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Home Cultura e società L’italiano: una lingua in via di estinzione

L’italiano: una lingua in via di estinzione

Perché la lingua condiziona la nostra intelligenza? Cosa si nasconde dietro la scomparsa del congiuntivo e l’abuso di anglicismi? 

“Non vi è alcuna necessità di usare la parola “cashback” per “rimborso”, “recovery plan” per “piano di ripresa”, “green economy” per “economia verde”, o “droplet” per “gocciolina”», afferma il professor Jeffrey Earp, «La mia impressione è che talvolta gli italiani usino l’inglese più per mostrarsi colti, “moderni” o “internazionali”.

La questione linguistica è legata a una svalutazione del nostro paese, di tutto ciò che è italiano e quindi del nostro patrimonio linguistico, per questo gli italiani immettono nella loro lingua un numero sproporzionato di anglicismi, anche quando l’equivalente italiano suona meglio.

In Spagna e in Francia, ad esempio, il numero di anglicismi è notevolmente minore rispetto all’Italia.

Tutte le lingue sono soggette a cambiamenti e si evolvono anche grazie all’apporto di forestierismi.

Nel XIX secolo andava di moda tra le classi colte usare “francesismi”. E tantissime parole che oggi usiamo hanno un’origine straniera.

Ad esempio, la parola bistecca deriva dall’inglese beef-steak, costola di bue. C’è differenza però tra l’immettere un uso equilibrato di parole straniere, che arricchiscono la nostra lingua, a ciò che invece sta accadendo oggi.

Rinunciando al nostro patrimonio linguistico, stiamo rinunciando alla nostra identità, limitandoci a diventare la brutta copia di un’altra cultura. E gli anglicismi vanno di pari passo con un altro problema: l’impoverimento linguistico. 

Nel romanzo 1984 per ostacolare il pensiero, viene ridotto il numero delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. Quando i vocaboli si riducono, scompaiono anche i concetti astratti equivalenti.

Il risultato? Un impoverimento emotivo oltre che linguistico. Il congiuntivo, ad esempio, non viene più usato. Il congiuntivo esprime una situazione ipotetica, serve per formulare delle ipotesi.

Pensare e parlare utilizzando sempre e soltanto l’indicativo, induce a ragionare soltanto in termini di certezze, a eliminare le supposizioni e i dubbi dal nostro modus mentale. E le implicazioni di ciò non possono che essere disastrose.

Il linguaggio non deve essere ampolloso o retorico ma “ricco” per poter cogliere tutte le sfumature dei sentimenti ed esprimere concetti che non possono essere semplificati, come invece accade fin troppo spesso.

Prendendo in mano un giornale ci si rende conto con tristezza di come il linguaggio sia scaduto. La cosiddetta sinteticità, tanto osannata in ambito giornalistico, ha comportato una banalizzazione di questioni complesse: si scrive e si pensa in termini di bianco o nero e ciò esclude a priori tutte quelle complessità, quelle sfumature che non si prestano a essere racchiuse in poche righe.

I testi non sono soltanto scritti male, ma adottano un linguaggio infantile, offensivo per la scarsa considerazione che dimostrano di avere nei confronti del lettore medio. 

L’impoverimento linguistico si riscontra soprattutto nei giovanissimi.

All’incapacità di articolare pensieri complessi si accompagna una banalizzazione delle emozioni.

Ci sono molteplici sfumature dietro l’espressione “sto bene”; lo stare bene può significare gioia, allegria, contentezza, soddisfazione, letizia, esultanza, giubilo, così come “lo stare male” racchiude tanti sentimenti diversi come la tristezza, la malinconia, l’angoscia, la nostalgia.

Questo “analfabetismo emotivo” è sempre più diffuso e purtroppo si associa a una crescente vulnerabilità sociale. 

Le parole sono l’arma più potente che abbiamo, sono il mezzo attraverso il quale comunichiamo i nostri sentimenti, i nostri pensieri, con cui diamo un nome alle nostre paure, alle nostre sensazioni, ai nostri dubbi.

Come possiamo comunicare e incidere sulla realtà, se non abbiamo parole per tradurre i nostri pensieri? Come possiamo far valere la nostra voce, se la nostra voce è muta perché non ha parole dalle quali attingere? Che cosa possiamo fare?

Evitare inutili anglicismi, privilegiare giornali che proteggono la qualità dei loro scritti, leggere, leggere tanto perché la letteratura è il nutrimento della psiche e concederci il tempo necessario perché alcune cose hanno bisogno del loro tempo, tempo per essere spiegate, apprese, assaporate, interiorizzate. 

G. Middei

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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