Diego Fusaro è filosofo, saggista e docente, scrive su Il fatto quotidiano, ed è conosciuto per le sue idee impopolari e controverse riguardo alla pandemia come metodo di controllo sociale e all’obbligo vaccinale, alla teoria del gender (che chiama Nuovo Ordine Erotico), per le sue critiche alla società dei consumi 2.0, inoltre si è dichiarato sostenitore dell’eurasiatismo del filosofo russo Aleksnder Dugin.
Il grande reset, come lei scrive, ci impone il capitalismo terapeutico di foucoltiana previsione, la narrazione emergenziale come metodo di governo, ci fa credere che la nostra società sia moderna e smagliante con i suoi uteri in affitto, inni alla pace gridati da partiti che sostengono più o meno direttamente il traffico delle armi, con una sinistra egemone che ha perso di vista i lavoratori e ha come eroi megaimprenditori e influencer della moda.
Lei cita spesso Pasolini: aveva ragione quando diceva che ci avrebbe cambiato più la società dei consumi che il fascismo. Non a caso parlava anche di tecnofascismo…tutto è andato storto, o secondo i piani?
Direi che tutto è andato secondo i piani, se guardiamo le cose dalla prospettiva dei gruppi dominanti: non a caso Mario Monti, teorico e teologo dell’economia del libero mercato, disse che la Grecia era il più grande successo dell’Euro (ospite di Gad Lerner alla trasmissione “L’infedele” su La7 il 29 settembre 2011, NdR). Dal suo punto di vista aveva ragione, perché la moneta europea in Grecia è riuscita a massacrare le classi lavoratrici, ad impoverire i ceti medi e a potenziare il dominio usurocratico del capitale. La pandemia e la guerra in Ucraina stanno continuando l’opera e fruttando magnificamente ai gruppi dominanti. Esattamente l’opposto se leggiamo le stesse vicende dal basso, cioè con gli occhi delle classi subalterne che dagli anni ’90 si sono viste sempre più aggredite dal capitale. Dopo l’89 i ceti medi non erano più utili al progetto capitalistico e andavano falciati via. Ed è quello che sta accadendo con il commercio online e velocizzato dalla pandemia e con le grandi multinazionali che fatturano cifre da capogiro senza pagare alcuna tassa. Su questa direttrice avanza anche l’eliminazione del contante, che più che a combattere l’evasione fiscale serve ad abbattere ogni potere economico dei cittadini, favorendo spropositatamente il sistema bancario e bancocratico. Poco conta che la livrea dei politici sia bluette di centrodestra o fucsia di centrosinistra, la loro funzione è quella di maggiordomi dei banchieri.
Queste tappe, seppur legate a emergenze oggettive, non sono tuttavia sconnesse ma si possono interpretare come momenti di produzione di un nuovo ordine ultra capitalistico post-borghese e post-proletario nel senso attribuito da Costanzo Preve a quest’espressione. La direzione è una sola: un’oligarchia finanziaria che si realizza come società del controllo totale sui cittadini. Una società post-democratica dove domina il solo valore di scambio. Questa la fotografia impietosa, ma credo realistica, dell’Occidente.
Lei ha contrapposto alla resilienza (che significa subire il regime neocapitalista senza reagire, anzi assecondandolo con inconsapevole zelo), alla filosofia dell’azione, titolo di un suo saggio del 2014, può dirci qualcosa su questo?
La resilienza è un ingrediente fondamentale del capitalismo totalitario, perché è il modo in cui le classi dominanti si mantengono al potere senza che i cittadini ne abbiamo piena consapevolezza, e anzi appoggino con docile accettazione rapporti di forza sempre più asimmetrici. I dominanti avrebbero desiderato la resilienza anche durante la Comune di Parigi, per fare solo un esempio, ma al tempo ci fu la resistenza e la rivoluzione.
Sono due le premesse su cui questo concetto si regge, una è di tipo ontologico e si tratta della necessità “There is no alternative” come disse Margaret Tatcher, e sul piano pratico un mondo che viene dichiarato immutabile, ineluttabile. Se ti convinci che il mondo non si può cambiare non puoi che sopportarlo stoicamente. Il disarmo della critica e l’infiacchimento dell’azione trasformatrice, ecco cos’è la resilienza. Viene rovesciato il noto imperativo di Marx che diceva di rovesciare teoricamente e sovvertire praticamente. Nulla si può criticare né si può fare perché il capitalismo viene presentato come un dato di natura, quasi un processo ontologico. Ecco nostro malgrado il trionfo dell’ideologia capitalistica.
Certo, uno stoicismo potremmo dire parodistico…
L’essere umano ha ancora bisogno della metafisica, che invece ha completamente escluso dal proprio orizzonte esistenziale. Così siamo passati dalla metafisica al Metaverso…
Perfino il Papa oggi espone le sue messe prive di senso del trascendente.
Io chiamo questo fenomeno “processo di evaporazione del cristianesimo”: il cristianesimo ha avuto due correnti, quella fredda di matrice luterana e quella calda che si rifà a Thomas Muntzer o Gioacchino Da Fiore, le quali rovesciavano il potere temporale in nome proprio del Regno dei Cieli; così ci ha insegnato anche Bloch in Ateismo del cristianesimo. Invece oggi il capitalismo supera il cristianesimo proprio per annientare questo elemento dialettico. Può sembrare paradossale ma un mondo senza religione non ha più ragione per contestare l’ordine dominante perché tutto è pura immanenza, il mercato stesso si autodivinizza. Se Ratzinger rappresentò una resistenza eroica a questi processi di svilimento del trascendente, Bergoglio rappresenta la fase finale dell’evaporazione del cristianesimo. I suoi discorsi privi di sacro sono pure traduzioni degli ordini del pensiero unico politicamente e teologicamente corretto.
