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Desertificazione bancaria: un’Italia senza sportelli, comunità abbandonate, ma con occhi ovunque

C’era una volta la banca di quartiere. Il direttore che ti conosceva per nome, lo sportello dove l’anziano ritirava la pensione, la piccola impresa che otteneva credito perché qualcuno aveva il coraggio di guardarla in faccia, non solo sullo schermo di un algoritmo.

Oggi quel mondo è stato smantellato. Oggi, siamo il Paese più sorvegliato, ma meno servito. Un’Italia dove oltre 3.381 comuni non hanno più una filiale bancaria. Un italiano su dieci, 4,6 milioni di persone, è rimasto senza sportello. Eppure, nessuno grida. Nessuno si scandalizza. Nessuno si oppone.

Perché? Perché dietro questa desertificazione bancaria non c’è solo un calcolo economico. C’è un disegno. Preciso. Asettico. Invisibile.

Le banche chiudono, ci dicono, perché “i servizi si digitalizzano”. Ma non è il progresso ciò che ci sta travolgendo. È la sorveglianza mascherata da innovazione. È l’obbligo strisciante di usare strumenti digitali per ogni pagamento, ogni bonifico, ogni respiro finanziario, che oltretutto ha un costo per noi, e un guadagno senza far nulla, per l’istituto di credito.

La banca sotto casa sparisce. Al suo posto, una app. Sempre connessa. Sempre tracciata. Sempre profilata. Un bancomat diventa una telecamera invisibile sulle nostre scelte quotidiane. Non è più solo una questione di accesso. È una questione di controllo.

Nel frattempo, milioni di over 65 vengono abbandonati davanti a uno schermo che non sanno usare. Sono persone che hanno lavorato una vita, che hanno vissuto con la banca sotto casa come presidio di fiducia. Oggi devono destreggiarsi tra app, codici OTP, token elettronici, e assistenze vocali che non ascoltano nessuno. Il risultato? Sono esclusi. Letteralmente. Espulsi dal sistema.

Nei piccoli comuni, nei borghi appenninici, nei paesini di montagna come nelle aree interne delle isole maggiori, dove vivono spesso meno di 2.000 anime, lo sportello bancario era l’ultimo avamposto di civiltà, insieme alla posta e alla farmacia. Ora resta solo il silenzio. File chilometriche nei comuni vicini per un bonifico. Anziani costretti a delegare figli o nipoti per qualsiasi operazione, con la perdita totale dell’autonomia finanziaria. È una forma moderna di analfabetismo digitale imposto, che colpisce chi non ha colpe, ma paga le conseguenze di scelte calate dall’alto.

E le piccole imprese? Gli artigiani, i commercianti, gli agricoltori? Hanno perso l’interlocutore umano, quello che conosceva il territorio, che ti dava fiducia guardandoti negli occhi, non leggendo un punteggio di rischio su un algoritmo. Senza filiali, non si accede al creditonon si incassa in contantinon si lavora.

Le aree interne si svuotano, ma non per fatalità. Si svuotano perché qualcuno ha deciso che non valgono più niente. E mentre tutto questo accade nel silenzio generale, le grandi banche e le piattaforme digitali ingrassano: aumentano i profitti grazie alle commissioni sui pagamenti elettronici, trasformando ogni singola transazione in un flusso di guadagno e dati da monetizzare.

È un piano silenzioso, ma chiaro: dove c’erano comunità, vogliono lasciare solo clienti. Dove c’erano relazioni umane, vogliono algoritmi. Dove c’era vita, vogliono numeri.

Se non ci svegliamo ora, domani non ci sarà più nessuno a cui raccontare cosa significava davvero “andare in banca.

Una società che obbliga i cittadini a “farsi digitali” per sopravvivere è una società che ha deciso di normalizzare la rinuncia alla libertà. Perché non si può pagare una pagnotta senza lasciare traccia? Perché non si può più gestire i propri risparmi senza dover accettare di essere schedati, scannerizzati, interpretati da qualche intelligenza bancaria?

La desertificazione bancaria non è solo una crisi di servizi. È un attacco alla sovranità finanziaria del cittadino. È la trasformazione silenziosa del nostro sistema economico in un ecosistema chiuso, dove l’unico modo per accedere alla tua stessa ricchezza è piegarti a terminali e regole imposti da altri.

E allora, svegliamoci. Ma sul serio. Prima che non chiudano solo le banche, ma ci venga chiusa in faccia anche la possibilità di dire di no.

Oggi chiudono uno sportello. Domani, ed è un domani che bussa già oggi, ci tolgono il diritto di disporre liberamente dei nostri soldi. Perché non lo decide più lo Stato. Non lo decide più la comunità. Lo decide una piattaforma privata. Un server. Un algoritmo. Una policy aggiornata nottetempo.

Pensiamoci: i nostri soldi non sono più sotto il nostro materasso. Non sono nemmeno più in una banca “fisica”. Sono righe di codice controllate da soggetti che non eleggiamo, che non rispondono a noi, e che da un giorno all’altro possono bloccare un conto, negare un’operazione, congelare un pagamento.

E non serve immaginare scenari distopici: succede già oggi. Succede quando un pagamento viene rifiutato “per sicurezza”. Succede quando il sistema ti dice “limite superato”. Succede quando non puoi più prelevare perché nessuno sportello è rimasto.

Non è solo una rivoluzione digitale. È una sostituzione di potere. Ci stanno espropriando, lentamente e con metodo, non dei soldi, ma del controllo su di essi. E lo fanno mentre ci distraggono con la comodità, con il cashback, con il tap-to-pay. Ma la verità è che non stiamo diventando più liberi: stiamo diventando più dipendenti.

Il rischio è enorme. Perché senza sportelli, senza contatto umano, senza alternative, non abbiamo più nessun diritto reale di scelta. Non possiamo dire “preferisco il contante”. Non possiamo dire “parlo con il direttore”. Non possiamo dire “voglio uscire da questo sistema”. Perché non ci sarà più nessun sistema alternativo da cui uscire.

Questo è l’allarme. Questo è il punto di rottura. O lo comprendiamo adesso, o domani non ci resterà che chiederci, in silenzio, da dietro un PIN, dove abbiamo sbagliato.

Andrea Caldart

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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