Biografia operaia. Asbestos.
Tutto quello che gli operai non dicono. Lo urla fuori il loro corpo. Con la disperazione della malattia verso un faticoso ed estremo commiato.
Capita. Spesso. Nonostante le norme sulla sicurezza.
Aristocrazia operaia: saldatore tubista, carpentiere pesante, metalmeccanico specializzato. E ancora, manutentori. Sanno rimettere in moto un impianto industriale. Lo osservano, lo studiano, mettono le mani al posto giusto e la fabbrica riparte. È una competenza con forte basi tecniche coniugate all’umiltà dell’esperienza e del lavoro sul campo.
È la cultura del lavoro. Chi non ha vissuto la vita di fabbrica si astenga dal dire.
Renato Prunetti è un aristocratico della classe operaia. “Amianto. Una storia operaia”, pubblicato da Feltrinelli, è la storia di uno degli esponenti dell’aristocrazia del settore metalmeccanico.
A scrivere e firmare la biografia operaia, Alberto Prunetti. È una testimonianza di alto valore sociale. Tassello significativo della storia del Paese. E del faticoso percorso delle tutele dei lavoratori: sicurezza e salute.
Un libro potente. Di valore scientifico pari a una indagine sociologica.
Alberto Prunetti è figlio di Renato Prunetti. Nonostante la vicinanza emotiva e la venatura empatica, la narrazione è sine ira et studio, senza animosità e parzialità. Un racconto a tratti scritto in punta di penna. E per lunghe falcate scolpito sulla pietra: le descrizioni degli ambienti di lavoro e la latitanza di adeguati dispositivi di sicurezza trovano odierna e triste conferma in diverse realtà aziendali.
Alberto Prunetti scrive tutto ciò che molti lavoratori del settore metalmeccanico hanno vissuto e vivono. Non è facile dire. E se si dice il rischio è di non essere supportati. Questa sono le parole degli operai a registratore spento, quando l’intervista è finita. Mala tempora currunt.
Maremma-giardino
Ciò che gli imprenditori donano alle comunità è collegato all’obiettivo aziendale: produzione, efficienza, profitto. Giardino sociale dell’impresa sono i teatri, i luoghi di svago, le chiese, le biblioteche, le scuole d’infanzia. Per farsi accettare, l’azienda costruisce servizi sociali. L’autore dedica ampio spazio alla descrizione della propria infanzia e adolescenza nei luoghi del tempo di non lavoro nel territorio della Solvay, la fabbrica che aveva reso bianche le spiagge toscane per i residui delle lavorazioni chimiche.
La biblioteca della ghisa è chiamata così perché allestita in un enorme forno di una fonderia in disuso. È un servizio per tutti, anche per i figli degli operai. Intorno, colline e montagne di trucioli taglienti che l’autore da ragazzo affronta con una bicicletta di allora, senza le caratteristiche tecniche per il fuoristrada delle mountain bike di oggi.
Rosignano-Solvay prende il nome dall’eponimo dell’azienda chimica. Il belga Ernest Solvay propone un modello urbano di ispirazione nordica, che abbozza alle città giardino e a un rapporto diverso tra imprenditoria e territorio. È una sorta di restituzione al territorio da parte dell’azienda per la disponibilità al lavoro delle persone che hanno contribuito a raggiungere gli obiettivi aziendali. Non di rado per sfuggire e per superare veti motivati dall’inquinamento della produzione e dal consumo del territorio. Renato Prunetti viene da Rosignano-Solvay.
L’analisi si sfondo con inserzioni di ricordi personali riporta indietro la pellicola del tempo alla metà degli anni Settanta e ai decenni successivi.
Protagonisti del libro sempre loro: Renato Prunetti e colleghi, la famiglia e la comunità più ampia di appartenenza. L’autore tratteggia i caratteri identificativi di un’epoca italiana, un passato prossimo fortemente pervasivo. Un vivo affresco sociale. La narrazione è fortemente intrisa da inserti analitici. Fino alla descrizione della composizione dei gruppi di studenti del liceo suddiviso in tre sezioni: quella per i figli degli operai, quella per i ricchi e quella del gruppo misto di ripetenti. Dal punto di vista dei rampolli della classe operaia i poveracci erano i figli dei ricchi: gli studenti con la barca ormeggiata e con la possibilità di andare all’estero per studio oppure solo per viaggiare. La classe operaia da una parte, dall’altra il resto della società.
