Il recente rapporto Healt at a Glance 2021 dell’Ocse ha suonato l’allarme per diversi aspetti della sanità in Italia, come la spesa per cure a lungo termine e il numero dei posti letto in ospedale. Ma quello che spicca è il dato sulla carenza di personale infermieristico: la media nel nostro paese è di 6,2 ogni mille abitanti, mentre quella nei 37 paesi dell’Ocse è di 8,8. Gran parte dell’Europa sta meglio di noi, compresa la Russia.
I nostri infermieri sono messi anche peggio dal punto di vista retributivo: la media è di 39mila dollari l’anno contro una media dell’Ocse a 35 paesi di oltre 48mila dollari. Meglio di noi gran parte dei paesi europei, insieme Cile, Corea del sud, Turchia.
Del resto, negli ultimi 10 anni il nostro Sistema Sanitario Nazionale ha perso circa 37 miliardi di euro, secondo stime riportate dalla Fondazione Gimbe nel 2019: si tratta di fondi tagliati da governi di ogni colore politico, soprattutto nel periodo 2010-2015 quando sono stati effettuati tagli per 25 miliardi di euro.
Con queste forze abbiamo affrontato la pandemia da Covid-19. Si può pensare quanto sia giustificato il grido di dolore del personale infermieristico, in prima linea nella lotta al virus insieme ai medici, espresso dal sindacato di categoria Fnopi.
Scendiamo nel dettaglio e leggiamo la testimonianza di chi vive all’interno la situazione delle corsie, nel racconto di un’infermiera dell’Italia centrale che chiameremo A. per tutelare la privacy.
«Lavoro come infermiera dall’inizio degli anni ’90 – racconta A. – e ho avuto varie esperienze lavorative in più contesti e reparti. Per quanto riguarda i carichi di lavoro sono assolutamente sproporzionati rispetto alle reali necessità. Nel primo periodo della mia attività lavorativa negli anni Novanta, c’erano dei criteri specifici di assegnazione di personale nei vari reparti e il rapporto operatore/paziente era abbastanza soddisfacente. Ora è molto sottodimensionato e questo va a incidere drammaticamente sia sugli infermieri sia sui poveri pazienti. Il periodo della pandemia non ha fatto altro che evidenziare e precipitare drammaticamente una situazione già al collasso. Il personale infermieristico era già stato ridotto rispetto alle reali necessità e non c’erano concorsi e assunzioni da quasi dieci anni o poco meno. L’esplosione della pandemia ha quindi richiesto un impegno spropositato al personale ospedaliero in carico alle strutture. Sul fronte dell’emergenza – conclude A. – sono stati assunti infermieri a tempo determinato che non sono stati riconfermati susseguentemente con un contratto a tempo indeterminato, quindi le carenze ci sono ancora, specie in ospedali maggiori o strutture convenzionate con pochi controlli da parte delle ASL».
Stefano Paterna