Era il 2015 quando Renzi e la Lorenzin concepirono la legge del Payback sanitario che, secondo le loro intenzioni, avrebbe dovuto riequilibrare le casse della sanità pubblica.
Una revisione di spesa che arrivava su pressione della UE e l’allora presidente del consiglio Renzi, afferma oggi, alla trasmissione “Report” che “abbiamo creato le condizioni perchè la legge non entrasse in vigore”.
Peccato però che per oltre 7 anni è rimasta nei cassetti di Palazzo Chigi e Draghi l’ha riesumata nel luglio scorso, giusto in tempo per lasciare il problema all’attuale governo di Giorgia Meloni.
Come può un’azienda fare un progetto di bilancio se poi si trova a dover ripianare l’incapacità delle Regioni di sapere fare il proprio budget sanitario?
Il meccanismo è molto semplice prevede che, una volta che le regioni superino il tetto stabilito per legge per l’acquisto di dispositivi medico sanitari, le aziende fornitrici devono contribuire a ripianare le eccedenze fino anche al 50% del fatturato delle forniture.
Ma finora nessuno si era difeso da questa legge illogica e di sicuro anticostituzionale, perché si chiede di restuire dei soldi a delle aziende che hanno partecipato con le loro proposte anche al ribasso.
La situazione ormai è al collasso ed anche i dipendenti delle società fornitrici dei dispositivi medici, il 17 aprile scenderanno a Piazza della Repubblica a Roma assieme alle associazioni delle PMI di settore, per difendere il loro lavoro e le aziende per le quali prestano le loro attività professionali.
Quello che ci deve allertare e per il quale non possiamo più voltarci dall’altra parte è che il sistema sanitario nazionale del payback sanitario, nel decreto “aiuti bis” del luglio scorso, è al punto di non ritorno.
Ora non si tratta più solo di un fatto tra imprese ed enti locali, ma riguarda la generalità del servizio sanitario nazionale perché, quando inizieranno a mancare i primi dispositivi come ad esempio, una cannula, un ago per siringa, la nostra sanità pubblica sarà classificata inferiore a quella del terzo mondo.
Il payback sanitario sembrerebbe una legge creata per far fallire le piccole e medie aziende italiane di questo settore per dare spazio al capitalismo globalisita del ventunesimo secolo, per decidere chi può e chi non può curarsi.
Un’ulteriore conferma viene dal dato dichiarato da Massimiliano Boggetti presidente di Confindustria Dispositivi Medici, che afferma che, la spesa media per dispositivi medici procapite in Italia è di 120 euro a cittadino, contro i 320 euro della sanità tedesca o ai 240 euro che è la media europea.
Continuando di questo passo sottraendo soldi alla sanità, avremmo ancora più malati perché non saremo in grado di fare delle diagnosi tempestive ad esempio tumurali in quanto, si è sottratta economicità alla tecnologia della ricerca delle cause delle malattie.
Togliendo risorse alla sanità pubblica non si riesce a svecchiare le attrezzature che già oggi hanno un’età media elevata e portano il nostro Paese verso una condizione di precariato della assistenza pubblica garantita.
Probabilmente il mercato dei dispositivi sanitari fa gola ad una nuova ciurma di pirati oligocapitalistici, avvenuturieri folli che hanno compreso che sono il petrolio del futuro.
Infatti, nessuna multinazionale ha tirato fuori il problema del payback sanitario, anzi aspetta pazientemente che fallisca la piccola impresa concorrente perché sa già che il lavoro passerà in mano loro, alle condizioni che deciderà la multinazionale.
La vera preoccupazione è che questo capitalismo da bisturi tagliati può forgiare una società malata, generalizzando ogni aspetto della malattia del singolo cittadino, costruendo così una società sinteticamente controllata.
Andrea Caldart