Non è permesso al lettore svincolarsi dal mood di fondo dell’epoca.
Ma il focus rimane l’ampio concetto del diritto alla sicurezza e le mancate azioni per calarlo nella quotidianità. La legge 300 è del 1970 ed è nota come lo Statuto dei lavoratori. È uno dei principali riferimenti del diritto del lavoro in Italia. Eppure, tutele e diritti sfuggono all’attenzione sociale e politica. Allora come oggi.
Nomadismo industriale.
Piombino è l’acciaio. Rosignano-Solvay è la Solvay. A Piombino comincia la storia dell’autore. A Follonica comincia la storia della famiglia di origine, di Francesca e Renato Prunetti.
Il lavoratore metalmeccanico Prunetti si palesa alle casse dell’Inps all’età di quattordici anni. Per un certo tempo alterna il lavoro nelle officine a quello di cameriere, che gli apre uno spiraglio di osservazione su un mondo diverso.
Presto, a matrimonio sbocciato, diventa un nomade dell’industria, un trasfertista. È il livello alto della classe operaia. Lavora per la Gargano, azienda specializzata nell’installazione di impianti industriali. Diventa un lavoratore nomade. Partenza al lunedì mattina all’alba alla volta dello stabilimento, significa poche ore dopo la mezzanotte del giorno precedente. Nessuna distrazione per monumenti o attrazioni turistiche del posto. Solo turni a ciclo continuo, più di una volta senza lo stacco delle sedici ore di intermezzo. I viaggi notturni della domenica e i turni in versione filotto sono variabili che condizionano fortemente l’attenzione, quindi la sicurezza. Il Friuli, il Piemonte e le città delle altre Regioni raggiunte sono gli stabilimenti della Gargano. Gli operai vedono solo la fabbrica. L’unica distrazione a fine turno sono le serate al ristorante con i colleghi. Le squadre di lavoro diventano le famiglie a complemento di quelle rimaste altrove ad aspettare. Il telefono a gettoni per chiamare casa e brindisi ad alto voltaggio alcolico per “imbenzinare” la serata, cioè per affogare la stanchezza. Si va e si torna e quando possibile si portano figli e mogli con sé. Un ricongiungimento familiare e a tempo determinato, una vacanza inaspettata per i bambini. E socializzazione tra le famiglie di operai, una conoscenza reciproca fuori dal tracciato della fattuale collaborazione sul lavoro. I rapporti di amicizia nati in fabbrica passano al setaccio dell’osservazione quotidiana. I delatori hanno poco successo. A scoppio ritardato perdono anche l’interesse di chi aveva commissionato loro servigi e delazioni. Se mai le spie al soldo del padrone abbiano veramente goduto di sincera simpatia.
La fabbrica ha un suo codice d’onore. Soprattutto dove il lavoro è duro.
La sicurezza tradita
“Saldatore, Renato espone i polmoni a gas devastanti. Carpentiere in ferro, ogni colpo di mazzuolo gli risuona nel timpano. L’udito è rovinato, non ci sente più, dovrà installare un apparecchio acustico. Gli occhi feriti dalle fiamme dell’elettrodo chiedono lenti sempre più potenti. E i denti cadono, uno dopo l’altro, provati dai metalli pesanti a cui è costantemente esposto. 1985, Renato ha quarant’anni. È ancora magro e muscoloso, apparentemente in ottima forma. Ma già ha bisogno di una serie di protesi per connettersi al mondo: occhiali, dentiera, apparecchio acustico.”
“Anche chi lavora con lui non se la passa meglio. C’era un altro operaio assunto dalla Gargano. Aveva problemi di alcolismo. La sua pelle era completamente nera, come bruciata. Non aveva neanche sessanta anni.”
Tradito, il diritto alla sicurezza. All’epoca alcune norme ci sono già. Altre arriveranno dopo.
Alberto Prunetti descrive gli ambienti, il posto di lavoro degli operai. Tra spogliatoi fatiscenti e dispositivi di sicurezza inesistenti.
