Tempi moderni. Human goods.
Atipico. È sinonimo di flessibile, quando si parla di lavoro. E flessibile spesso significa sfruttato.
È un’esagerazione al ribasso. Una tendenza dalla quale è impossibile liberarsi se si è in condizioni di necessità. Se si vive di lavoro.
Il lavoro flessibile è un circolo vizioso capace di cancellare il libero arbitrio. E che impone una condizione di sudditanza. Un libro datato 2007 getta la inquietante luce della consapevolezza sulla realtà. Da allora non si registrano miglioramenti del benessere della classe lavoratrice.
Il titolo è un manifesto: “Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità”, editori Laterza.
Dal 2007 ad oggi poco è cambiato nei fatti. Le variabili che maggiormente hanno contribuito a condizionare negativamente il mercato del lavoro sono la globalizzazione dei mercati e la mobilità sociale non supportata da adeguate politiche di integrazione e del lavoro. A questi fenomeni consegue un pericoloso dumping sociale che genera competizione e solidarietà al ribasso, terreno fertile per lo sfruttamento e per il caporalato.
L’autore.
Osservatore e studioso di potenzialità significativa per esperienza coniugata allo studio e alla ricerca. Poca volta capita che un sociologo possa vantare una provenienza diretta dall’ambito di studio al quale presta tempo e capacità di analisi. Luciano Gallino, scomparso nel 2015, ha militato come lavoratore attivo nel mercato del lavoro. Ha lavorato. Olivetti: questa la palestra del pensiero e dell’azione successiva. Un’azienda, un laboratorio di ricerca sociale. Professore di sociologia all’Università di Torino per decenni. Ha scritto e fotografato l’Italia del lavoro e del dumping sociale successivo in modo scientificamente corretto e coerente. Mantenendo un rapporto vivo con l’azienda di provenienza ma dalla postazione obiettiva della docenza universitaria. Sociologo, ricercatore, scrittore. Osservatore delle dinamiche del mercato del lavoro, ha contribuito allo sviluppo della sociologia del lavoro. Personalità culturale di spicco e di rara onestà intellettuale. I suoi libri rappresentano ancora elemento di riflessione e di dibattito. Ha anticipato temi e analisi delle dinamiche organizzative e del lavoro. Ha preso posizione in modo intelligente. Luciano Gallino è uno dei maestri della sociologia del lavoro.
Lavoratori on demand.
Gli anni Ottanta rappresentano una barriera tra l’epoca delle lotte in nome delle tutele e le risposte alle richieste della globalizzazione. Dagli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta i lavoratori hanno raggiunto tutele e condizioni lavorative migliori rispetto alla prima parte del Novecento. Hanno acquisito strumenti legislativi e competenza per arginare il fenomeno dello sfruttamento. Anche se la dignità del lavoro è obiettivo mai pienamente raggiunto. Perché il genere umano è imperfetto e perché un secolo di riflessione sul funzionamento della vita sociale e sulle modalità di interazione non è bastato per superare il limite intellettuale legato alla precarietà dell’esistenza. La storia dell’industria ricorda che dagli anni Ottanta la produzione di massa ha conosciuto l’impennata di una richiesta di flessibilità. Che significa essere disponibili qui ed ora e senza preavviso. E si traduce in un permanente stato di ansietà in attesa di una chiamata al lavoro. Significa dirsi ed essere disponibili al lavoro quando le esigenze produttive chiamano. La pletora di contratti fiorita nel primo decennio del terzo millennio ne è una dimostrazione. Un contratto a chiamata presuppone che il lavoratore presti la sua opera solo quando l’esigenza produttiva lo richiede. Il resto del tempo è solo atteso. Luciano Gallino va al punto sulle pratiche diffuse di flessibilità. E parte dalla disamina dei contratti di lavoro così detti flessibili o atipici. Cioè i contratti a maglie larghe sulla definizione del tempo di lavoro e sul luogo e sull’impegno da parte del datore di garantire il lavoro. Fatto salvo il fatto che la garanzia del lavoro è fortemente compromessa dall’alta competitività alla quale concorrono Paesi con un costo del lavoro molto basso e senza tutele per i lavoratori, la definizione del tempo di lavoro – cioè quando e quanto si lavora – ha lasciato il posto all’attesa della chiamata. Un contratto di lavoro subordinato definisce il tempo di lavoro giornaliero con precisione; un contratto a chiamata impone l’attesa alla chiamata. Che si declina in differenti forme contrattuali: dalle collaborazioni coordinate e continuative alla prestazione occasionali fino al lavoro accessorio e altro. Attesa: vale anche per i contratti part time utilizzati in modo non corretto come se fossero contratti a chiamata, una pratica diffusa. Il lavoro si è impoverito e frammentato. Il lavoro è diventato una merce da consumare. E lo si cerca a costo basso. Il lavoratore è diventato una merce.
