Il 25 aprile non è una data da incorniciare e riporre nella memoria, ma un faro acceso sul presente. È il giorno in cui l’Italia ricorda la Liberazione dal nazifascismo, ma non può, e non deve, ridursi a una cerimonia, a una commemorazione rituale. È un richiamo urgente, necessario, perché la libertà, quella vera, non è un trofeo da lucidare una volta all’anno: è una responsabilità da assumersi ogni giorno.
Oggi viviamo in un Paese che si ostina a definirsi democratico, ma quella democrazia è sempre più un simulacro, una vetrina buona solo per le celebrazioni ufficiali. I diritti costituzionali vengono violati sistematicamente: il diritto a manifestare, a dissentire, e informarsi liberamente viene ridotto a concessione temporanea, revocabile in qualsiasi momento, derubricato insomma a fastidio. Leggi liberticide mascherate da misure di sicurezza trasformano ogni piazza in un potenziale teatro di repressione.
Il dissenso viene schedato, sorvegliato, represso preventivamente. La giustizia diventa uno strumento politico: chi osa alzare la voce si trova travolto da denunce, perquisizioni, fogli di via, campagne di delegittimazione. Con la scusa della sicurezza la sorveglianza digitale penetra ogni ambito della vita privata, e il giornalismo d’inchiesta è etichettato come pericoloso.
La libertà, in questo scenario, non è solo negata: è criminalizzata. Essere liberi significa esporsi, rischiare. Non è un diritto garantito, ma una conquista da difendere ogni giorno, contro uno Stato che sempre più spesso confonde il controllo con l’ordine, e la paura con il consenso. Essere liberi oggi è un atto di resistenza. Ed è, per questo, un atto profondamente politico.
Il 25 aprile ci insegna che la libertà non è mai definitivamente conquistata. Non basta aver rovesciato una dittatura per sentirsi liberi. La vera Liberazione si compie ogni volta che una coscienza si rifiuta di allinearsi, ogni volta che una voce si leva controcorrente, ogni volta che qualcuno rivendica il diritto a pensare, a dubitare, a scegliere.
Non è un caso se proprio in questi anni riaffiorano narrazioni che tendono ad appiattire, ad uniformare, a spegnere le sfumature del pensiero. La libertà, in questo clima, non si manifesta più solo nelle grandi battaglie, ma nei piccoli gesti quotidiani: nell’educazione al dubbio, nella tutela del pluralismo, nella difesa dell’informazione libera, nell’apertura al confronto anche acceso, ma onesto.
Il 25 aprile è un simbolo potente, ma il suo significato non appartiene solo alla Storia. È un’eredità che vive nel presente, che chiede vigilanza, coraggio e responsabilità. La libertà non solo si celebra, ma si difende. Con le parole, con le azioni, con la coerenza. Ogni giorno.
Perché il rischio più grande, oggi, non è dimenticare il passato. È ripetere gli stessi errori.
Andrea Caldart