Negli ultimi sette mesi 517 gare andate deserte.
L’Italia rischia di non poter utilizzare i miliardi di euro arrivati dall’Europa per il cosiddetto PNNR: bruttissimo acronimo che sta per Piano nazionale di ripresa e di resilienza.
Le difficoltà sono state palesate da varie parti, con dati e cifre che non lasciano adito a dubbi.
In primis preoccupano i dati diffusi nell’ultimoRapporto intermedio sulle infrastrutture prioritarie della programmazione Pnrr-Pnc predisposto dal Servizio Studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’Autorità nazionale Anticorruzione e l’Istituto di ricerca Cresme, che si è focalizzato in particolare sul fenomeno delle gare deserte finanziate con i fondi del Pnrr.
Il documento, aggiornato al 31 dicembre scorso, è stato presentato in commissione Ambiente a Montecitorio alla presenza del presidente dell’Anac Giuseppe Busia.
Ecco le nude cifre che testimoniano i ritardi e le disfunzioni del sistema paese sull’attuazione del Piano.
Negli ultimi sette mesi sono 517 le gare Pnrr andate deserte: 61 procedure si sono concluse senza esito in seguito a offerte irregolari, inammissibili, non congrue o non appropriate.
“La maggior parte di queste gare commenta il presidente di Federcepicostruzioni, Antonio Lombardi – ben 356, riguarda il settore dei lavori. Uno dei dati più rilevanti attiene la procedura individuata: l’affidamento sotto soglia, quella procedura cioè che dovrebbe garantire il giusto bilanciamento tra semplificazione e garanzia di concorrenza, e di conseguenza percorsi più rapidi e trasparenti.
È evidente che così non è stato, ed anche sulla nuova norma del Codice dei Contratti, che riforma l’affidamento sotto soglia, nutriamo non poche perplessità.
Se si continua a predisporre bandi slegati dal contesto economico e dalla realtà, continueremo a registrare gare deserte e tante infrastrutture strategiche per il Paese rimarranno sulla carta”.
Il nuovo Codice degli appalti prevede infatti la cosiddetta “liberalizzazione sottosoglia”.
Vale a dire che gli appalti fino a 5,3 milioni potranno essere affidati direttamente.
Le stazioni appaltanti potranno decidere di attivare procedure negoziate o affidamenti diretti, rispettando il principio della rotazione.
L’Anticorruzione, nella sua ultima relazione annuale ha calcolato che nel 2021 le stazioni appaltanti italiane hanno promosso 62.812 procedure per l’assegnazione di lavori pubblici, per un controvalore di 43,4 miliardi di euro.
Di queste ben 61.731 procedure, pari al 98,27% per un valore di 18,9 miliardi, relative a gare di importo inferiore a 5 milioni.
Dunque, al di sotto della soglia Ue di 5,38 milioni, che è la fascia di importo entro la quale il nuovo codice appalti impone l’affidamento diretto (fino a 150mila euro) e la procedura negoziata senza bando (con 5 o 10 inviti a seconda che le opere da eseguire valgano di meno o di più di un milione)”.
L’ultima formulazione del decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri, ammorbidisce il vincolo di procedere senza gara almeno per le opere di importo superiore al milione.
“Ma occorre intervenire con maggiore coraggio e incisività – conclude il presidente Lombardi – sulle ragioni vere, evidenti e ben note alla base della desertificazione delle gare, tra cui l’aumento considerevole dei prezzi (+26%), il rincaro dei costi dell’energia, la riduzione delle materie prime a seguito della pandemia, la guerra in Ucraina, la mancanza di manodopera specializzata, la non convenienza alla partecipazione di gare pubbliche rispetto alla forte domanda di ristrutturazioni del privato.
È necessario intensificare gli sforzi per garantire la massima trasparenza delle procedure”.
