Lei è presidente del Movimento Distributista Italiano. Quando nasce il Movimento, a quale pensiero si ispira e da chi è composto?
Il Movimento Distributista Italiano nasce nel novembre 2012 a Bergamo. Si ispira al pensiero distributista di G.K.Chesterton, H.Belloc, padre V.McNabb.
Si tratta di tre grandi cattolici inglesi dell’inizio del secolo scorso, che, di fronte ai mali della società capitalista e social-comunista, ispirandosi all’enciclica Rerum Novarum del 1891 di Leone XIII, elaborarono una visione alternativa basata sul senso comune, la ragionevolezza ed il sano realismo di Aristotele e San Tommaso d’Aquino.
Il Movimendo Distributista Italiano è composto da liberi cittadini, appartenenti a tutti i ceti sociali, animati da buona volontà e convinti che il fine ultimo della politica sia la realizzazione del bene comune e che per attuare il bene comune sia innanzitutto necessario capire a fondo ciò che succede dal punto di vista economico, monetario, finanziario e politico.
Com’è organizzato il Movimento? Facciamo riferimento all’organizzazione interna del medesimo…
Nel nostro sito (www.movimentodistributista.it) si possono trovare tutte le informazioni.
In sintesi, esiste un Comitato Direttivo ed i singoli soci, che si organizzano in gruppi relativamente autonomi sui territori.
Durante la riunione mensile online, aperta a tutti gli iscritti, si discutono insieme tutte le questioni legate alla vita associativa.
Si tratta cioè di creare un giusto equilibrio tra due fattori importanti: la necessità di condividere e coordinare le risorse e quella di favorire la creatività e lo spirito di iniziativa dei singoli.
Il sito internet del Movimento Distributista Italiano (https://movimentodistributista.it) riporta i punti programmatici: vuole parlarcene?
I punti programmatici del Movimento Distributista Italiano sono sei:
- Tutela dell’autonomia economica e finanziaria della famiglia naturale, per intenderci quella famiglia formata da un uomo ed una donna uniti in matrimonio e aperti all’educazione della prole. Con ciò non si vuole abbandonare alla deriva sociale altre forme di aggregazione umana, ma semplicemente riconoscere l’assoluta centralità di tale famiglia naturale per il bene comune. Ciò non vuol dire assistenzialismo o per esempio stipendio statale alle casalinghe, ma creare le condizioni per cui la famiglia possa potenziare la propria sfera di libertà economica reale – soprattutto attraverso l’acquisizione della proprietà dei mezzi di produzione – per es. attraverso la detassazione familiare o la detassazione preferenziale di imprese famigliari con un alto rapporto proprietari/dipendenti.
- Unione tra capitale e lavoro. Si tratta di attuare una politica economica che favorisca la massima diffusione della proprietà produttiva, in modo che ci siano tanti più “proprietari” quanto possibile. Ciò vuol dire favorire la partecipazione degli operai alla proprietà dell’impresa ed alla suddivisione degli utili, senza imporre tale processo dall’alto ma facilitandone lo sviluppo spontaneo dal basso, in base alle reali capacità dei singoli dimostrate sul campo. La stabilità e la prosperità economica si raggiungerà – ripeteva spesso Chesterton – quando ci sarà sempre chi può comprare e chi può vendere.
- La ricostituzione delle gilde o corporazioni di arti e mestieri. Le gilde sono delle comunità di lavoro che raccolgono tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa nello stesso comparto (per esempio sanità, insegnamento, trasporti, commercio, artigianato, industria, agricoltura e alimentazione). Tali comunità, dal punto di vista distributista e secondo il principio di sussidiarietà della Dottrina Sociale della Chiesa, costituiscono il luogo privilegiato in cui si può attuare una vera ed autentica partecipazione politica. Le gilde non sono sindacati, il loro fine non è la mera rivendicazione di interessi di parte. Le gilde infatti, al di là ed al di fuori di ogni sterile divisione ideologica, devono consentire a chi lavora sui territori di discutere e decidere tutte le questioni concrete e pratiche del proprio ambito (per esempio stipendi minimi e massimi, formazione professionale, accesso al credito, tasse e fiscalità, codici deontologici, accesso alla prima casa). Hanno quindi una funzione eminentemente politica. Cecil Chesterton, il fratello del più noto Gilbert Keith, e Hillaire Belloc già nel 1912, nel loro libro “Partitocrazia”, chiarirono come in realtà la democrazia partitocratica è una falsa ed ipocrita democrazia, in quanto sottrae strutturalmente ogni potere reale ai corpi sociali e lo fa, subdolamente, asserendo invece di attuare il massimo della libertà possibile. La libertà della partitocrazia, secondo il pensiero distributista, è quella dei grandi gruppi economici-finanziari di influenzare e condizionare pesantemente, attraverso il potere dei soldi, ogni scelta importante dei parlamenti, come d’altronde la storia e le cronache ci insegnano.
- Dal punto di vista monetario, invertire la tendenza attuale, secondo cui è l’uomo al servizio del denaro, e rimettere il denaro al servizio dell’uomo.
