La negazione del rapporto essenziale tra diritto e giustizia comporta logicamente il rifiuto dell’ammissibilità della categoria del diritto naturale, cioè di un diritto la cui origine sia anteriore alla volontà e al potere degli uomini, basandosi sulla natura stessa dell’uomo e dei suoi rapporti sociali (intendendo «natura» nel senso metafisico di essenza che nell’uomo connota anche la sua libertà).
Questa è la tesi fondamentale del positivismo giuridico in tutte le sue varianti: il diritto è solo diritto positivo, cioè posto dall’uomo. Ne consegue la negazione per definizione del diritto naturale quale realtà giuridica.
Il punto chiave per caratterizzare, invece, l’autentico giusnaturalismo è il riconoscimento della realtà del diritto naturale quale vero diritto vigente.
L’impostazione che separa il diritto dalla giustizia tende a vedere il sistema normativo giuridico quale struttura di coercizione, legata alla volontà-potere (anzitutto dello Stato) che si impone ai singoli.
Norme, diritti, obblighi, fondamento e coerenza della giuridicità, ecc. sono concetti che certamente possono rientrare nel lessico positivista, ma l’esito implacabile della sua logica conduce verso una scissione del diritto da ogni legame con la realtà ontologica della persona, in modo che ciò che resta è una realtà puramente formale e tecnico-strumentale, la cui specificità viene normalmente ravvisata nel monopolio della forza.
Il contenuto delle norme, nonché i valori ispiratori, sarebbero giuridici nell’esatta misura in cui fossero assunti di fatto da un concreto ordinamento di diritto, potendo ovviamente esserci ordinamenti giuridici che veicolino qualunque contenuto e valore (cit. C.J. ERRÁZURIZ M.)
Prof. Daniele Trabucco Costituzionalista
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it