La zavorra delle tutele.
Sostituibile. In attesa di una chiamata. Disponibile. Poco costoso. Senza il diritto di essere frangibile. All’origine della flessibilità: la produzione datata anni Ottanta detta just in time: si produce senza accantonare pericolose scorte di magazzino ma “giusto in tempo”. Partono gli americani, mettono operativamente in pratica i giapponesi. E on demand: su domanda. Il consumatore chiede e la fabbrica produce. Le tecnologie della comunicazione con un nuovo stile di condizionamento e di induzione al consumo hanno imposto una velocità sconosciuta e incrementale alla pallina che corre inquieta da una parte all’altra del campo: il mercato chiede lavoratori al ribasso e l’offerta di manodopera risponde con la disponibilità a lavorare per poco o sempre meno. In termini di diritti e di tutele. Perché dal 2007 ad oggi l’età media dell’esercito di riserva si è abbassata e da giovani ci si sente onnipotenti, anzi eterni. Tutele e diritti si pongono nel solco della dignità del lavoro e della persona. Tutele e diritti rappresentano un costo economico per l’economia globalizzata, per la produzione fast and cheap. Che possiamo definire: garbage in, garbage out: spazzatura dentro, spazzatura fuori. E per spazzatura si intende: il lavoro povero e frammentato.
Lavoro e identità.
Il lavoro rappresenta una parte significativa della vita di un individuo. Non totalmente, ma in gran parte. Lo stile di lavoro condiziona la vita. Condiziona i progetti, la pianificazione del futuro. La frammentazione del tempo di lavoro ha impoverito i contenuti del lavoro. Impedisce di seguire sé stessi, di realizzare i propri obiettivi. Aprendo la strada a nuove forme di schiavitù. Luciano Gallino prende una posizione precisa. La esprime a chiare lettere nel titolo del libro. La argomenta nel corso della descrizione tecnica del succedersi dei contributi legislativi. Che hanno interpretato l’evoluzione del mercato, seguendo le orme della globalizzazione. E separando il lavoro dalla persona. Il lavoro flessibile non è buono e non è cattivo. Il lavoro flessibile rischia di degenerare in precarietà se non cammina con la competenza, se non si accompagna al talento, se non tende culturalmente al rialzo. Senza tutele, i lavoratori deboli possono essere abbandonati ai margini di una strada come un giocattolo rotto. Nessun cupo vaticinio nel libro di Luciano Gallino. Solo la certezza di una precisa presa di posizione “contro la flessibilità” perché “il lavoro non è una merce”. Un monito attuale a oltre quindici anni di distanza dalla pubblicazione del libro. Il futuro del lavoro molto dipende dalle tutele che la società saprà garantire agli eserciti di riserva composti da lavoratori provenienti da culture diverse rispetto a quella europea. Cultura, consapevolezza e competenza hanno il potere di annullare gli effetti nefasti della flessibilità e di annullare la tendenza al dumping sociale. E per evitare la forbice tra i lavoratori chiusi nel falansterio dove si muore di stanchezza e in silenzio e chi vive di profitto generato dall’esercito dei lavoratori disponibili a tutto pur di sopravvivere.
Lavoro al rialzo.
Un dovere della politica è di garantire il minimo comune denominatore della dignità: solidarietà e cultura.
Non c’è sviluppo economico senza dignità umana.
La Storia continua ad essere storia di lotta di classe. E la guerra da combattere è in nome della sopravvivenza della dignità del genere umano. Prima che del lavoro.
Francesca Dallatana
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it