Dentro la fabbrica: “Gli interni dei capannoni avevano molte aree semifatiscenti: dagli spogliatoi alla placca di lavoro dovevi camminare per almeno un chilometro, tra strade asfaltate e zone di breccino pieno di fango e pozze.”
Gli eventi atmosferici sono pericolose variabili intervenienti; la mancanza di dispositivi di tutela, un reato morale. “Un giorno ci fu un acquazzone fortissimo, era tutto completamente allagato, c’erano cavi elettrici a terra, alcuni scoperti. Si era formata una bella pozza d’acqua e uno dei cavi si mise a serpeggiare impazzito: era diventata una trappola elettrica.”
Le leggende di fabbrica, fatti che non si dicono. “Succedeva spesso che gli operai prendessero la scorciatoia attraversando “il salto del blumo” ossia una canalina dove scorrevano i blumi ancora incandescenti. C’era chi saltava l’acciaio del colore della lava come fosse un ruscelletto. Si raccontava che in una di quelle canalette un manutentore ci si fosse sciolto. In genere quando si fa manutenzione il treno è fermo e le rotaie arrivano in placca solo nel pomeriggio: questo operaio invece ebbe la sfortuna di beccarsene una all’improvviso che gli squagliò la testa.”
Precariato, prove generali e ritorno.
Fa capolino La Cig, cassa integrazione guadagni, a un certo punto della storia di lavoro di Renato Prunetti. Il lavoratore non è geneticamente idoneo alla Cig e nemmeno alla disoccupazione. Si lascia tentare dal lavoro all’estero: delle piattaforme petrolifere dei mari del nord lo spaventa la noia dei tempi di non lavoro mentre la possibilità di lavoro alla costruzione di un metanodotto in ex Unione sovietica è esclusa d’ufficio dalla compagna di vita Francesca. Si profila la possibilità di ritornare al lavoro come artigiano, con una ditta individuale. È l’inizio della fase delle partite Iva. Di primo acchito sembra di guadagnare di più, nei fatti a trarne giovamento è solo l’azienda.
La competenza non si improvvisa e ora e sempre continua ad avere valore. Cerca e trova lavoro con un contratto di lavoro subordinato in un’azienda produttrice di impianti per l’industria chimica. Nel periodo 1990-1997 l’azienda si aggiudica un appalto presso Iplom, una raffineria di Busalla, in provincia in Genova. “Una Taranto del nord con le case a duecento metri dai muri che perimetrano i serbatoi pieni di greggio. Una raffineria considerata come una bomba a orologeria pronta a esplodere. Che ogni tanto esplode. E successo nel 2008. E prima ancora nel 2005. E ancora nel 1991.”
“Quella sera di fine agosto nel 1991 nel cuore del drago c’era anche lui. Le sirene che suonano. I feriti. Una nube acre che avvolge la vallata. La gente impazzita, fuori dallo stabilimento, che si ripara nei boschi.”
“La proprietà promette indagini. Lavare l’immagine dell’azienda: istituire un paio di borse di studio per i figli degli operai. E i sindacalisti? Ricordiamo ai compagni che criticare la fabbrica è come sputare nel piatto in cui si mangia.”
“E si ricomincia, mentre a Busalla si vive e ci si ammala sotto le zampe del drago.”
La storia di uno di noi.
Renato Prunetti si ammala. Dopo avere cercato e trovato altri lavori dopo Busalla. Dopo avere conquistato la pensione. Neanche alla pensione è geneticamente portato. Ricomincia il lavoro in campagna. Fino alla perdita di interesse per la vita. Quando la compagna di vita Francesca lo obbliga a sottoporsi a un consulto medico al pronto soccorso.
La malattia di Renato Prunetti si chiama lavoro tossico e usurante. Eccesso di lavoro senza tutele. Sfruttamento lavorativo in ambiente di lavoro inquinato, in reiterato e ipocrita tacito accordo collettivo.
Renato Prunetti rappresenta la classe operaia maltrattata e offesa.
Il libro è un pugno, armato di borchie a punta. Diritto al cuore della coscienza civile del Paese.
Francesca Dallatana
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it
