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Il Papa della “rivoluzione cosmetica”: un bilancio critico del pontificato di Francesco

Nel marzo del 2013, l’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio sembrava annunciare un’epoca nuova per la Chiesa cattolica. Il nome scelto – Francesco – evocava povertà, semplicità, rottura con gli apparati di potere. La sua immagine di papa vicino agli ultimi, attento alla misericordia più che alla dottrina, spinse molti a credere che la Chiesa fosse finalmente pronta a imboccare il sentiero del cambiamento. Eppure, a oltre un decennio di distanza, quel pontificato così carico di speranze sembra oggi aver prodotto ben pochi mutamenti reali. Anzi, per molti osservatori, papa Francesco sarà ricordato come il pontefice della “rivoluzione cosmetica”.

Dietro i gesti simbolici, le lavande dei piedi, i viaggi tra i migranti, le parole accorate contro la “Chiesa autoreferenziale”, si cela un’azione concreta segnata da una profonda continuità con il passato. La “rivoluzione cosmetica” di Francesco consiste proprio in questo: muovere parole, mantenere ferme le strutture. Sul piano delle grandi questioni etiche e istituzionali, la Chiesa cattolica ha vissuto sotto il suo pontificato un periodo di immobilismo, se non addirittura di regressione.

Emblematico è il caso del diaconato femminile. Sin dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco ha raccolto l’appello di molte donne che chiedevano un riconoscimento del loro ruolo ecclesiale attraverso l’accesso al diaconato. Per affrontare il tema, ha istituito ben due commissioni di studio, apparentemente aperte a una riflessione teologica seria e aggiornata. Tuttavia, entrambe le commissioni si sono concluse senza risultati concreti. Anzi, il pontefice ha poi affermato con chiarezza che, per motivi dottrinali, l’ordinazione diaconale delle donne è “teologicamente impossibile”. Una porta chiusa, insomma, dietro l’alibi del discernimento.

Anche sul tema dell’omosessualità, Francesco ha spesso mostrato un volto umano, pronunciando frasi che hanno fatto il giro del mondo, il celebre “Chi sono io per giudicare?” su tutti. Ma a queste parole non è mai seguita una reale apertura dottrinale. Le coppie omosessuali non possono sposarsi né essere benedette sacramentalmente; l’insegnamento ufficiale continua a considerare le relazioni omosessuali “intrinsecamente disordinate”. Più che una rivoluzione, si è trattato di un’operazione di facciata, utile a migliorare l’immagine pubblica della Chiesa ma del tutto priva di ricadute strutturali.

Sul versante della riforma delle strutture ecclesiastiche è rimasto il centralismo, anche se Francesco, aveva promesso fin dall’inizio una “conversione della Curia”. Ha varato una nuova costituzione apostolica, ha istituito il Consiglio dei Cardinali, ha parlato spesso di sinodalità. Ma nei fatti, la Chiesa continua a funzionare come una monarchia assoluta in cui ogni decisione passa attraverso il papa. I meccanismi di potere non sono stati davvero redistribuiti, e la collegialità resta più un ideale evocato che una prassi vissuta.

Infine, la morale cattolica su temi come la sessualità, il divorzio, la contraccezione, l’identità di genere, è rimasta ancorata a una visione preconciliare, nonostante i tentativi di sfumatura contenuti in documenti come Amoris Laetitia. Anche qui, il linguaggio si è fatto più inclusivo, ma le norme restano le stesse. E il magistero continua a esercitare una funzione di controllo piuttosto che di accompagnamento.

Ma tra le scelte più controverse del pontificato va annoverata anche la sua totale adesione alla narrazione ufficiale durante la pandemia da Covid-19. Papa Francesco si è fatto promotore entusiasta della vaccinazione di massa, arrivando a dichiarare che vaccinarsi era un “atto d’amore”, come se una scelta medica individuale potesse trasformarsi, per decreto papale, in un precetto morale universale. Ancora più grave è stato il sostegno esplicito al Green Pass, accettato e applicato persino all’interno del Vaticano, creando una divisione inedita tra “puri” e “impuri”, tra degni e indegni di accedere ai sacramenti. Così, una Chiesa che dovrebbe essere madre di tutti si è trasformata in guardiana del codice QR piegandosi al potere finanziario delle grandi lobbies speculative mondiali. In un tempo in cui serviva discernimento, Francesco ha preferito l’allineamento alla scienza ufficiale, al potere politico, al pensiero unico. Laddove si sarebbe potuto (e dovuto) parlare di coscienza, libertà e prudenza, si è scelto di predicare obbedienza e conformismo.

Il pontificato di papa Francesco verrà forse ricordato per il suo stile comunicativo, per le aperture verbali, per l’immagine di pastore vicino alla gente. Ma se si guarda alla sostanza, ai cambiamenti effettivi operati nella dottrina, nella morale, nella struttura di governo, il bilancio appare assai più modesto. In un’epoca che chiede alla Chiesa il coraggio di reinventarsi, Francesco ha scelto di restare ancorato all’immobilismo, mascherandolo sotto i gesti della modernità.

Un papa della “rivoluzione cosmetica”, appunto: che ha parlato di cammino, ma ha tenuto fermo il timone. Anche quando avrebbe dovuto semplicemente lasciarci respirare.

Andrea Caldart

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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