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“Il sequestro del marò, conversazione con Mario Capanna”, di Massimiliano Latorre

Uno dei due protagonisti della triste vicenda – Massimiliano Latorre – ha voluto ricostruire l’intera storia in un libro, pubblicato dalla casa editrice La Vita Felice a novembre scorso.

Accadde il 15 febbraio del 2012 la famosa vicenda che vide coinvolta la petroliera Enrica Lexie e la sparatoria di due pescatori indiani, da cui nacque una lunga disputa internazionale tra Italia e India. 

In quella data, la nave in questione, battente bandiera italiana, stava per essere attaccata da pirati e i fucilieri italiani alla fine si videro costretti a sparare colpi di avvertimento. 

Ma furono indagati per omicidio e subirono il carcere. 

Il 26 giugno del 2015 l’Italia chiese di risolvere la questione con l’arbitrato, rivolgendosi al tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo. 

Il tribunale arbitrale era così composto: Francesco Francioni, rappresentante italiano; Patibandla Chandrasekhara Rao, rappresentante indiano; Jin Hyun Paik (sudcoreano) e Patrick Robinson (giamaicano), scelti da Vladimir Golicyn, presidente del tribunale.

All’unanimità, il tribunale arbitrale stabilì che: l’India non aveva violato l’articolo 87 della Convenzione Onu sul diritto del mare nel far cambiare rotta alla petroliera e tornare indietro; né aveva violato l’articolo 97 della medesima Convenzione, dato il processo penale imbastito a carico dei militari italiani; il Paese indiano non doveva alcun risarcimento per il danno morale ricevuto dai due marò e per il sequestro della nave. 

Era l’Italia, secondo il tribunale internazionale, ad aver violato l’articolo 87 della Convenzione e, pertanto, l’India aveva diritto al risarcimento. 

«Lo Stato italiano dovette pagare un’offerta risarcitoria, accettata dalla Corte suprema indiana, pari a 100 milioni di rupie, equivalenti a 1,1 milioni di euro», scrive Massimiliano Latorre.

L’excursus si conclude con la sentenza di archiviazione del procedimento che lo riguardava (insieme a Salvatore Girone), emessa dalla Giustizia italiana (Tribunale di Roma) in data 31 gennaio 2022. 

Ci sono voluti ben 10 anni durante i quali è emersa l’inadeguatezza delle Autorità italiane (civili e militari) nella tutela dei propri militari, forse sacrificati per altri interessi.

È significativa la domanda/riflessione rivolta da Mario Capanna a Massimiliano Latorre: «Da fonti dell’ambasciata italiana a Delhi, e da altre ministeriali, emerge che nel ventennio 1991-2001 l’interscambio commerciale Italia-India è passato da 708 milioni di euro a 8,5 miliardi, raggiungendo i 9,1 miliardi nel 2019 (l’Italia è il quinto partner dell’India fra i Paesi dell’Ue). E’ dunque verosimile che la posta economica in gioco abbia avuto il suo peso nella vostra vicenda, tanto più che l’India aveva – e ha – uno sviluppo in forte crescita. Questo può spiegare l’atteggiamento cauto dell’Italia, soprattutto all’inizio (ma non solo), nella vostra disavventura. E richiama il comportamento del nostro Paese nei confronti dell’Egitto a proposito del caso Regeni: prima gli affari e, poi, le questioni morali e legali… Che dici?»

Sotto forma di conversazione tra l’autore e Mario Capanna, il libro espone, oltre ai fatti accaduti al largo delle coste del Kerala (Stato dell’India sud-occidentale), la storia umana, professionale e giudiziaria di un servitore dello Stato, Massimiliano Latorre, fuciliere della Marina militare italiana, allora a bordo della petroliera, poiché era impegnato in attività di antipirateria (faceva parte della Compagnia Operazioni Navali del San Marco).

Vi è anche un capitolo dedicato all’incontro con Sonia Gandhi, che aveva allora da poco perso le elezioni. 

L’origine italiana dell’ex premier indiano non giocò a favore dei due marò: i partiti indiani di opposizione attaccavano con veemenza.

E per questo motivo, lei «diede indicazioni al proprio partito di trattare la questione con la massima fermezza».

La vicenda è entrata a far parte di diritto nella storia d’Italia ed è tornata d’interesse, perché nel mese scorso da fonti giornalistiche trapelava la notizia dell’intenzione di uno dei due marò di far causa all’Italia, per ottenere un risarcimento per i danni patiti. 

Le tensioni del caso, che tenne allora l’Italia con il fiato sospeso, sono forse ancora ben lunghe dallo spegnersi definitivamente.

Matteo Pio Impagnatiello

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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