Belloc nel 1938, nel suo libro “Distributismo. La Via d’Uscita dallo Stato Servile”, che abbiamo recentemente tradotto in italiano per le edizioni Fede&Cultura, è stato molto chiaro. Il potere reale, allora come oggi – aggiungo io – è nelle mani di una ristretta oligarchia di creatori del denaro. Si tratta del denaro-debito bancario, creato dal nulla ed imposto come debito a tutta l’umanità. Esiste una schiera di studiosi, italiani e non, tra cui Massimo Amato, professore della Bocconi di Milano, ed il prof. Richard Werner della London School of Economics, che, seguendo l’orma dei loro colleghi degli anni ’30, come il celebre Prof. Irving Fisher di Chicago, hanno denunciato questa vera e propria frode legalizzata che avviene ai danni di tutta l’umanità.
Il Distributismo quindi non propone altro che il denaro, seguendo il pensiero aristotelico-tomista, venga rispettato nella sua natura di mezzo di scambio, senza divenire invece strumento di rapina e speculazione come succede oggi. Per farlo è necessario far si che i proprietari del denaro, al momento dell’emissione, non siano più le banche ma le autorità politiche legittime e che il tasso di interesse od usura venga abolito. Solo così si potrà restituire un minimo di ordine, armonia ed equità al tessuto economico-sociale.
- Il Distributismo ha una visione organica della società e riconosce che in essa esistono dei corpi sociali naturali – famiglia e gilda o corporazioni – che preesistono allo Stato e che lo Stato deve tutelare e difendere. Il luogo in cui naturalmente la vita delle famiglie si realizza è il territorio. E’ giusto quindi, secondo il principio di sussidiarietà, che i vari territori abbiamo il più alto grado di autonomia ed autogestione possibile, evitando le disfunzioni strutturali delle grandi macchine burocratiche statali.
- Uno Stato per il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà. Nella visione distributista lo Stato ha un ruolo importante ma, seguendo la Dottrina Sociale della Chiesa, ben diverso da quello previsto dal liberal-capitalismo e dal social-comunismo. Il suo ruolo principale infatti, nel pensiero distributista, come già detto, è garantire la libertà e massima autonomia possibile delle famiglie e delle gilde, cioè monitorare che i corpi sociali naturali siano in grado di sviluppare al massimo le proprie potenzialità, mantenendo costante il riferimento al bene comune ed intervenendo – se è il caso – per supportarli o nel caso si evidenziassero disfunzioni. All’interno dello Stato distributista la principale forma di rappresentanza politica sarebbe quella che passa attraverso le gilde o corporazioni di arti e mestieri.
Il Movimento Distributista ha organizzato un corso online formativo sul Distributismo. Vuole spiegare in cosa consiste e come ci si iscrive?
Si tratta di 6 serate di circa 1 ore e mezza ciascuna, a partire da venerdì 3 febbraio, in cui verranno esposti i punti cardine del distributismo. Ogni incontro è diviso in una parte di esposizione e una di dialogo con i partecipanti.
Per iscriversi basta mandare una email a info@movimentodistributista.it e versare un contributo spese di 20 euro, che, per chi volesse poi rimanere nel Movimento, possono poi contare anche come quota associativa per il 2023.
Ci sono altre iniziative che il Movimento sta preparando?
Moltissime. Le più significative sono la costituzione della Gilda dell’Alimentazione e della Gilda della Salute.
La nostra intenzione a medio-lungo termine è quella di creare gilde o corporazioni di arti e mestieri in ogni settore lavorativo.
Facciamo anche riunioni via Zoom od in presenza con gruppi esterni che sono interessati ad approfondire il distributismo e collaboriamo con riviste ed associazioni, tra cui l’Osservatorio Van Thuan per la Dottrina Sociale della Chiesa diretto da Stefano Fontana.
Quale apporto reale e concreto può dare il Movimento alla risoluzione dei problemi nazionali italiani?
Mettiamo il caso che la Gilda della Salute riuscisse ad aggregare 100.000 sanitari – attualmente sono circa 600.000 solo quelli del Servizio Sanitario Nazionale.
Questi sanitari sperimenterebbero che è possibile mettere al centro del proprio agire il valore della professione e la qualità dei servizi forniti; che è possibile liberare la fornitura di prestazioni sanitarie, la ricerca e la formazione dall’indebita ingerenza e dai conflitti di interesse dello Stato, dei partiti e del grande capitale, focalizzando così tutte le proprie energie sul servizio ai pazienti e sulla vera scienza; sperimenterebbero che è possibile trovare strumenti monetari alternativi al denaro-debito bancario e garantire un’effettiva sicurezza sociale ai propri iscritti attraverso un uso razionale delle risorse finanziarie esistenti.
Si sentirebbero insomma più liberi, più in grado di essere davvero protagonisti della propria vita, recuperando innanzitutto una forte stima di sé, il vero senso della loro missione e la dignità ed importanza del proprio ruolo lavorativo.
Tale gilda, quindi, diventerebbe una grande forza politica, in grado di ispirare la creazione di gilde negli altri settori e progressivamente abbattere la pseudo-democrazia della partitocrazia.
Siamo convinti che questa sia l’unica strada da percorrere e che si può iniziare ad incamminarci in questa direzione sin da ora, senza più farsi sviare dal vicolo cieco dell’illusione partitica.
Matteo Pio Impagnatiello
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it