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Il Silenzio del Sabato Santo: “Descendit ad Inferos” 

Nel silenzio del Sabato Santo (viola) si cela uno dei misteri più profondi della fede cristiana, spesso trascurato nella riflessione teologica, ma carico di significati escatologici e antropologici. 

È il giorno in cui il Verbo incarnato giace nel sepolcro, il tempo della sospensione tra la morte e la risurrezione, in cui l’umanità sembra abbandonata e Dio tace. Eppure proprio in questo silenzio si dispiega un’opera divina di singolare profondità: la discesa agli inferi, il “descensus ad inferos” attraverso cui Cristo raggiunge le profondità della condizione umana per redimerla radicalmente. 

La teologia patristica ha saputo cogliere con straordinaria finezza il significato del Sabato Santo come il giorno del riposo divino, in parallelo con il settimo giorno della creazione. Per i Padri, in particolare per san Gregorio di Nissa e san Giovanni Damasceno, quel giorno rappresenta il compimento del mistero dell’Incarnazione: Dio non solo assume la carne, ma condivide anche la morte per infrangere le porte dell’oscurità e liberare i giusti che attendevano la redenzione. È un’azione che si svolge nel silenzio, ma che ha la portata di una nuova creazione: il sabato diventa così il vero giorno del riposo di Dio, non perché Egli si astenga dal suo agire, ma perché ha portato a compimento ogni cosa, ricapitolandola in Cristo. 

Dal punto di vista della filosofia scolastica, san Tommaso d’Aquino affronta il tema nella “Summa Theologiae”, laddove tratta della discesa agli inferi. Per l’Aquinate, la presenza dell’anima di Cristo nel luogo dei morti non è segno di sconfitta, ma atto trionfale, mediante il quale la virtù della Passione viene applicata ai giusti dell’antico testamento. In una prospettiva metafisica, il Sabato Santo segna l’intersezione tra il tempo e l’eternità: mentre il corpo giace nel sepolcro, l’anima gloriosa di Cristo esercita la sua potestà regale anche al di là della morte. 

È una vittoria “in abscondito”, celata agli occhi del mondo, ma reale nella sua efficacia soteriologica. Sul piano antropologico, il Sabato Santo illumina anche la condizione umana della morte come attesa, come spazio tra il già e il non ancora, tra la promessa e il compimento. La morte, allora, non è più il nulla, ma una soglia, un grembo in cui il Logos, penetrando, semina la vita eterna. 

Papa san Pio X, pur non dedicando una trattazione sistematica al Sabato Santo, ne coglie la portata teologica e liturgica nelle sue indicazioni sulla centralità del Mistero pasquale. Nella sua riforma della musica sacra e nel suo impulso al recupero del senso autentico della liturgia, egli insiste sulla necessità di restituire alla Chiesa il senso del silenzio adorante, dell’attesa carica di speranza che si vive proprio nel Sabato Santo. In particolare, nel contesto del Motu proprio “Tra le sollecitudini”, si delinea un’ecclesiologia che riconduce ogni atto di culto al mistero della Redenzione: in questa prospettiva, il Sabato Santo non è un’interruzione, bensì una preparazione attiva, un tempo gravido della gloria che si manifesterà nella Risurrezione. 

In definitiva, la teologia del Sabato Santo ci invita a contemplare il mistero del Dio che salva nel silenzio, che scende fino all’abisso per redimerlo dal di dentro. È la rivelazione del potere dell’Amore che non teme la morte, ma la trasforma in luogo di incontro, di redenzione, di passaggio. 

Il pensiero patristico e scolastico si congiungono in una sintesi luminosa: il Sabato Santo è il sigillo della promessa, il tempo sospeso in cui l’umanità, con Cristo, attende la luce del terzo giorno. E in questo tempo, come insegna la liturgia, ogni silenzio può diventare preghiera, ogni attesa può trasformarsi in speranza certa.

Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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