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Home Attualità Italia Due pesi, due misure: l’ipocrisia occidentale tra Sumy e Gaza

Due pesi, due misure: l’ipocrisia occidentale tra Sumy e Gaza

Quando i russi bombardano, è “crimine di guerra”. Quando lo fa Israele, è “legittima difesa”. La stampa occidentale ha smesso di informare e ha scelto di schierarsi.

Domenica scorsa, la cittadina ucraina di Sumy è stata colpita da un raid aereo russo. I media occidentali non hanno perso tempo: prime pagine infuocate, editoriali indignati, dichiarazioni al vetriolo. I titoli? Sempre gli stessi: “Massacro”, “Atto barbarico”, “Crimine di guerra”. E forse lo è davvero. Ma il problema non è questo. Il problema è che la bussola morale dell’informazione si spegne quando a lanciare le bombe non è Mosca, ma Tel Aviv.

Lo stesso giorno, o giù di lì, in Medio Oriente accade l’ennesimo orrore: un ospedale palestinese viene centrato da un missile israeliano. Decine di morti, molti dei quali bambini, medici, civili inermi. Una tragedia. Eppure, stavolta i titoli sono più cauti: “Colpita una struttura ospedaliera”, “Contesto complesso”, “Israele indaga”. L’indignazione? Sospesa. I talk show? Silenziosi. L’orrore? Minimizzato o, peggio, giustificato.

Tutto questo si traduce solo con una parola: propaganda.

Perché un’informazione che dosa l’indignazione in base al passaporto dell’aggressore non è più informazione, è complicità. L’Occidente, che si fregia di valori democratici e umanitari, mostra ogni giorno di più il volto deformato di un doppio standard disgustoso. I civili ucraini valgono, i civili palestinesi noIl razzo russo è terrorismo, quello israeliano è autodifesa. Un funerale a Kyiv merita le prime pagine, una strage a Rafah o Gaza finisce in fondo al notiziario, sotto le previsioni meteo.

Questo non è solo cinismo, è disumanizzazione. È l’incapacità, o la non volontà, di riconoscere che ogni vita umana ha lo stesso valore, che il dolore non ha una bandiera, che la sofferenza non ha cittadinanza. Ma evidentemente, per certa stampa, sì.

Dove sono i cronisti coraggiosi? Dove sono gli inviati che mostrano immagini senza filtri, che mettono a nudo le contraddizioni di chi parla di pace mentre arma le mani degli aggressori? Dove sono le voci libere?

Siamo rimasti in pochi liberi perché tutti gli altri, forse troppo occupati a ricopiare, parola per parola, i comunicati delle ambasciate “amiche”, a impacchettare la realtà con il nastro adesivo della “moderazione”, mentre sotto sotto si applaude un solo fronte, sempre lo stesso. O, peggio ancora, troppo pavidi per scrivere ciò che hanno visto coi loro stessi occhi: che sotto le macerie non ci sono solo corpi, ma anche verità sepolte.

Perché qui non si combatte solo una guerra di bombe e droni. Si combatte una guerra di narrazioni. Una guerra in cui la verità è diventata bersaglio militare. E se non ce ne accorgiamo, se continuiamo a leggere e condividere senza farci domande, senza chiedere “chi decide cosa vale indignazione e cosa no?”, allora anche noi, lettori, spettatori, cittadini, diventiamo comparse di un copione scritto da altri. Un copione dove la dignità dell’informazione è stata la prima ad essere giustiziata. E in silenzio.

Se quei giornali, quegli editori, quei direttori, quei giornalisti, quella stampa sono davvero il quarto potere, oggi stanno scegliendo di essere i quarti complici. E la storia non sarà clemente con chi ha scelto il silenzio quando avrebbe dovuto urlare.

Andrea Caldart

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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