“Gocce dello stesso mare” non è solo un libro: è una testimonianza intensa, a tratti dolorosa, ma sempre umana e autentica, che racconta il percorso di chi ha scelto di non girarsi dall’altra parte.
Paola Fara, architetto novarese, madre e donna impegnata, mette nero su bianco l’esperienza vissuta accanto a coloro che si definiscono “danneggiati da vaccino”, persone che, dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid19, hanno subìto effetti avversi gravi e debilitanti.

Il testo si presenta sin da subito come una cronaca personale e partecipata, non scientifica, ma empatica. Non intende fornire dati o teorie mediche, bensì raccogliere voci, storie e dolori spesso ignorati o derubricati. È un libro che nasce dalla consapevolezza maturata da un’esperienza diretta e dall’incontro con persone colpite nel corpo e nell’anima, isolate da una società incapace, o non disposta, ad ascoltarle.
Tra le pagine si respira il peso dell’incomprensione, della solitudine e, soprattutto, dell’abbandono istituzionale. Il lettore viene condotto nel cuore di una comunità invisibile: quella dei cittadini che, dopo aver adempiuto a un dovere civico e sanitario, si sono ritrovati a fronteggiare non solo i danni alla salute, ma anche il silenzio delle istituzioni, lo scetticismo dei medici e il giudizio di una società divisa, spesso cinica.
Fara si unisce al Comitato Ascoltami, fondato da Federica Angelini, e inizia un percorso fatto di ascolto, testimonianza e attivismo. Non si tratta di una crociata contro i vaccini, ma della richiesta di riconoscimento, cura e giustizia per chi è rimasto indietro. La narrazione, sincera e diretta, evita toni sensazionalistici e mantiene uno stile accessibile a tutti, proprio perché vuole parlare a chi ancora non sa, o non ha voluto sapere.
Il libro è anche un appello alla società civile: una chiamata alla responsabilità collettiva. Fara si rivolge in particolare ai giovani, spesso assenti nei dibattiti pubblici e poco inclini a mettere in discussione il racconto dominante. Li invita a riscoprire il senso critico, a non lasciarsi anestetizzare dalla comodità o dalla paura. Perché, come suggerisce il titolo stesso, siamo tutti gocce dello stesso mare. E ciò che accade ad alcuni, prima o poi, tocca tutti.
Abbiamo rivolto qualche domanda all’autrice per capire meglio la stesura del libro:
Nel suo percorso di ascolto e vicinanza ai danneggiati dal vaccino, qual è stata la storia che più l’ha colpita e che ritiene simbolica dell’intero fenomeno?
Non è facile fare una scelta. Ho negli occhi, e nel cuore, tutte le persone che ho incontrato ai gazebo sul territorio o che mi hanno cercata per essere aiutate: non potrò mai dimenticare i loro sguardi angosciati, i loro racconti di salute perduta e di abbandono.
Ma una storia mi ha indubbiamente molto colpito. Francesca, giovane donna, insegnante brillante, sportiva e particolarmente attiva, dopo la prima dose di siero sviluppa reazioni avverse molto pesanti che la portano, in breve tempo, a cadere in uno stato quasi vegetativo. Avevo letto la sua storia terribile nel libro di Roberto Biasotti, Effetti Collaterali. Qualche tempo dopo avevo ricevuto alcuni messaggi sul cellulare da un numero sconosciuto e, con grande stupore, avevo capito che non poteva che essere lei. Ciò che diceva, le parole ripetute che non ricordava di aver già scritto, la descrizione della sua situazione, tutto corrispondeva a quanto avevo letto nel libro. Cercava disperatamente aiuto. Cercava qualcuno che fosse in grado di comprendere bene la diagnosi alla quale era arrivata dopo tantissime visite: un gravissimo danno cerebrale. Io non ho queste competenze quindi avevo cercato di aiutarla mettendola in contatto con una dottoressa di mia conoscenza e ricordo bene di essermi chiesta come potesse un essere umano sopportare tutto ciò.
Poco tempo dopo mi era giunta la notizia che Francesca si era suicidata. Istintivamente avevo guardato il suo contatto Whatsapp e mi ero accorta che vi era un ultimo accesso nelle ore appena precedenti al suo gesto: questo particolare mi aveva molto turbato e mi ero sentita terribilmente impotente.
I giornali locali avevano parlato di fragilità psicologica, ma avevano naturalmente omesso quale potesse essere la causa.
So di altre persone danneggiate che in questi anni si sono tolte la vita, non trovando soluzione a problemi di salute devastanti e non vedendo una via di uscita.
