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Home Cultura e società Legale “L’Agorà del Diritto” – una domanda, una risposta: morte da fumo di sigaretta e risarcimento del danno

“L’Agorà del Diritto” – una domanda, una risposta: morte da fumo di sigaretta e risarcimento del danno

Arriva dalla Corte di Cassazione la pronunzia che da tempo attendevamo.

I giudici della Suprema Corte, infatti, hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, ponendolo a carico di una famosa casa di produttrice di sigarette, in favore di marito e figli di una signora deceduta a causa di un carcinoma polmonare derivante da trent’anni (dalla metà degli anni 60 alla metà degli anni 90) di tabagismo con consumo giornaliero accertato di 20 sigarette circa al giorno.

I familiari della signora deceduta hanno avuto il coraggio e la perseveranza di portare avanti un processo in tutti e tre i gradi di giudizio, nonostante, come vedremo, la pronunzia per essi negativa da parte della Corte d’Appello, successivamente ribaltata dalla Corte di Cassazione.

Ma soffermiamoci nel dettaglio su tutti e tre i gradi del processo.

In primo grado, il Tribunale ha dato ragione ai familiari della donna, inquadrando l’attività della società produttrice di sigarette, come attività pericolosa ed individuando un nesso imprescindibile tra il fumo, il carcinoma e, quindi, il decesso.

Sempre il Tribunale, però, non ha accolto in modo pieno la richiesta risarcitoria ravvisando un concorso di colpa della donna, purtroppo deceduta, pari al 50%.

Essa, infatti, secondo l’autorità giudiziaria nel fumare per trent’anni non si è preoccupata degli effetti nocivi delle sigarette delle quali, comunque, si parlava da tempo.

La Corte d’Appello dinnanzi alla quale era stato proposto gravame, ribalta completamente la decisione di primo grado, non ravvisando alcuna forma di responsabilità da parte dell’impresa produttrice.

Secondo il giudice di secondo grado è da escludere ogni forma di responsabilità e, quindi, di risarcimento, dato che la donna ha scelto liberamente di fumare nonostante la consapevolezza dei danni che alla stessa sarebbero potuti derivare.

Marito e figli della donna, però, non si danno per vinti e ricorrono in Cassazione, la quale riconosce la responsabilità della società produttrice in quanto quest’ultima:

  1. svolge attività pericolosa;
  2. non ha fornito informazioni sulla pericolosità e le conseguenze del fumo (ricordiamo che i trent’anni in esame vanno dalla metà degli anni 60 alla metà degli anni 90) e, di conseguenza, la donna non aveva quando aveva cominciato a fumare consapevolezza dei rischi ai quali andava incontro e della correlazione tra fumo e cancro.

Avv. Emilio Graziuso – Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca

Presidente dell’Associazione Nazionale “Dalla Parte del Consumatore”

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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