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La tortura delle donne in Iraq è “una routine”: l’orrore invisibile nei campi di detenzione

In Iraq essere donna sembra quasi un peccato mortale, perché la violenza sistematica contro le detenute sta rivelando una crisi umanitaria di cui si parla troppo poco. 

Nei campi di detenzione per sospette ex-membri dello Stato Islamico e per le loro famiglie, tra cui i campi di Al-Jed’ah e altre strutture segrete, il trattamento brutale delle detenute è divenuto “una routine”, come dichiarano gli attivisti per i diritti umani e i recenti rapporti delle Nazioni Unite.

Le donne sono spesso vittime di torture, abusi e violenze sessuali, senza alcuna possibilità di tutela o giustizia.

Molte delle vittime vengono arrestate e detenute senza accuse chiare, solo per sospetti o per legami familiari con presunti militanti dello Stato Islamico, finendo in un limbo legale che rende impossibile qualsiasi ricorso.

Fatima, una delle sopravvissute che ha deciso di raccontare il proprio vissuto per denunciare questi abusi, ha descritto le settimane trascorse nel campo come: “un incubo senza fine”. “Non capivo perché mi avessero arrestata,” racconta. “Mi dicevano che sapevano che non avevo fatto nulla, ma mi picchiavano comunque, per il semplice fatto di essere stata sposata con un uomo che loro ritenevano sospetto.”

Essere una donna, una ragazza in Iraq significa essere un niente, una merce qualsiasi senza nessun diritto, e la condizione delle donne detenute nei campi iracheni, è aggravata da diversi fattori in primis dalla scarsa sorveglianza e dall’assenza di osservatori internazionali. 

I campi di Al-Jed’ah e altre strutture simili sono luoghi chiusi e isolati, veri e propri campi di concentramento dove è annullata la condizione umana di vivere e dove le ONG, hanno accesso limitato, ma allo stesso modo anche le visite delle agenzie umanitarie sono rare.

In molti casi i bambini piccoli sono detenuti assieme alle loro madri, crescono in condizioni disumane, senza accesso all’istruzione, cure sanitarie o un ambiente sicuro. Le ONG denunciano una condizione di abbandono, dove queste donne e i loro figli sono stigmatizzati come “colpevoli per associazione” e trattati come criminali, senza mai aver avuto la possibilità di difendersi davanti a un giudice.

Le Nazioni Unite e numerose organizzazioni internazionali hanno denunciato questa situazione e chiesto al governo iracheno di garantire i diritti fondamentali delle donne detenute. “Il trattamento delle donne nei campi di detenzione iracheni è inaccettabile e rappresenta una grave violazione dei diritti umani”, ha dichiarato un portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.

Amnesty International e Human Rights Watch hanno inviato petizioni e appelli ufficiali al governo iracheno, chiedendo una revisione delle condizioni dei detenuti e l’adozione di misure di trasparenza e responsabilità. Tuttavia, secondo gli attivisti, il governo iracheno è stato finora reticente ad aprire un’inchiesta o a permettere l’accesso indipendente ai campi, sostenendo che tali misure potrebbero compromettere la sicurezza nazionale.

Per tutta risposta alle accuse, il governo iracheno si difende dichiarando di operare “nel rispetto delle leggi nazionali”, e i campi di detenzione servono a monitorare i sospetti e a prevenire l’infiltrazione di gruppi radicali. “Le misure adottate sono necessarie per mantenere la sicurezza nazionale e prevenire futuri attentati”, ha dichiarato un portavoce del Ministero della Difesa.

Ma in nome di quale diritto divino o religione si può giustificare la tortura, specialmente di donne e bambini, in nome della sicurezza nazionale?

Le principali tradizioni religiose e i codici etici di gran parte delle culture condannano la tortura come una pratica inaccettabile, proprio per la sua crudeltà e per il danno irreversibile che causa alla dignità umana.

Anche nelle interpretazioni più rigide, nessun testo sacro promuove esplicitamente la sofferenza inflitta senza scopo se non per il potere e controllo. Anzi, molte tradizioni spirituali, come il cristianesimo, l’islam, il buddismo, ebraismo e l’induismo, promuovonoconcetti di compassione, misericordia e dignità umana.

“La tortura non è mai giustificata, specialmente quando si tratta di donne e bambini innocenti,” ha dichiarato un rappresentante di Human Rights Watch. “Se non si interviene ora, queste violenze lasceranno segni profondi sulle generazioni future”.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, le Convenzioni di Ginevra e vari trattati internazionali, come la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, sono stati adottati proprio per proibire la tortura in ogni sua forma e in ogni circostanza, senza eccezioni.

Il dramma delle donne detenute in Iraq è una questione urgente e complessa, che richiede un intervento della comunità internazionale e delle autorità irachene. 

Finché non verranno garantiti processi trasparenti, condizioni umane e il rispetto dei diritti fondamentali, la tortura e la violenza nei campi di detenzione continueranno a essere un’ombra sul futuro dell’Iraq, con gravi ripercussioni sulla stabilità e sulla giustizia della regione.

Andrea Caldart

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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