Tra le gare andate deserte, quelle per la ricostruzione all’Aquila, la ristrutturazione di un edificio dell’ospedale psichiatrico di Collemaggio (importo a base di gara 4.999.617 euro), tre dei sette lotti (30.047.068 euro in totale) per la riqualificazione degli immobili dell’Aler Bergamo-Lecco-Sondrio, 18 procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando dell’Istituto autonomo case popolari di Trapani per la riqualificazione di edifici in varie zone della città.
Ma le brutte notizie in materia di attuazione del Piano arrivano pure dalla relazione diffusa dalla Corte dei Conti a fine marzo.
Ricordiamo che il piano è finanziato con oltre 191 miliardi di euro e prevede una serie di obiettivi da concretizzare entro il prossimo 2026.
La Corte dei Conti in quanto istituzione che controlla come vengono spesi i soldi pubblici è una voce autorevole anche in materia di PNRR.
Ha evidenziato vari ritardi nella spesa dei fondi e nell’attuazione dei progetti.
Intanto l’Italia ha utilizzato meno risorse del Piano disponibili e già preventivate. Quindi incapacità di spesa programmata.
Tra le problematiche evidenziate dalla Corte, vi sono la carenza di figure tecniche in grado di formulare progetti spendibili e soprattutto di controllarne l’attuazione sia a livello di amministrazioni centrali, che degli enti locali territoriali.
La Corte poi ha sollevato dubbi sul progetto di piantare alberi in tutta la penisola: 1,7 milioni di alberi dovevano essere piantati entro la fine del 2022.
Ora è in ballo l’erogazione della terza rata dei fondi con un valore di 19 miliardi di euro. In merito il Governo ha annunciato di aver concordato con la Commissione europea un mese di tempo in più per valutare l’effettiva realizzazione dei 55 obiettivi previsti.
A giorni dovrebbe arrivare il via libera alla erogazione della terza tranche dei finanziamenti.
Molte e reiterate sono le polemiche sui progetti da realizzare con i fondi europei.
Una ha riguardato i fondi destinati al co-finanziamento di due strutture sportive, il “Bosco dello Sport” di Venezia e lo “Stadio Artemio Franchi” di Firenze.
Alcune forze politiche hanno chiesto di stralciare la realizzazione degli stadi a favore dell’impiego dei fondi per la realizzazione di case popolari per le famiglie meno abbienti e le giovani coppie di sposi.
Tant’è che sono stati alla fine definanziati, in quanto non sarebbe stato possibile realizzarli entro il 2026: altro fallimento.
L’Italia, insomma si fa trovare impreparata in quella che è davvero una occasione storica: cambiare il volto del Paese con i fondi europei, che è bene però sottolineare non sono tutti a fondo perduto. Una parte sono prestiti che vanno restituiti.
Nel corso della presentazione della relazione della Corte dei Conti, il Ministro degli Affari europei che si occupa anche della realizzazione del PNRR, Raffaele Fitto, è stato costretto ad ammettere che alcuni degli interventi programmati non potranno essere realizzati entro il 2026.
L’Italia per ovviare ai ritardi ed alle disfunzioni in materia di realizzazione degli obiettivi programmati è impegnata in una dura trattativa con la Commissione europea sulla rimodulazione e flessibilità di quegli obiettivi rispetto ai quali già si è consci di non poterli portare a termine nei tempi previsti.
Insomma, come ha affermato di recente il giurista Sabino Cassese, la grande mole di finanziamenti a portata di mano del Bel Paese, si scontra con la povertà di capacità realizzativa dello Stato.
Senza dimenticare la desertificazione delle competenze nella Pubblica amministrazione sulla quale nessun governo degli ultimi vent’anni ha investito, anzi hanno fatto tutti a gara per privarla di risorse finanziarie e di personale specializzato.
Insomma, come dire: troppa grazia Sant’Antonio! Abbondanza di risorse che non si riesce a spendere. Anzi si teme di dover restituire.
Se il nostro Paese: non ce lo auguriamo, fosse costretto a rinunciare per incapacità del sistema a parte dei fondi europei sarebbe oltreché una figuraccia a livello internazionale, un danno forse irreversibile agli interessi dei cittadini italiani.
Giuseppe Storti