Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) è ritenuto uno dei più grandi drammaturghi greci dell’antichità, il sublime poeta tragico del fato e della giustizia divina. Combatté in prima persona contro i Persiani nelle battaglie di Maratona (490 a.C.), Salamina (480 a.C.) e Platea (479 a.C.).
Interessante analizzare la sua tragedia intitolata “Prometeo incatenato”, la cui data di prima rappresentazione va collocata intorno al 460 a.C. Essa faceva probabilmente parte di una trilogia di cui le altre due tragedie non ci sono pervenute se non in forma di frammenti (“Prometeo portatore del fuoco” e “Prometeo liberato”).
Prometeo subisce la collera di Zeus, padre degli dei, per aver donato il fuoco agli uomini. Per questa ragione viene incatenato ad una roccia e viene raggiunto da diversi personaggi che tentano di portargli conforto e consiglio.
Ora, per Eschilo, Prometeo non è un eroe per il fatto di aver donato agli uomini il fuoco, ma perché, dopo essersi illuso ed aver illuso i mortali che la tecnica li potesse salvare dall’infelicità e dal dolore, riconosce, da un lato, il proprio errore, ossia il fallimento della tecnica, dall’altro la potenza invincibile della necessità che si mostra nella luce della Verità. Non è un caso che Eschilo faccia dire a Prometeo che “la tecne è troppo più debole della necessità” (verso 514).
É vero che, per non aver rivelato a Zeus il segreto che lo riguardava in merito ad una relazione tra lo stesso Zeus e Teti che avrebbe condotto alla nascita di un figlio in grado di sbaragliare il padre degli dei, Prometeo sarà gettato nel Tartaro insieme alla rupe cui è era incatenato, tuttavia le forze che lo vincono sono sempre espressione di una “tecnica” destinata a soccombere dinnanzi alla potenza della Verità.
Il merito di Prometeo, e questo Eschilo lo fa emergere in modo chiaro, è il riconoscere che, sganciata dalla Verità incontrovertibile, la scienza diviene “hybris” (tracotanza, prevaricazione), la “vera figlia della mancanza del timore” come scriverà il nostro nelle “Eumenidi” (verso 534).
É solo il cogliere il senso essenziale delle cose, dell’essere, o meglio dei suoi fini, che consente a Prometeo di affermare di vedere “tutte le cose anticipatamente a partire dal luogo in cui si apre il sapere stabile dell’episteme”.
Nonostante tutto, nonostante tutti…
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it