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Regionalismo differenziato, Prospettive e problematiche

L’analisi sul regionalismo differenziato è quanto mai attuale nel nostro Paese.

Attuale ma antico e, per quanto possa apparire semplice, in effetti le difficoltà per ottenere un buon risultato sembrerebbero molteplici, almeno è quanto risultato dal convegno organizzato lo scorso 31 marzo da Unidolomiti che ha visto la partecipazione di qualificati professionisti e esperti di diritto.

Il Regionalismo Differenziato identifica la possibilità del comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione secondo cui le Regioni a Statuto ordinario possono ottenere maggiore autonomia in relazione ad alcune materie.

Occorre però rispettare i principi che, in ambito finanziario, gravano sugli enti locali ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione. Le materie in esame sono sia quelle concorrenti sia quelle esclusive statali dell’articolo 117.

Sin dal suo insediamento il Governo Meloni ha dato il segnale di voler portare a termine il programma attraverso un disegno di legge più specifico per l’attuazione dell’art. 116. 3 Cost. elaborato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, ora approvato in Consiglio dei ministri.

Uno degli obiettivi indicati è appunto quello di dare compimento all’art. 116 terzo comma Cost. “in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà”, ma anche “in un quadro di coesione nazionale”.

Obiettivi, come si diceva, non facili da far convivere insieme, ma da cui non si può prescindere e che devono condizionare ogni intervento normativo.

Quali i rischi?

La riforma è vista con grande preoccupazione da molti per gli effetti che può determinare sulla forma di Stato, sulla tutela dei diritti sociali e sul rispetto della parità di trattamento dei cittadini.

Occorre quindi capire come il regionalismo differenziato possa essere realizzato senza incidere sull’unità ed indivisibilità giuridica ed economica della Repubblica, tenendo conto che l’art. 116.3 Cost. non vive di vita autonoma, ma nel contesto di un più ampio disegno autonomistico, che parte dall’art. 5 Cost (e che ora si completa in particolare con gli art. 117, 118 e 119 Cost.,)

Le Ragioni del Nord

Tutto ciò non esclude di dimenticare le ragioni di questa maggiore richiesta di autonomia da parte delle regioni del Nord, confinanti con le regioni speciali e che vivono ogni giorno, e più di altre, la differenziazione organizzativa ed economica, che non è invece riconosciuta alle regioni ordinarie.

A questo si accompagna un’altra e strutturale ragione connessa al tendenziale eccesso di centralismo della legislazione statale, dei rilievi, talvolta pretestuosi, che vengono spesso sollevati nei confronti delle leggi regionali e che hanno incrementato per lungo tempo la conflittualità fra le regioni.

I Timori “politici” del SUD

Viene, così, a delinearsi un quadro di luci ed ombre, attraversato dal dubbio che mascherati intenti egoistici dei “più ricchi” vadano a discapito dei “più poveri”. 

Si tratta di una vulgata, a volte anche echeggiata in alcune affermazioni di carattere politico, a cui non si può e non si deve credere.

Come può ben evincersi, la questione è altamente complessa e investe ragioni economiche, politiche, sociali e soprattutto competenze diffuse tra Stato, Regioni e altre amministrazioni locali.

Per discutere dell’argomento, Unidolomiti ha raccolto attorno al “Web” illustri docenti, professionisti e giuristi.

Gli onori di casa sono stati a cura dei professori Adriana Bisirri e Ing. Gregorio Perillo International Campus ai quali ha seguito un breve intervento della Prof.ssa Daniela Di Paola Vice-direttore della rivista scientifica di fascia A “AmbienteDiritto.it” e in rappresentanza della Amministrazione Comunale di Belluno sono intervenuti Francesco Pingitore, Presidente III Commissione consiliare- Consiglio comunale di Belluno, e Sandra Mella Consigliere comunale di Belluno.

Alla professoressa Carmela Capolupo, Università degli Studi “Federico II” di Napoli, il compito di introdurre gli elementi essenziali sui quali si è sviluppato il dibattito che è seguito, moderato da Lamberto Colla, direttore di “GazzettadellEmilia.it” e di “QuotidianoWeb.it”.

Mi sembra doveroso ricordare la genesi”, Così apre i lavori la professoressa Capolupo “Quando la genesi inizia male non può terminare bene.”

L’incipit della cattedratica lascia intendere, senza alcuna ombra, quali difficoltà potranno riscontrarsi per portare a termine l’operazione giuridica. “All’art 116 si può assegnare l’emblema di peggiore enunciazione della Costituzione”, calca la mano la Capolupo.

Sempre ad colorandum, prosegue la professoressa, ho l’impressione che quello che va a delineare questo progetto è un assetto irreversibile. E’ agghiacciante ma è così. Proviamo a pensare se un domani ci dovesse essere una diversa maggioranza con diverse sensibilità e volesse ripristinare lo stato precedente, e siccome si dovrà passare comunque attraverso lo strumento delle intese, quali regioni saranno disposte a mollare le cose che ha conquistato. È irreversibile anche perché questa legge non potrebbe nemmeno essere abrogata attraverso il referendum. Ed è per questo che vedo difficile l’introduzione di questa legge in un giudizio di legittimità costituzionale”.

