Sono passati cinque anni, ma la ferita lasciata dalla pandemia di Covid-19 rimane aperta, sanguinante, ignorata. Cinque anni di silenzi, di domande senza risposta, di responsabilità schivate, di inganni avvolti in una coltre di retorica funzionale al sistema.
E oggi, più che mai, si ha la sensazione che quegli anni siano stati un incubo collettivo senza alcun risveglio di coscienza.
Ricordiamo il silenzio irreale delle strade, le città trasformate in spettri di sé stesse, la paura insinuata in ogni casa, in ogni sguardo. Ricordiamo la triste carovana militare della bergamasca con le bare delle vittime di Alzano Lombardo. I sacchi neri nei quali venivano rinchiusi i corpi delle persone trasformate in numeri, trattati come rifiuti, senza un ultimo saluto dei propri cari, senza una dignità. Ricordiamo l’angoscia di chi, dietro le mura di una terapia intensiva, ha esalato il suo ultimo respiro da solo, senza una mano da stringere, senza il conforto di una voce familiare mentre il personale sanitario, in vari casi, si filmava in balletti di gruppo.
E oggi? Oggi tutto è stato archiviato con la sconcertante leggerezza della memoria collettiva. Nessuna verità, nessuna spiegazione, nessuna scusa. Chi ha imposto chiusure indiscriminate, chi ha deciso protocolli mortali, chi ha ignorato il grido di aiuto di medici e infermieri, chi ha spinto per misure tanto drastiche quanto cieche, oggi vive senza alcuna conseguenza.
Chi ha speculato sulla sofferenza, chi ha gestito i fondi pubblici senza alcuna trasparenza, chi ha trasformato la pandemia in un’occasione per rafforzare il proprio potere, oggi siede ancora nei palazzi dorati della politica, intoccabile, impunibile, protetto da un sistema marcio fino al midollo.
Hanno fatto carriera sulla pelle dei morti, hanno riempito le loro tasche con la disperazione della gente, si sono garantiti immunità mentre la popolazione veniva sacrificata. Nessuno di loro ha pagato. Nessuno di loro ha mai dovuto rispondere di nulla. Perché la politica non conosce vergogna, non conosce giustizia, non conosce responsabilità.
È un’élite autoreferenziale, una casta di intoccabili che si assolve da sola, mentre il popolo piange i suoi morti e si porta addosso il peso di un’ingiustizia senza fine.
La giustizia? Un miraggio. Le inchieste aperte sono naufragate nell’oblio, le commissioni di indagine si sono trasformate in teatrini senza sostanza, gli scandali sono stati sepolti sotto montagne di burocrazia e indifferenza. Si è parlato di errori, di difficoltà, di “momenti drammatici”. Ma la realtà è un’altra: non si è trattato solo di una catastrofe gestita con imperdonabile superficialità o un disastro umano su cui nessuno ha avuto ancora oggi il coraggio di fare luce, ma di un’azione pianificata da anni per il controllo autoritario di pochi sul mondo.
Non abbiamo imparato nulla. La lezione più importante – quella dell’umanità, della trasparenza, della responsabilità – è stata cancellata con la stessa velocità con cui sono state eliminate le restrizioni.
Oggi siamo tornati alla normalità, ma è una normalità costruita sulle macerie di chi non c’è più, sulla sofferenza di chi è rimasto, sulla consapevolezza che il sistema non protegge, non risponde, non si assume responsabilità e lascia i sopravvissuti danneggiati da vaccino alla mercè di sé stessi, sperando che si consumino in un suicidio globale per non lasciare così nessuna traccia.
E allora, cosa resta di quei giorni bui? Resta il senso di tradimento, la consapevolezza che la verità è stata sacrificata sull’altare della convenienza politica ed economica.
E resta una gran parte della società che ha scelto di dimenticare piuttosto che affrontare. E dall’altra parte resta il dolore di una parte di società che nessuno ha mai veramente voluto ascoltare. Ma quello che davvero resta, è soprattutto, una giustizia assente, muta, colpevole, uno stato di diritto che non c’è più.
Andrea Caldart