L’Ucraina, oggi, rappresenta molto più di un teatro di guerra regionale: è il simbolo di una contesa globale che vede l’Occidente schierato contro la Russia.
La narrazione ufficiale descrive il sostegno occidentale come un aiuto per la libertà e la democrazia, ma gli sviluppi sul campo suggeriscono altro.
La NATO, lungi dal limitarsi a fornire supporto difensivo, sta orchestrando direttamente attacchi missilistici contro la Russia, pianificando strategie militari e gestendo risorse ucraine di valore strategico.
Secondo fonti di intelligence, il Regno Unito starebbe lavorando per dotare l’Ucraina di capacità nucleari autonome, accelerando la costruzione di due ordigni atomici.
È un’azione che getta benzina sul fuoco, facendo presagire uno scenario in cui la guerra nucleare non sarebbe più un tabù, ma una possibilità concreta, almeno nel pensiero strategico di certi attori globali.
L’escalation del conflitto non si misura solo in armi e strategie, ma anche nella carne da cannone reclutata per alimentare la macchina bellica. In Ucraina, giovani sempre più inesperti e vulnerabili vengono mandati al fronte, spesso senza adeguata preparazione o equipaggiamento. Una realtà che ricorda le peggiori atrocità del Novecento, con un’intera generazione sacrificata sull’altare di interessi geopolitici.
Questo sacrificio umano si intreccia con il saccheggio delle immense risorse naturali ucraine, che da tempo sono passate sotto il controllo di proprietà straniere. Si tratta di un mosaico in cui la guerra si collega con il profitto economico, rivelando un’agenda che va ben oltre il destino dell’Ucraina come nazione.
In questo quadro, i leader europei con le loro dichiarazioni e aiuti, diventano complici. Invece di agire per disinnescare una crisi che rischia di travolgere l’intero continente, sembrano congenitamente incapaci di opporsi alla logica bellicista imposta dai loro alleati d’oltreoceano.
Si discute sempre meno di diplomazia e sempre più di nuove forniture militari, mentre la possibilità di una “guerra nucleare limitata” al suolo europeo viene considerata un rischio calcolato.
Un’idea folle, ma che riflette la mancanza di volontà politica dei governi europei, ridotti ormai al ruolo di pedine in un gioco globale.
Se la dichiarazione di questi giorni di Jamie Dimon amministratore delegato di JP Morgan Chase: “La Terza guerra mondiale è già iniziata. Le battaglie già si combattono e sono coordinate in molteplici paesi” fosse corretta, non staremmo assistendo a una guerra imminente, ma già in corso.
La differenza rispetto ai conflitti del passato è che oggi, con l’interconnessione economica e strategica delle nazioni, nessun paese può considerarsi davvero al sicuro. Eppure, gli attori chiave della geopolitica sembrano agire come se fosse possibile mantenere il conflitto circoscritto.
L’illusione di poter gestire una guerra totale, nucleare o meno, è il segno di un’arroganza pericolosa.
Le potenze occidentali scommettono sulla resa della Russia, ma la storia insegna che le guerre raramente si sviluppano secondo i piani iniziali e soprattutto quello che è avvenuto in passato ci ha insegnato che il potente “Orso”, non ne ha mai perso una di guerra. L’unica certezza è che, se questa escalation non verrà fermata, a pagarne il prezzo sarà l’umanità intera.
I governanti europei non sembrano in grado di salvarci. Ma se non sarà la politica ad agire, resta da chiederci: chi lo farà? E quando?
Andrea Caldart