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Home Attualità Italia Padova e il corteo invisibile: quando il dolore non fa rumore

Padova e il corteo invisibile: quando il dolore non fa rumore

Nel cuore di Padova, tra i portici antichi e le piazze assolate, si è mosso un corteo che avrebbe dovuto far tremare le coscienze. E invece è passato quasi inosservato. Qualche sguardo distratto, molti occhi abbassati, un silenzio che pesa più delle urla: è il corteo della sofferenza di chi ha subito danni dai vaccini anti-Covid. Una manifestazione piccola, sommessa, segnata più dal caldo torrido che dalla presenza viva della città. Eppure, quel dolore era lì, reale, crudo, gridato da un palco scoperto che sembrava chiedere pietà più per l’indifferenza che per il sole.

Le testimonianze di chi è stato colpito da effetti avversi si sono susseguite con voce tremante, ma quel grido, come svuotato nell’aria densa di giugno, ancora una volta, non ha sfondato il muro dell’invisibilità. Perché?

Perché la nostra società ha scelto di guardare altrove. La gestione della “pandemia” ha lasciato cicatrici profonde, non solo sanitarie, ma anche sociali. Le polarizzazioni costruite durante l’emergenza hanno generato muri di sfiducia, pregiudizi e solitudini che oggi non trovano più spazio per essere ascoltate. È come se si fosse deciso, una volta per tutte, chi ha diritto al dolore riconosciuto e chi no.

L’Avv. Manola Bozzelli dell’Associazione Arbitrium PSG in un momento del suo intervento

Il corteo padovano ha avuto anche un respiro internazionale: delegazioni dalla Francia, dall’Olanda, unite da esperienze simili, hanno partecipato nel tentativo di creare un ponte comune. Ma quella stessa partecipazione ha mostrato una verità scomoda: questa battaglia è ancora troppo distante dalla società civile, che la vive come “un problema di altri”. Una forma di distacco che ha il sapore amaro dell’individualismo collettivo: ognuno per sé, anche nel dolore degli altri.

E così si torna al paradosso: in nome della libertà personale, ogni movimento, ogni comitato, ogni gruppo nato durante o dopo la pandemia ha scelto di operare in totale autonomia, rivendicando orgogliosamente l’apartiticità e l’apoliticità come scudo. Ma in questo modo si è finiti per frammentare ogni voce, rendendola troppo debole per essere ascoltata davvero. Senza una rappresentanza comune, ogni battaglia rimane ai margini, incapace di influenzare il dibattito pubblico.

Andrea Sillo Presidente Associazione Persone in Cammino con i componenti presenti all’evento

Chi prova oggi a raccontare il proprio dolore legato al “vaccino”, che è reale, documentato, o solo percepito, non trova spazio. Viene spesso derubricato a “negazionista”, “complottista”, o semplicemente escluso dal discorso pubblico. È il prezzo dell’ipersemplificazione, di un sistema che non tollera le sfumature. Eppure, la sofferenza non ha colore politico. È, semplicemente, umana.

Se questo Paese vuole davvero guarire, allora deve tornare ad ascoltare. Anche quando fa male.

Se questo Stato ha ancora il coraggio di definirsi civile, allora smetta di voltarsi dall’altra parte. Non si può più parlare di “effetti collaterali inevitabili” quando dietro ci sono vite distrutte, famiglie spezzate, dignità calpestate. È ora di dire le cose come stanno: alcune scelte hanno avuto conseguenze devastanti, e lo Stato, che le ha imposte, continua a negare ogni forma concreta di supporto e assistenza a chi ne porta le cicatrici.

È inaccettabile che chi ha obbedito, chi si è fidato, oggi venga ignorato come un errore statistico. Lo Stato, oggi ridotto a un puzzle di interessi individuali e autoreferenziali, deve ricordarsi il significato stesso di “repubblica”: cosa pubblica, cosa comune. E invece si comporta come un ente astratto, incapace di prendersi la responsabilità per ciò che ha fatto.

Serve un’assunzione di colpa. Serve una presa di posizione netta. Non bastano parole vuote o passerelle istituzionali. Alle persone alle quali è stato tolto un familiare, a questi uomini e donne, madri, padri, figli, umiliate due volte, prima dal danno e poi dall’indifferenza, servono scuse ufficiali, cure, sostegno economico, diritti. E servono ora.

Finché lo Stato non tornerà a essere uno Stato di diritto per tutti, compresi i danneggiati e i familiari delle vittime della peggior misura coercitiva nel nome del “bene comune”, resterà solo un’ombra di sé stesso. E questa ombra pesa, come un macigno, sulle coscienze di chi governa e di chi sa e tace.

A Padova, sotto un cielo implacabile, si è alzato un grido che nessuno ha voluto sentire. E forse è proprio da qui che dobbiamo ripartire: dal diritto di ogni voce, anche la più scomoda, di essere parte della comunità. Perché una società che non sa accogliere il dolore non può definirsi veramente umana.

Andrea Caldart

Foto copertina: credits da partecipanti

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dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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