Dopo la presentazione al Festival di Cannes 2024, arriva finalmente nelle sale italiane Bird, l’ultima opera della regista britannica Andrea Arnold, una delle voci più taglienti e originali del cinema contemporaneo.
Con questo nuovo film, Arnold torna nei luoghi dimenticati, lontani dalle scenografie hollywoodiane del centro londinese, per raccontare ancora una volta il mondo ai margini. Il suo stile, a metà tra l’impegno politico di Ken Loach e la brutale giocosità di Terrence Malick, non si fonda su intrecci narrativi complessi o protagonisti idealizzati, ma su uno sguardo: quello dei corpi, delle periferie, dei gesti minimi e violenti che raccontano più delle parole. Dalla dolcezza rabbiosa di Fish Tank al manifesto ambientalista e tremendo di Cow, Arnold ha costruito un’estetica che vive nell’interstizio tra empatia e crudezza. I suoi film non cercano di spiegare il mondo: lo restituiscono nella sua materia viva, lasciando spazio al tempo, al silenzio, alla semplice presenza.
Bird si inserisce perfettamente in questa poetica, e forse la amplia come mai prima d’ora. In questa sua ultima opera, infatti, Arnold si spinge oltre i confini consueti del suo cinema, conducendo una narrazione ambigua, stratificata, che assume i tratti di una fiaba moderna.
Il film si muove in una zona liminale, dove la durezza del contesto sociale si mescola con elementi simbolici e allusivi, dando vita a un racconto che trascende il semplice realismo per aprirsi a una dimensione più astratta e universale. Sospeso in un’atmosfera onirica che non anestetizza il dolore, ma lo trasfigura. La fuga dalla realtà messa in scena non è evasione, ma atto di resistenza. È un racconto che si interroga non solo su cosa mostrare, ma come farlo sentire, immergendo lo spettatore in un’esperienza percettiva e sensoriale più che narrativa.
In questo senso, è forse l’opera che più radicalmente fonde nella filmografia di Arnold i due poli che da sempre la animano: da un lato, la crudezza del reale, dei corpi, della vita che si consuma ai margini; dall’altro, una tensione lirica che cerca nella bellezza, nella luce, nell’invisibile, una via di riscatto o almeno di comprensione. È una sfida formale e poetica, che rende Bird un film complesso, sfuggente, ma profondamente coerente con la visione della sua autrice la quale sembra quasi aver condensato due generi in una grande matrioska.
Nota di merito anche per l’importante cast caratterizzato dai due degli attori più talentuosi del nuovo panorama artistico internazionale: Barry Keoghan e Franz Rogowski, entrambi perfetti nel dare corpo e fragilità a due personaggi estremamente complessi. Accanto a loro, la giovane Nykiya Adams sorprende con una prova attoriale di rara profondità, capace di restituire una tenerezza che supera di gran lunga la sua età.
Eppure, nonostante queste ottime premesse, e sebbene la critica abbia salutato Bird con entusiasmo in molti ambienti festivalieri (in particolare Cannes), il film lascia spazio a qualche crepa. L’incontro – o forse lo scontro – tra il realismo sociale tipico della Arnold e una dimensione più simbolica e allegorica non sempre trova un equilibrio convincente. Il personaggio enigmatico di Bird che a tratti sembra attingere a un immaginario più vicino al “Birdman” di Iñárritu che al cinema radicato nel reale della regista britannica. Il risultato è un ibrido affascinante ma instabile, dove la tensione tra sogno e degrado, tra naturalismo e astrazione, rischia a tratti di diluire quella forza emotiva diretta che ha sempre distinto il lavoro della regista britannica.
Se a tratti inciampa nella sua ambizione di tenere insieme realtà e metafora, rimane comunque un’opera che sfida i confini del linguaggio cinematografico. Andrea Arnold continua a esplorare con libertà la vita nei territori marginali dell’inconscio collettivo, restituendo al cinema una funzione sociale. E anche quando vacilla, il suo sguardo resta unico: perché non punta a intrattenere, ma a far sentire. E nel rumore di fondo del cinema contemporaneo, è un eco che vale sempre la pena ascoltare attentamente.
Samuel Campanella
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it