C’è un golpe in corso. Non si combatte con armi o carri armati, ma con algoritmi, piattaforme digitali e intelligenze artificiali. È il colpo di Stato più subdolo della storia: quello contro il pensiero umano.
I grandi media? Da tempo hanno smesso di essere il “quarto potere”. Non sono più cani da guardia della democrazia, ma docili megafoni dell’ordine costituito. Selezionano le notizie, impongono agende, decidono cosa dobbiamo sapere e, soprattutto, cosa dobbiamo ignorare. Non informano: sedano. Non illuminano: anestetizzano. La critica autentica è bandita, sostituita da polemiche sterili e indignazioni pilotate, utili solo a deviare l’attenzione.
E le piattaforme social? I loro creatori ci hanno venduto l’illusione di uno spazio aperto, libero, democratico. In realtà, sono prigioni cognitive, laboratori di condizionamento su scala globale. Ogni click, ogni like, ogni scroll è tracciato, misurato, archiviato: materia prima per raffinare modelli predittivi che conoscono i nostri desideri meglio di noi stessi. L’utente non è cliente: è prodotto. Ogni interazione è usata per chiuderci dentro bolle percettive che ci rassicurano, ci dividono, ci indeboliscono, impedendo che nascano domande radicali, visioni alternative, veri atti di resistenza.
Ora, all’orizzonte, si staglia una minaccia ancora più radicale: l’Intelligenza Artificiale. Presentata come un prodigio tecnico destinato a “migliorare il mondo”, essa è in realtà la nuova arma di distruzione di massa contro la libertà umana. Concentrata nelle mani di una ristretta élite di conglomerati industriali e finanziari, l’A.I. non si limita a servire i bisogni: li anticipa, li crea, li dirige.
Il suo vero scopo? Programmare l’essere umano. Addestrarlo all’obbedienza, alla prevedibilità, alla docilità. Trasformare il cittadino in consumatore automatico, il lavoratore in operatore meccanico, il pensatore in spettatore passivo.
Non siamo di fronte a un progresso naturale, inevitabile. Siamo davanti a un progetto lucido di automazione dell’anima, di riduzione della mente umana a funzione accessoria di un sistema che non tollera più l’imprevisto, la critica, la libertà.
Se non reagiamo ora, saremo presto ridotti a ciò che ci vogliono: numeri obbedienti in un algoritmo infinito, senza più memoria né futuro.
Lo aveva annunciato Bernard Stiegler: la società automatica è la morte del pensiero critico. Non saremo più cittadini, né individui: saremo consumatori automatizzati, lavoratori obbedienti, anime spente. Non pensiamo più: deleghiamo le scelte, i gusti, le emozioni a macchine che non capiamo e che non controlliamo.
Non siamo di fronte a un’innovazione neutrale. Non è un semplice avanzamento tecnico, non è un naturale corso della storia. Siamo immersi in un progetto di ingegneria sociale su scala planetaria, pianificato da chi intende ridefinire radicalmente il significato stesso dell’essere umano.
Questa nuova architettura tecnologica non mira soltanto a facilitare la vita: vuole riscriverla. A spegnersi non sarà solo l’autonomia mentale sarà la vita stessa, nella sua dimensione più autentica. Sarà l’esperienza viva della scelta, dell’errore, del dubbio, della libertà.
Perché vivere non è solo esistere biologicamente. Vivere è pensare, è immaginare, è resistere. È poter dire “no” di fronte all’ingiustizia, “sì” di fronte alla speranza. È rischiare, sognare, creare.
E tutto questo e tutto ciò che rende umana la vita umana, è oggi sotto attacco.
L’intelligenza artificiale, guidata dalle logiche di un potere tecnocratico cieco e autoreferenziale, sta costruendo un mondo dove il margine di errore, cioè di libertà, deve essere azzerato. Un mondo dove la spontaneità, la disobbedienza, la fantasia diventano anomalie da correggere. Dove ogni gesto è previsto, ogni impulso indirizzato, ogni emozione schedata.
Incantati dalla promessa di una vita senza fatica, senza frizione, senza conflitto, stiamo rischiando di firmare volontariamente la nostra condanna: la rinuncia alla nostra umanità in cambio di una misera sopravvivenza automatizzata.
Non saremo più vivi. Saremo funzionanti.
La cosa più inquietante è che il processo avanza non attraverso la coercizione violenta, ma attraverso il desiderio stesso: ci stanno portando a volere la nostra stessa prigionia. Una dolce, anestetica, irreversibile schiavitù.
O capiamo ora ciò che sta accadendo, o domani, quando cercheremo la strada per tornare umani, non sapremo più nemmeno da dove cominciare.
È ora di scegliere: o riconquistiamo il diritto di pensare, dubitare, disobbedire, o accetteremo di diventare semplici estensioni di macchine che non hanno volto, né pietà.
Chi tace, chi si adatta, chi si rifugia nel cinismo è già perduto.
Andrea Caldart