 

Stellantis in una settimana ha perduto quasi il 45% mandando in fumo 50 miliardi di capitalizzazione.

Tavares, il CEO del gruppo, sta rilanciando l’idea della fusione con Renault, come se fondendo due organismi in crisi si generasse una impresa positiva. 

Il risultato più probabile e prevedibile è un peggioramento di tutti i numeri e la giustificazione a portare un ennesimo riordino negli impianti produttivi che si tradurrebbe nel licenziamento di molto personale e la adozione di procedure di salvaguardia statali, come la Cassa Integrazione, che graverà sui conti dei cittadini e non certamente sui ricchi azionisti e mega manager che invece faranno la figura dei salvatori della patria.

Eppure la crisi dell’auto europea, sottoposta ai diktat pseudoambientali, già diede un segnale forte con la crisi  del Dieselgate  che coinvolse il gruppo Volkswagen del 2015, quando, avendo introdotto un software di frode in grado di accorgersi del test di analisi dei parametri di emissione dei gas; un tentativo per non adeguarsi ai parametri ambientali tanto inutili quanto onerosi. 

Se i tedeschi furono scoperti, non si esclude però che anche le altre case automobilistiche qualche sistema di manomissione dei dati possono averla adottata. 

Infine, la follia dell’elettrico a tutti i costi, in assenza di sufficienti materie prime, di sufficiente capacità distributiva e di sicurezza dell’energia, ha dato il colpo di grazia.

La stessa Volkswagen si è data due anni per riparare i danni e sta negoziando con lo Stato la chiusura di almeno una fabbrica di produzione di auto elettriche.

 “Il mondo è diventato più insidioso anche per realtà un tempo inattaccabili. – scrive “Il Sole 24 Ore” Il lusso in Borsa, per esempio. Ci siamo lasciati alle spalle la settimana in cui ha tremato perfino Lvmh. Utili e margini lontani dalle attese hanno fatto crollare i titoli del settore. Proprio il colosso guidato da Bernard Arnault negli ultimi 12 mesi ha subito un calo di oltre il 20%. Lo stesso si può dire di un’altra big del lusso come Kering. Di converso, l’indice S&P 500 è salito di oltre il 20% grazie soprattutto alle Big Tech. Una delle ragioni sta certamente nella crisi immobiliare cinese, che ha reso molti ricchi meno ricchi. E a pagare dazio c’è anche un brand che è sinonimo di sport e lusso, ma ha a che fare con i motori. Gli ultimi sei mesi per la tedesca Porsche sono stati particolarmente turbolenti. E guarda caso le vendite in Cina sono crollate: -33 per cento. “

Già altri comparti, quindi, sono stati attaccati dalla crisi. 

Tutto si è fatto per promuovere il sorpasso cinese sull’industria automotive europea.Partiamo da uno sguardo ai dati mondiali: nel 2023, nel mondo, sono state immatricolate circa 65,3 milioni di autovetture. Di queste, quasi 7 su 10 sono state immatricolate in Asia. È ovviamente la Cina a farla da padrona, con poco più di 26 milioni di nuove immatricolazioni. Colpisce un dato: se sommiamo alle vendite dell’intera Europa (15 milioni fra Europa Occidentale e Orientale) quelle degli Stati Uniti (poco più di 3 milioni), rimaniamo comunque lontani dal numero di vetture vendute in Cina.

E infine, proseguiamo pure con il sostegno all’Ucraina, giusto per farci del male vero. … Intanto USA, Cina e anche la Russia ridono di noi!

Dal Green Deal al Dark Deal e dallo Stellantis alle Stallantis il passo verso la Deep Crisis è molto breve!

Lamberto Colla – Direttore

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