Il fotografo Fabio Conti nasce a Roma nel 1987 e fin da bambino l’attrazione per film, fumetti, illustrazioni e immagini fotografiche, lo porta a sviluppare una forte passione per la comunicazione visiva. Studia la fotografia da adolescente, all’ISA Roma II, e la approfondisce in seguito fotografando in strada e in viaggio. Le sue fotografie sono state pubblicate da New Internationalist, Altreconomia, Left, In Natura, InsideOver, e National Geographic Italia (versione online).
Oggi Conti si è soffermato su San Lorenzo, rione popolare ma centrale di Roma, a due passi dalla stazione Termini, dalla Caritas Diocesana la cui fila per un pasto è sempre più lunga, ma anche dai palazzi eleganti, in stile umbertino, del centro.
San Lorenzo prende il nome dalla basilica omonima, la cui struttura primitiva risale al IV secolo. Il suo corpo architettonico è stato ferito dai bombardamenti americani del ‘43, ed è qui che Maria Montessori ha istituito la prima “Casa dei Bambini”, operazione di riqualificazione del quartiere volta a generare opportunità di lavoro e di educazione. San Lorenzo, quartiere storico della sinistra verace, quando il PC era un partito di massa, zona della gioventù nottambula e degli studenti della facoltà di psicologia, ma anche, non di rado dello spaccio e dei furti.
Intervista al fotografo Fabio Conti, dalle piazze del dissenso a San Lorenzo
Fabio Conti, San Lorenzo un racconto per immagini, è un libro fotografico edito da Palombi Editori. Perché proprio questo quartiere?
Ho dei legami con il quartiere di San Lorenzo. Mia nonna viveva qui. Perse casa a seguito del bombardamento del 19 luglio 1943. All’epoca era solo una bambina. Tra i primi ricordi della mia vita c’è mia madre che attraversa Piazzale del Verano per portarmi all’asilo, proprio a San Lorenzo. Poi ci sono tornato da adolescente. Avevo dimenticato questo posto se non per qualche ricordo sbiadito. L’ho riscoperto restandone affascinato. Al di là dei legami passati, il quartiere mi ha sempre ricordato tempi mai vissuti di cui sento inspiegabilmente la nostalgia. Una sorta di paese all’interno della città, un luogo di forza ispiratrice. Ho sentito il bisogno di raccontare una storia, di consegnare delle buone fotografie che potessero testimoniare un mondo complesso. Dal tessuto urbano, tra dettagli e vedute di muri, palazzi e strade, immerso nella coesistenza tra antico e moderno, all’abbraccio con la vita di quartiere.
Ricorrenze, drammi, attimi di umili ma orgogliose esistenze e momenti di condivisione. A San Lorenzo succede sempre qualcosa. Così mi sono perso nel reticolato delle sue vie, nel forte senso di comunità, alla ricerca dei suoi segreti nelle due realtà distinte del giorno e della notte. E’ qualcosa che ero solito fare quando fuggivo dalle aule universitarie e mi formavo come fotografo, in passi incerti, tra questi alti palazzi. Mi ero innamorato della solitudine del fotografare, ero già innamorato di San Lorenzo. Ci è voluto del tempo, di conseguenza dell’esperienza, prima di saper unire entrambi i sentimenti in un unico progetto.
Lei aveva anche altre storie da raccontare, infatti ha scattato le foto delle proteste che hanno infiammato le piazze tra il lockdown e il Green Pass. So che preferisce le immagini alle parole, ma ci racconta qualcosa anche di queste forti esperienze?
Parliamo di tre anni di documentazione del dissenso. Non saprei nemmeno da dove cominciare per tutte le storie vissute e fotografate in strada. E’ stata un’esperienza inusuale, molto dura, da cui è uscito anche un volume fotografico (Dissenso – Una questione umana). Fondamentalmente sono sceso in strada quando ho compreso che la narrazione predominante faceva acqua da tutte le parti. Non poteva essere altrimenti per la comunicazione e i metodi presentati: utilizzo di etichette, produzione continua di odio e divisioni sociali, discriminazioni, bugie di ogni genere, censura, strumentalizzazioni, attacco al pensiero critico, riferimenti alla guerra ed esaltazione di personaggi poco raccomandabili.
Quello che stava succedendo non poteva essere accettabile. L’ho rifiutato subito. Ho cercato e ancora oggi cerco, di farlo capire a più persone possibile nella speranza che non si ripeta più. Ho come il forte presentimento che a qualcuno, in un futuro non troppo lontano, verrà voglia di replicare tutto questo. Per far finire certe cose vanno fatti finire certi sistemi. Per me non c’è alcun singolo salvatore se non una collettività che si percepisce come famiglia e che combatte e si espande per accrescere la coscienza. La consapevolezza dei popoli è la reale salvezza. E’ l’unica cosa che non può essere fermata se alimentata dalla cultura, dalla voglia di verità e libertà.
Ci sono anche medici illuminati, come Maria Montessori, terza donna in Italia a laurearsi nell’arte di Ippocrate. “Era la fine del 1906. Tornavo da Milano […]. Fui invitata dal direttore generale dell’Istituto dei Beni Stabili di Roma ad assumere l’organizzazione di scuole infantili da crearsi nelle case popolari. La magnifica idea era di riformare un quartiere pieno di rifugiati e di misera gente, come quello di San Lorenzo a Roma. V’erano operai disoccupati, mendicanti, prostitute, condannati appena usciti dal carcere, i quali tutti avevano cercato rifugio tra le pareti di case rimaste incompiute a causa della crisi economica, che aveva interrotto ogni costruzione in tutto il quartiere. Il progetto, ideato dall’ingegnere Talamo, si proponeva di comperare tutte quelle mura, quegli scheletri di case e completarli man mano, rendendoli abitazioni stabili per il popolo. Questo piano fu accoppiato con la idea veramente mirabile di raccogliere tutti i bambini al di sotto dell’età scolastica (dai tre ai sei anni) in una specie di scuola della casa. [… ] Frattanto la prima scuola si doveva aprire nel gennaio del 1907, in una grande casa popolare del quartiere di San Lorenzo. Questo tipo speciale di scuola fu battezzato con l’incantevole nome di “ Casa dei Bambini”. La prima di esse fu aperta, con questo nome, il 6 gennaio 1907, in via dei Marsi, 53, e a me fu affidata la responsabilità della direzione”, sono le parole di Maria Montessori dedicate al rione del suo cuore. Come le commenta?
Il quartiere di San Lorenzo è nato come rione operaio, addirittura fuori dal Piano Regolatore. Era una realtà difficile, povera, composta da gente che sapeva perfettamente cos’era la sofferenza. Ancora oggi lì possiamo percepire delle tracce di ciò che è stato. Il solo fatto di dedicarsi a queste persone, in particolare i bambini, è come ha detto la grande pedagogista: mirabile.
Ogni tanto, in solitudine, torno ad osservare i luoghi fotografati. La Casa dei Bambini di Maria Montessori è uno di questi.
Parliamo ora delle immagini del futuro, cosa vede nell’obiettivo dei prossimi progetti?
A dire il vero oggi faccio fatica a pensare ad un altro progetto. Non è facile. Un progetto lo devi sentire tuo, ti deve appassionare a tal punto da coinvolgerti totalmente, quasi al punto di non essere mai stanco. Riprendere a viaggiare e raccontare realtà lontane e diverse potrebbe aiutarmi a schiarire le idee.
Giulia Bertotto