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Draghi contro Draghi: il “santo” ha finito i “miracoli”

L’ex presidente del Consiglio, ex capo della BCE, ex Goldman Sachs, insomma l’uomo delle banche mai eletto da nessuno Mario Draghi, ha parlato al Parlamento europeo. 

Un discorso che è sembrato la fotocopia sbiadita del suo solito mantra: più integrazione, più unione bancaria, più mercato unico. E, ovviamente, più debito pubblico condiviso. Perché, a quanto pare, per Draghi la soluzione ai problemi dell’Europa passa sempre per una ricetta che nessun cittadino ha mai avuto la possibilità di scegliere.

Draghi continua a proporsi come il salvatore della patria, ma questa volta senza nemmeno uno straccio di mandato democratico. Il problema non è solo il contenuto delle sue proposte (sempre più debito, sempre più potere ai tecnocrati, sempre meno sovranità nazionale), ma il modo in cui le impone: dall’alto, senza confronto, senza il minimo tentativo di interagire con le forze politiche e coinvolgere l’opinione pubblica.

Per Draghi la democrazia è un fastidio, un problema secondario. Conta solo la “stabilità” economica, quel dogma che negli anni della BCE si è tradotto in politiche di austerità per i cittadini e salvataggi miliardari per le banche. E ora? Ora ci propone un “whatever it takes” 2.0, senza neanche il pudore di fingere che il popolo possa dire la sua.

Draghi non ha mai avuto bisogno di legittimazione popolare. È stato messo alla guida della BCE senza essere eletto. È stato catapultato a Palazzo Chigi grazie a un’operazione di palazzo, senza passare per le urne. Ora pontifica da Bruxelles, pretendendo di dettare l’agenda per il futuro dell’Europa. Ma chi gli ha dato questo mandato? Chi ha deciso che dobbiamo cedere altri pezzi di sovranità sull’altare del debito comune?

L’Europa che Draghi sogna è una macchina burocratica senza anima, governata da numeri e algoritmi, dove i popoli non contano nulla. Un’Europa in cui le scelte fondamentali non vengono prese dai cittadini, ma da una ristretta cerchia di tecnocrati che giocano con i destini delle nazioni come fossero pedine su una scacchiera.

Draghi ci ha già dimostrato cosa significa il suo concetto di governance: rigore per i deboli, salvataggi per i forti, zero spazio per la democrazia. Ora pretende di rilanciare l’integrazione europea con lo stesso metodo: ordini dall’alto, decisioni prese nelle stanze dei bottoni, e chi osa obiettare viene bollato come populista.

Draghi dimentica che l’ultima parola spetta ai cittadini, non ai tecnocrati.

L’Europa ha bisogno di riforme, certo, ma non di riforme imposte da chi non è mai stato eletto. Il futuro dell’Unione deve passare per un dibattito aperto, democratico, partecipato, non per l’ennesima agenda dettata da un burocrate che non è mai uscito dal voto popolare.

Per quanto ancora dovremo subire lezioni da chi non ha mai ricevuto un mandato rappresentativo? Per quanto ancora dovremmo essere ostaggio di tecnocrati che considerano la volontà popolare un inciampo sulla strada dell’integrazione forzata?

Il “santo” ha finito i miracoli. E forse è arrivato il momento di rimettere la politica nelle mani dei cittadini, e non dei banchieri europeisti-atlantisti.

Andrea Caldart

Foto copertina: credits dal web

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