Lei ha espresso le sue posizioni su diversi temi di attualità e dibattito pubblico. Ma come filosofo cosa pensa di temi di bioetica ancora incandescenti come l’aborto?
Innanzitutto distinguerei il piano morale da quello giuridico: io credo che di per sé l’aborto sia una pratica orrenda, che nessun essere umano dotato di logos sceglierebbe in quanto tale, se non messo di fronte a un elemento tragico, infatti se viene scelto oggi è per via di gravi danni e menomazioni psico-fisiche del feto o in casi limite come quello di una donna che subisce violenza. E qui la scelta è dolorosa ma comprensibile.
Vi è poi ciò che diceva Pasolini sull’aborto, ossia che sempre più spesso viene scelto come espressione di una società di libero consumo generalizzato per cui la nascita di figli viene percepita come impedimento al consumo edonistico. Queste le due grandi forme in cui avviene. La prima trae le sue ragioni proprio in ragione dei fatti e non si può risolvere con principi, la seconda è del tutto spregevole. Detto ciò ritengo che la legge in Italia riesca a conciliare queste posizioni perché permette a chi è contrario di non abortire e chi è favorevole di poter accedere all’aborto. Ciò detto manca una parte educativa che sia svolta in maniera non ideologica. La legge in Italia è ottima ma andrebbe integrata con una parte pedagogica, che informi senza paternalismi. Sono contrario a quegli eccessi che vorrebbero l’aborto fino al nono mese oppure che vorrebbero recidere questa possibilità.
E’ la narrazione del “grumo di cellule” che forse andrebbe rivista.
Sì, anche perché se noi ragioniamo con le categorie aristoteliche di potenza e atto vediamo che nella potenza del feto c’è l’atto del bambino. Ma certo se procediamo così dovremmo bandire ogni pratica dell’eros non legata alla procreazione e questo mi pare un bigottismo radicale insostenibile.
E sulla questione del fine vita? Esistono una eutanasia attiva e una passiva. Nell’eutanasia attiva il medico somministra un farmaco, di solito attraverso una iniezione endovenosa. Nell’eutanasia passiva invece il medico si limita a sospendere le cure o a spegnere le macchine che tengono in vita un paziente.
A mio giudizio andrebbe normata. Pensiamo al caso di Luana Englaro: lì si trattò di eutanasia passiva con la sospensione dell’accanimento terapeutico. Ricordo che Giovanni Reale, un filosofo cattolico, sostenne che il vero atteggiamento rispettoso della volontà divina era lasciar fare alla natura senza accanimenti tecnici, ma il mondo tradizionalista cattolico gli diede addirittura dell’ateo. D’altro canto occorre anche evitare la deriva nichilista, in cui la vita ha valore solo se funzionale al principio di prestazione, e allora ogni vita improduttiva sul piano economico viene considerata indegna. Credo che debba essere normata, non si può più fingere che la tecnica e la medicina non implichino oggi l’aver a che fare con queste situazioni.
Di Antonio Gramsci scrive: “è, più di ogni altro, autore fecondamente inattuale, dissonante rispetto allo spirito del nostro presente. A caratterizzare il rapporto che l’odierno tempo del fanatismo dell’economia intrattiene con Gramsci è, infatti, la volontà di rimuoverne la passione rivoluzionaria, l’ideale della creazione di una “città futura” sottratta all’incubo del capitalismo e della sua mercificazione universale”.
Qual è secondo lei il filosofo più adatto a descrivere e cogliere la società di oggi?
Il filosofo più inattuale nel senso nietzieschiano, ossia meno sincronizzato col nostro tempo e quindi in grado di resistere al neocapitalismo è Hegel, l’autore che per primo dopo Giambattista Vico ha pensato alla storicità come luogo fondamentale della filosofia. “Spirito è tempo” dice Hegel nelle sue lezioni viennesi, mentre noi viviamo nel tempo della fine della storia. Hegel è colui che pensa alla storia come luogo dell’autosviluppo della coscienza e della libertà, quindi la storia come graduale emancipazione dell’umanità, come colse anche il giovane Marx nei suoi manoscritti del 1844. Hegel poi pensa la comunità come antidoto all’individualismo robinsoniano moderno, pensa all’unità partendo dalla famiglia, che si allarga alla comunità e all’umanità tutta. E ancora Hegel è l’autore del pensiero dialettico, cioè coglie la totalità come sintesi di contraddizioni a differenza del pensiero illuministico e dell’odierno positivismo che vede sempre la parte sciolta dall’intero. Hegel ci insegna invece che il vero e l’intero sono il risultato di uno sviluppo storico. Dobbiamo ripartire da Hegel.
Hegel è anche l’autore che ha scritto che l’unica cosa che l’uomo ha imparato dalla storia è che dalla storia l’uomo non ha imparato niente. Speriamo si sbagli, per una volta.
Giulia Bertotto