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Il Verdetto dell’Aia contro Israele e i media mainstream

L’ultimo venerdì di gennaio la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha emesso un verdetto provvisorio sul caso di genocidio lanciato dal Sudafrica contro Israele il passato 29 dicembre, respingendo il tentativo di archiviare il caso da parte di Tel Aviv e imponendogli misure provvisorie.

Il Tribunale dell’Aia ha rotto così il silenzio delle maggiori firme internazionali, che dall’attacco a Israele del 7 ottobre hanno fatto fronte comune per condannare le azioni di Hamas senza degnare mai una parola sul massacro di civili che il Governo Netanyahu sta perpetrando nella Striscia di Gaza, vera e propria prigione a cielo aperto.

Manifestanti pro palestina: www.montecruzfoto.org

La Corte ha tenuto le sedute di udienza con i rappresentanti di Sudafrica e Israele rispettivamente l’11 e il 12 gennaio. L’accusa è stata avanzata ai sensi dell’articolo IX della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio e del primo paragrafo dell’articolo 36 dello Statuto della CIG, che regolano le contese tra Paesi firmatari e le richieste di intervento della Corte. Nello specifico, il Sudafrica ha denunciato Israele di avere violato l’articolo 3 della Convenzione e di avere portato avanti una serie di azioni “con lo specifico intento” di annichilire la presenza palestinese a Gaza, chiedendo inoltre l’imposizione di un cessate il fuoco (la lista di tutti i documenti sul caso è disponibile aggiornata sul sito della Corte).

Israele, di contro, chiedeva che l’archiviazione dell’accusa di genocidio, denunciando il Sudafrica di essere in combutta con Hamas. La Corte, tuttavia, ha respinto tale richiesta e aperto in via definitiva le indagini contro Israele.

Gli ordini imposti dal Tribunale sono 6. La prima misura chiede a Israele di “fare tutto ciò che è in suo potere per prevenire il genocidio”, e, come si legge nella seconda misura, di assicurarsi che i propri militari non uccidano i civili palestinesi né causino loro seri danni fisici o mentali, imponendo ai membri di tale gruppo etnico condizioni di vita indegne o misure atte a prevenire le nascite.

Il terzo ordine impone a Israele di combattere l’incitamento al genocidio, facendo tutto ciò in suo potere, invece, per fornire ­aiuto e assistenza umanitari agli sfollati, come si legge nel quarto punto.

Quinto e sesto ordine impongono invece a Israele di radunare tutte le prove che possano in qualche modo costituire una violazione della Convenzione, e di riportare alla Corte quanto sta facendo per rispettare i suoi ordini.

Ad Hamas ha chiesto il rilascio degli ostaggi.

Nella sentenza della Corte è assente l’ordine di cessate il fuoco richiesto dal Sudafrica, ma è evidente che il Tribunale dell’Aia abbia teso la mano più ai palestinesi che a Israele, elemento che molti quotidiani hanno mancato di comunicare. A tal proposito è importante sottolineare anche come il fatto che Israele non sia ancora stato condannato per genocidio in via definitiva è naturale: le accuse di violazione di Convenzioni internazionali richiedono anni prima di arrivare una sentenza finale, e anche questo risulta un elemento poco considerato dalla stampa mainstream.

La Corte Internazionale di Giustizia ha imposto numerose misure a Israele, ma presenta un problema non insignificante: essa è un organo privo di potere effettivo, che non ha alcuna possibilità materiale per rendere esecutive le proprie decisioni. Sta ai Paesi interessati e alla comunità internazionale fornire una risposta alle sue direttive. In tal senso il blocco dei BRICS, di cui il Sudafrica fa parte, si è spesso mosso a sostegno della Palestina, condannando ripetutamente Israele, tanto che c’è chi vede dietro all’accusa del Sudafrica più una mossa di natura geopolitica che una spinta di carattere umanitario.

Il blocco occidentale che orbita attorno agli USA, invece, ha iniziato solo da poco a far sentire la propria voce, e per quanto stiano arrivando le prime dichiarazioni e le prime condanne, la sua risposta risulta ancora piuttosto timida. L’effetto della sentenza, però, sta iniziando a dare i suoi frutti anche presso i più fervidi alleati di Israele, e se continua così rischia di trovarsi isolato. Non è ancora certo a cosa possa portare questo storico verdetto del Tribunale dell’Aia, ma quel che appare sicuro è che se in tutto il resto del mondo sta iniziando a far sentire la propria eco, a Tel Aviv tira un’aria diversa.

Netanyahu si ostina a portare avanti la guerra e pare non volere mollare la presa, tanto che ha da poco rifiutato la proposta di tregua di Hamas e ordinato la conquista della città di Rafah, nel sud della Striscia. A oggi i civili palestinesi uccisi sono oltre 27.000, mentre quelli feriti superano i 67.000. Il Tribunale dell’Aia, insomma, ha provato a fare la differenza, e in un certo senso sta iniziando a riuscire nella sua impresa; ma il genocidio sta continuando.

Dario Lucisano

Foto: credits dal web

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