Quali sono, secondo lei, i passi concreti e urgenti che lo Stato dovrebbe compiere per restituire dignità, cure e giustizia a queste persone dimenticate?
Credo che un segnale importante alle nostre istituzioni dovrebbe venire dai medici che tuttora tendono ad evitare di parlare di vaccino e tantomeno a scrivere di correlazione, anche quando tutto porterebbe a confermarla. Non posso fare a meno di pensare a ciò che disse il dottor Barbaro, cardiologo di Roma, durante un’intervista, quando spiegò che un medico che abbia una buona esperienza clinica non può non accorgersi di quanto sta accadendo. Se lo nega è perché è ignavo. Invece, ancora oggi, una parte della classe medica si esprime con affermazioni ormai inascoltabili, prive di qualsiasi fondamento scientifico, e ignorando totalmente i numerosi studi che confermano l’inefficacia e la pericolosità di questi profarmaci. Forse perché, fin dall’inizio, buona parte di loro si è piegata agli inviti, che sarebbe forse meglio definire ricatti, ad inoculare il maggior numero possibile di pazienti? Ed ora diventa difficile cambiare posizione?
I passi urgenti che lo Stato dovrebbe compiere potrebbero partire proprio dal riconoscimento di questo problema, cosa che mi risulta sia stata fatta in altri paesi europei. Dall’aggiornamento degli elenchi delle patologie correlabili che hanno a disposizione i medici della commissione militare alla quale devono rivolgersi i danneggiati per ottenere una certificazione che possa permettergli di provare a richiedere un indennizzo. Sono elenchi vetusti, che parlano anche di menomazioni conseguenti a conflitti, inadatti a questa situazione. Non dimentichiamoci che questi nuovi malati si trovano ad effettuare analisi e visite principalmente in forma privata non potendo attendere i tempi del servizio sanitario nazionale. Hanno prosciugato i loro risparmi, hanno dovuto chiedere finanziamenti per sostenere i costosi accertamenti da fare per arrivare ad una diagnosi e quindi ad una possibile terapia. Le cure stesse poi spesso prevedono l’uso di integratori il cui costo è totalmente a carico del paziente. Andrebbero perciò istituiti degli ambulatori dedicati all’interno degli ospedali, nei quali i danneggiati possano trovare l’appoggio di diversi specialisti. Il danno subìto è spesso un danno sistemico, che coinvolge diversi organi, quindi c’è bisogno di un approccio multidisciplinare.
Non sarà facile ottenere dallo Stato passi concreti a sostegno dei danneggiati. Un rappresentante delle nostre istituzioni, durante un incontro di persona con Federica Angelini, aveva affermato: ‘Sappiamo che esistete ma, vede, per lo Stato italiano non siete previsti’.
Al contempo penso che la determinazione dei comitati che si sono creati in questi anni con lo scopo di ottenere cure, verità e giustizia per i danneggiati e i deceduti in seguito alla scriteriata campagna vaccinale e alla gestione del periodo Covid, sarà fondamentale per arrivare ad essere ascoltati. A mio parere è molto importante continuare a mantenere alta l’attenzione su quanto è accaduto e che ancora si cerca di negare: il danno fatto alla salute delle persone, all’economia, alle relazioni, agli affetti, è incalcolabile. E tutti possono contribuire a portare consapevolezza, con gli strumenti che la vita offre. Perché oltre ad essere gocce dello stesso mare, cioè parti di un’unica umanità, possiamo anche essere gocce che scavano la roccia, granelli di sabbia che inceppano il meccanismo. Ognuno di noi può fare la sua parte.
Questo libro è anche, e soprattutto, un grido. Un grido composto, ma profondo, lanciato da chi soffre nel silenzio, da chi ha perso la salute, il lavoro, la fiducia. Da chi chiede soltanto di essere visto, ascoltato, creduto. I danneggiati da vaccino esistono. Non sono numeri, non sono “casi rari” da dimenticare. Sono persone. Hanno volti, famiglie, storie. E sono stati abbandonati da quello stesso Stato che aveva promesso protezione.
È ora che la società si fermi ad ascoltarli. Che la medicina torni ad essere anche umana,non solo tecnica. Che la politica smetta di ignorare. E che il dibattito torni ad accogliere tutte le voci, anche quelle più scomode.
“Gocce dello stesso mare” è un libro per ricordare che la verità, anche quando è difficile, va cercata. Che la giustizia, anche se lenta, va pretesa. E che la compassione, quella vera, è la base di ogni convivenza civile. Perché nessuno, davvero nessuno, dovrebbe essere lasciato solo nel proprio dolore.
Andrea Caldart
