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Dall’Iraq all’Iran: la prossima provetta della fabbrica delle bugie

Le guerre non iniziano con le bombe. Iniziano con le bugie.

Un’immagine. Una frase ad effetto. Una “provetta” agitata con fermezza davanti all’ONU. Il resto è solo conseguenza. Morti civili, città rase al suolo, democrazie sospese. L’Iraq lo ha imparato nel 2003. Ma noi, vent’anni dopo, ancora no.

Le menzogne dell’amministrazione Bush sull’arsenale chimico di Saddam Hussein sono ormai storia. Eppure, quella storia sembra oggi una sceneggiatura riciclata. Cambiano i nomi, non il copione. L’obiettivo ora è l’Iran. E di nuovo si parla di “armi di distruzione di massa”, di “minacce nucleari imminenti”. Senza uno straccio di prova verificabile. Senza un confronto serio, trasparente, pubblico.

Questa non è difesa. È narrazione. E serve a preparare l’opinione pubblica, noi, ad accettare l’ennesima guerra.

Perché le guerre, oggi, non si dichiarano più: si giustificano.

E allora torniamo a chiederci: chi ha diritto di possedere armi nucleari? L’Iran no, Israele sì? Sulla base di cosa? Di quale principio? Mentre l’arsenale israeliano resta ufficialmente “non dichiarato” ma concretamente attivo, l’Iran viene condannato per le sue intenzioni presunte.

Ma davvero siamo ancora disposti a credere alla favola della “democrazia baluardo dell’Occidente”, quella che bombarda Gaza, massacra l’intera popolazione, blocca gli aiuti umanitari, ma si presenta al mondo come esempio morale?

E davvero pensiamo che la libertà delle donne iraniane si conquisti con i missili? O che i diritti si esportino con i droni?

Non è questione di prendere posizione per un regime o contro un altro. È questione di non accettare più passivamente il racconto preconfezionato del potere. È questione di porci una domanda semplice, urgente, civile: ci stanno raccontando di nuovo una bugia?

I segnali ci sono tutti. Linguaggio emotivo, nemico di turno, appelli alla sicurezza, rimozione del dibattito critico. E poi la censura. La disinformazione a senso unico. L’isolamento di chi prova a dubitare.

L’opinione pubblica ha un dovere: non credere sulla parola. Pretendere prove. Pretendere trasparenza. E soprattutto: ricordare. Ricordare che ogni bugia di guerra ha un prezzo. E a pagarlo non sono mai quelli che la raccontano.

Nel silenzio dei media mainstream, sono già centinaia i civili iraniani uccisi da attacchi “mirati”. E il numero crescerà. Perché il copione è sempre lo stesso: si crea un nemico, si semina paura, si scatena il fuoco.

L’Occidente ama raccontarsi dalla parte giusta della storia. Ma la verità è che ci stiamo scavando una fossa con le nostre stesse mani. Perché a furia di mentire, di manipolare, di usare i diritti umani come manganelli diplomatici, abbiamo bruciato ogni credibilità. Il mondo lo capisce. Ci tollera ancora, ma non ci crede più.

Oggi ci dicono che l’Iran va fermato. Ieri era Saddam. Domani sarà qualcun altro. La domanda è: quante provette ci servono ancora per capire che ci stanno preparando a una guerra? Perché la prossima potrebbe costarci molto cara.

Andrea Caldart

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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