I grandi pensatori esoterici ebbero a guardare il Cristianesimo come un insieme di simboli tarati sulla tradizione primordiale che ha nell’origine dell’umanità il recupero della saggezza antichissima dei padri.
Spesso gli esoterici si sono peregrinati a vedere il Cristianesimo dal punto di vista iniziatico per la ricerca della verità e ad ogni cosa, anche pagana, è stato dato valore ancestrale di un simbolo come mezzo di comunicazione tra il divino e l’umano per una via trascendente.
E questo ha comportato poi che i grandi esoterici o si sono rivolti alla massoneria o si sono convertiti all’Islam primordiale dei grandi mistici Sufi piuttosto che ai grandi Padri del Deserto, sempre considerati sull’orlo dell’eresia cristiana, sbagliando.
Io parlerò del venerdì che precede la Santa Pasqua e dando un’interpretazione della Crocefissione di nostro Signore, in base al mio modesto sapere, che si contrappone alle mie incommensurabili elucubrazioni mentali.
René Guénon, grande esoterico unitamente a Julius Evola, ebbe a scrivere un bellissimo libro dal titolo Il simbolismo della Croce(Ed. Adelphi) e vedendo in tale simbolo come l’elemento fondante della civiltà occidentale.
Al di là della non infallibilità di Guénon, sono però d’accordo con Lui in merito al valore del simbolo della Croce, ma per motivi tutti miei da Cattolico alla mia maniera, cioè in maniera sbagliata come tutti.
Che la Chiesa si basi sui simboli – che assurgono a totem nei credenti meno avveduti – è un dato pacifico posto che tale organismo ha saputo dare valore a ciò che il popolo dei fedeli voleva adorare al pari degli ebrei e del Vitello d’oro di Mosè.
Questo perché’ l’inconsistenza di un’immagine del divino ha comportato inevitabilmente di cercare, attraverso i “simboli”, il volto di Dio dimenticando che Egli alberga in ognuno di noi senza che ce ne accorgiamo o che lo cerchiamo.
Nel Cristianesimo è sempre dibattuta la questione teologica se sia più importante la nascita di Cristo e quindi il Natale, o la Santa Pasqua che coincide con la resurrezione verso cui tutti aspiriamo per dare un senso alla morte stessa.
In realtà, se si riflette al meglio, forse ancor più importante per capire l’animo umano è il giorno della morte di Gesù e la Sua Crocefissione.
Questo fatto, scritto nelle Sacre Scritture, è stato forse poco studiato o non attualizzato a livello socio-antropologico per capire l’animo umano che quindi non sembra, in prima battuta, così votato al bene come sembra perché’ ha ammazzato il proprio Dio fatto uomo.
Ed è questa la centralità della questione che si riverbera sulla società attuale in cui si uccide con facilità.
La lettura della Crocefissione in funzione antimoderna e per riagganciarsi alla tradizione primordiale deve essere tarata sulla capacità del male che è insita in ogni uomo da un lato o come essere sprovveduto avanti al concetto di ascesi che era incarnato in Cristo nostro Signore dall’altro.
Ne consegue l’ulteriore incapacità di elaborare il concetto del Sacro a motivo del quale le feste religiose oggi hanno perso quel significato ancestrale di ricerca della Fede.
La Croce quale simbolo non di speranza che si sarebbe verificata tre giorni dopo con la resurrezione, ma come suggello della volontà dell’uomo di perseguire il male dato che se ha ammazzato Cristo, figuriamoci gli altri.
La storia dell’umanità è costellata di orrori quotidiani e attualissimi e sono rari i casi, come le rose nel deserto, in cui si cerca la beatitudine suprema della pace sia esteriore che interiore per migliorare sé stessi in favore del benessere della Comunità.
Il concetto quindi di Santità diventa esempio irraggiungibile agli occhi di tutti noi che preghiamo questi Santi con rinnovato stupore e prendendo atto che la vita terrena trascorre come una barca in un mare in tempesta e in balia delle onde laddove il porto sicuro è la morte.
L’aspetto trascendente, che ci differenzia o ci dovrebbe differenziare da tutti gli altri animali, viene svilito perché’ non si ha più modo e tempo per rifugiarsi nel santuario inviolabile che è dentro ognuno di noi, come affermava Hermann Hesse.
La morte di Dio fatto uomo per opera di altri uomini è il vero simbolo di un rifiuto alla trascendenza in funzione del dio denaro che svilisce ogni cosa e mortifica l’umanità.
Pochi, se non pochissimi, ragionano sul messaggio della morte stessa e del tradimento fatto a Cristo per opera di quegli uomini che ansimavano al regno dei cieli e decretando il fallimento -tutt’ora vigente- del sentimento di riconoscenza verso Lui che si è fatto portatore di tutti i mali del mondo ma senza speranza e venendo tradito da suoi figli prediletti.
Il concetto del perdono diventa -agli occhi dell’uomo- fallace anche in considerazione che perfino Sant’Agostino ebbe ad affermare che il perdono spesso è un dono eccessivo verso persone che non meritano.
E chi uccide non merita perdono almeno da Noi uomini.
I più dimenticano che dopo la morte si apre un mondo che può essere di ombre e sofferenze e per altri di luce eterna in cui ritroviamo nostro Padre che abbiamo immeritatamente ucciso secoli fa per debellare la trascendenza e l’ascesi avendo paura del confronto con il nostro io.
Ma non tutti hanno la forza di Papa Benedetto XVI che sentenziò, mentre stava per morire, che non si preparava ad una fine ma ad un incontro.
Ne consegue che la Pasqua si è svuotata di significato lasciando il posto a mangiate imbarazzanti e risultando una festa inutile.
Angelo Jacopetti
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it