Nel lungo intervento, la docente dell’Università Federico II di Napoli, ha sciorinato tutta una serie di lacune che nel corso degli anni e dei diversi governi, anche di colori opposti, sono state introdotte per rendere il quadro assai complesso.

Il Dottor Monea Pasquale, Segretario generale della Città metropolitana di Firenze, intervenendo si domanda in via preliminare quanto possa incidere questa riforma sul Paese Italia.

Ma il timore verso il “Grande Nord” è ciò che i sindaci intravedono in questo progetto.

Inoltre, l’apporto degli Enti Locali è stato limitatissimo e l’attuazione del regionalismo, come esce dalla proposta lo vede maggiormente rivolto verso il gestionale piuttosto che il legislativo.

Un ulteriore rischio, secondo il dirigente fiorentino, si annida nella volontà di istituire nuovi enti e organismi che andranno ulteriormente ad appesantire le amministrazioni e i costi regionali.

Forti dubbi vengono espressi anche dal Prof. Daniele Trabucco, SSML/istituto ad Ordinamento universitario “san Domenico” di Roma/Campus “Unidolomiti” di Belluno, in quanto sembra che nessuno si sia messo a calcolare l’impatto dell’oggetto del conferimento. “Siamo davanti a una ipotesi di regionalismo malfatto, di natura asimmetrica, simile a quello spagnolo.”

Trabucco inoltre intravede grandi ombre di ideologismo riguardo all’art. 116, dove si perde di vista la centralità del Parlamento e la possibilità delle camere di discutere e proporre emendamenti, relegandole a approvare o meno le proposte legislative.

Sollecitato dalla affermazione della professoressa Capolupo, riguardo al primato dell’art 116, il Prof. Carlo lannello, Università degli Studi “Luigi Vanvitelli” della Campania, afferma che alla pari del 116 il primato negativo lo condividono anche il 117 e il 114.

Ovviamente anche per il professore campano, le diverse fazioni che misero mano alle riforme lo fecero pensando di ottenere un riconoscimento elettorale.

La riforma del Titolo V della costituzione, voluto dalla sinistra nel 2001, avrebbe dovuto servire a vincere le elezioni al NORD, ma così non fu anzi le perse pure al SUD, e in eredità restò una riforma malfatta che andrebbe totalmente rifatta.

L’art. 116 si appoggia alla norma scriteriata che è l’art. 117, che assegna alle regioni il coordinamento della finanza pubblica, la competenza sui porti e aeroporti, sul commercio estero, sulle grandi reti di comunicazione e telecomunicazioni. Di fatto infrastrutture di valenza nazionale.

Quello che mi infastidisce, conclude Carlo Iannello, è l’ipocrisia di chi, pur avendo fatte riforme peggiori, oggi si scaglia contro la legge Calderoli”.

Impossibilitato a partecipare il Prof. Francesco Carlesi, SSML/istituto ad Ordinamento universitario o “san Domenico” di Roma/Campus “Unidolomiti” di Belluno,ha inviato un testo che è stato letto dal moderatore così riassumibile:  “Il tema dell’autonomia differenziata chiama in causa regioni ed enti locali, e non si può negare che la valorizzazione dei territori sia un elemento importante se si vuole ricostruire il tessuto sociale della Nazione in questi tempi di crisi spirituale ed economica. L’idea di comunità animò ad esempio l’esperienza di Adriano Olivetti, il quale seppe coniugare l’innovazione, la cultura e l’elevazione del lavoro con uno sconfinato amore per il territorio, creando un modello all’avanguardia. La sua idea spiccatamente federalista prevedeva addirittura la scomparsa dei partiti in favore di rappresentanze comunitarie locali, e rimane per alcuni versi ancora attuale.

Ritengo però che un eccessivo potere conferito alla dimensione locale rischi di minare la coesione sociale dell’Italia (in primis per quanto riguarda l’annosa “questione meridionale”), stretta tra guerre economiche e “vincoli esterni” sempre più stringenti. Le stesse “transizioni” digitali ed energetiche rischiano di rendere il nostro Stato attore sempre più attore passivo rispetto a chi detiene le materie prime e i chip fondamentali per attuare i cambiamenti verdi e tecnologici posti in cima all’agenda europea, con pochi riguardi verso la complessa realtà economica della penisola, in cui interi settori potrebbero accusare il colpo in maniera drammatica. In questo senso, emerge allora la “necessità di strutture unitarie e finalizzate per l’economia italiana” di cui parlò Gaetano Rasi sin dagli anni ’80“.

Il Professor Diego Fusaro, Filosofo e docente presso Istituto Alti studi strategici e politici, ha inteso dare un contributo storico filosofico, essendo un settore disciplinare molto diverso dal suo e una materia sulla quale ancora non ha maturato una posizione chiara.  “La mia sarà una posizione problematizzante non avendo ancora maturato una posizione del tutto chiara. Il tema che stiamo discutendo si presta a varie declinazioni. Può essere una porta girevole, che può portarci verso prospettive differenziate. Il Tema del regionalismo differenziato infatti se guardiamo alla sua genesi, affonda le sue radici nel tema del federalismo. Una ripresa moderna della tradizione federalista. Ma può essere anche una ripresa, sotto mentite spoglie del vecchio tema della secessione, della secessione dei ricchi”.  Il rischio maggiore, conclude il filosofo, è una “balcanizzazione dell’Italia”.

Prof. avv. Paolo Menarin, SSML/istituto ad Ordinamento universitario o “san Domenico” di Roma/Campus “Unidolomiti” di Belluno e Avvocato del Foro di Vicenza, introduce osservando che si terrà “distante dai risvolti politici e dalle opinioni personali sul DDL Calderoli ma mi limiterò alle problematiche procedurali, soprattutto a quello che è l’inizio di quello che è l’atto di iniziativa in merito alle attribuzioni di autonomie come recita l’art. 2 della costituzione.

“Il sentito il parere degli Enti locali, prosegue l’avvocato, è di tutta evidenza un parere obbligatorio consultivo ma non vincolante. Il DDL Calderoli, come ben evidenziato dall’intervento del professor Trabucco, non è altro che attuativo rispetto all’art 116 secondo le modalità stabilite dalle autonomie locali.”

La criticità che concerne gli enti locali, è probabilmente la più rilevante ma sono decine le criticità che si rilevano nel complesso giuridico.

L’avvocato Menarin, conclude che le preoccupazioni espresse sono assolutamente ragionevoli e che “se mai arriveremo in fondo e il “se” è veramente grande, la montagna alla fine partorirà un topolino”.

È il Professore. Avv. Michele Borgato, SSMLJ/istituto ad Ordinamento universitario “Unicollege” di Mantova e Avvocato del Foro di Padova, a riprendere l’ordine storico del regionalismo dall’origine del 1948 ai giorni nostri.

Una prima considerazione, una sorta di peccato originale, è che il regionalismo è stato pianificato senza tener conto delle istanze periferiche, tanto è vero che i primi trasferimenti avvennero solo nel 1977 (DPR 616).

Quindi la riforma Bassanini e infine la riforma del Titolo V, che di fatto è un contenitore vuoto e non definisce i contorni e i contenuti motivo per cui spesso si è dovuto intervenire con la Corte Costituzionale la quale ha individuato anche le materie di competenza trasversale facendo, di fatto, aumentare il contenzioso. 

In più ogni volta che è intervenuta si è andato verso un accentramento delle competenze svuotando le competenze periferiche.

La riforma del Titolo V – sottolinea Borgato – ha portato una innumerevole mole di problemi soprattutto per quanto riguarda la materia legislativa concorrente. L’art. 117 terzo comma, si è rivelato un insieme di contenitori vuoti che non definivano chiaramente i contenuti

Nel 2017, per dare una scossa allo Stato centrale, le Regioni Lombardia e Veneto fecero un referendum, pur sapendo che non avrebbe portato nulla ma utili per richiamare l’attenzione al problema.

Per Borgato occorrerebbe cambiare tutta l’architettura e lo schema organizzativo in quanto non ritiene che l’applicazione dell’art. 116 comma terzo possa portare a miglioramenti in quanto tutte le scelte sono state operate dallo stato centrale e niente porterà a valorizzare le istanze periferiche.

Sarebbe il caso veramente di ripensare a una nuova architettura, magari anche pensando a uno Stato federale”.

Infine, a chiudere gli interventi, è il Prof. Matteo Orlando, Direttore della testata on line “inFormazione cattolica” e “La Fede quotidiana”, che inizia a riflettere su alcuni termini ascoltati quest’oggi.

Autonomia significa la facoltà di amministrarsi senza possedere la indipendenza politica, un apratica amministrativa, quindi esclude rapporti paritari e i poteri autonomi possono essere ritirati dallo stato centrale in qualsiasi momento.

Decentramento anche questo termine poggia sulla idea di lasciare una certa autonomia amministrativa che lo stato centrale non riesce a svolgere.

Il decentramento dà solo l’illusione dell’autogoverno. Devolution, è un termine, che viene dal latino, è un trasferimento di poteri, come il decentramento e l’autonomia non è in contrasto con il centralismo.

Un altro termine che è stato molto discusso è Secessione. Il termine secessione però è un errore terminologico rispetto al federalismo perché il federalismo necessita di un atto di adesione con atto contrattuale e sempre revocabile.

In Italia non può esistere l’ipotesi di secessione non esistendo lo stato federale.

Per questi motivi mi permetto di suggerire un modello che ho chiamato Federale, Sovranista Comunale e Consortile con lo spostamento delle materie ai comuni lasciando allo Stato centrale quanto di natura nazionale e il centro di potere diventerebbero i comuni.

Un esteso dibattito ha portato a conclusione l’evento seminariale per qil quale è doveroso ringraziare SSML istituto di ordinamento universitario San Domenico

La Rivista scientifica di FASCIA A Ambiente e Diritto (Rivista telematica), Il Master di II livello in servizi pubblici locali e Informazione cattolica.

Lamberto Colla Direttore

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dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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