Sui troppi danni causati dai cosiddetti “vaccini anti-Covid” e della loro gravità che può portare anche al decesso degli inoculati si parla già da tempo, soprattutto sui canali di controinformazione.
Molti sanitari hanno infatti espresso le loro perplessità su questi farmaci e sui numerosi effetti collaterali che li contraddistinguono – “come ogni altro farmaco”, chiosano gli scienziati di Big Pharma, il che può anche essere vero, ma con l’enorme differenza che per tutti gli altri medicinali non c’è mai stato alcun obbligo di assunzione.
Non mi soffermerò in questo caso a discutere sullo schifo del lasciapassare verde, sui ricatti subiti dai cittadini, sui protocolli di cura errati e sul mancato rispetto della Costituzione, argomenti importanti che già trattano ampiamente e coraggiosamente molti colleghi, sia medici che giornalisti.
Quello che vorrei evidenziare qui è il vero contenuto di questi “vaccini”, tra l’altro utilizzati contro un “virus” che ad oggi non è ancora stato correttamente isolato secondo i postulati di Henle-Koch, cioè i criteri utilizzati per stabilire la relazione di causa-effetto che lega un microrganismo a una malattia e il cui fondamento è valido tutt’oggi, soprattutto per malattie identificate di recente.
È un dato di fatto che del famigerato SARS-CoV-2 per il momento abbiamo solo un’immagine elaborata al computer che raffigura un coronavirus ricoperto di spine (le famose spike), che dal 2020 ci mostrano in continuazione su tutti i media.
Quali sono i “vaccini anti-Covid”?
Per quanto riguarda questo agente della famiglia dei coronavirus, in occidente sono stati immessi sul mercato più “vaccini”, in particolare due a tecnologia mRNA, prodotti da Pfizer e Moderna, e due a tecnologia proteica usciti dai laboratori di Astrazeneca e Johnson & Johnson, poi ritirati e quindi non più disponibili.
Innanzitutto, definiamo cosa è un vaccino: dal punto di vista tecnico, si può definire tale un preparato biologico che contenga il patogeno o parti di esso, ucciso o vivo e attenuato. Una volta somministrati, i vaccini simulano il primo contatto con l’agente infettivo evocando una risposta immunologica simile a quella causata dall’infezione naturale, senza però causare la malattia e le sue complicanze.
Non serve entrare più nello specifico e addentrarci in termini tecnici, perché già questo ci fa capire che i preparati genici che ci spacciano per “vaccini” non possono essere definiti tali, in quanto non contengono antigeni virali (ulteriore conferma del mancato isolamento dell’agente eziologico); trattasi pertanto di veri e propri sieri sperimentali.
Secondo la scienza ufficiale, i due sieri attualmente in uso, Comirnaty Pfizer/BioNTech e Spikevax (ex Moderna), tramite l’azione della molecola di mRNA messaggero una volta entrati in circolo codificano per una versione innocua (dicono) della proteina spike di SARS-CoV-2.
Ed è proprio questa spike autoprodotta che, secondo le prime ipotesi, va a creare problematiche nel circolo sanguigno, dove si sedimenta e forma degli agglomerati trombotici.
Cosa contengono veramente?
La realtà però appare ben diversa e molto più inquietante. Secondo gli studi eseguiti dall’equipe di scienziati spagnoli Quinta Columna, a guida del Prof. Pablo Campra, i sieri sperimentali contengono un agente tossico, che pare essere il principale responsabile di molti malori, morti improvvise e varie patologie comparse dopo la somministrazione.
Gli studiosi madrileni hanno analizzato in laboratorio diversi lotti dei preparati cosiddetti “anti Covid” e il verdetto uscito dal microscopio non lascia dubbi sul contenuto delle fialette: nei sieri sperimentali è presente l’ossido di grafene.
La ricerca è stata eseguita su oltre 100 confezioni di “vaccini”, in cui il microscopio ottico rilevava strutture simil-grafeniche, per cui si è proceduto all’analisi spettrometrica con la metodologia tecnica denominata micro-RAMAN, scelta proprio in quanto molto efficace per un’analisi esaustiva degli oggetti micrometrici visibili al microscopio ottico.
Da questo gruppo, sono quindi stati selezionati 28 oggetti secondo la compatibilità delle immagini e degli spettri con la presenza di derivati del grafene, in base alla corrispondenza di questi segnali con quelli ottenuti dagli standard della letteratura scientifica.
La conclusione dello staff del prof. Campra è questa:
“L’identificazione delle strutture di ossido di grafene può essere considerata conclusiva in 8 di essi, grazie all’elevata correlazione spettrale con lo standard. Nei restanti 20 oggetti, le immagini accoppiate ai segnali RAMAN mostrano un livello molto elevato di compatibilità con strutture di grafene indeterminate in quanto diverse dallo standard utilizzato in questo caso. Pertanto, possiamo affermare con un alto livello di fiducia che l’identificazione di materiale grafenico in tutti gli oggetti analizzati è CONCLUSIVO, e con alta probabilità le strutture di ossido di grafene possono essere assegnate a queste nanoparticelle“.
Ma alle ricerche spagnole si aggiunge l’ulteriore avallo da parte della scienziata indiana Poormina Wagh, virologa e immunologa di fama cristallina, che insieme a un gruppo internazionale di colleghi ricercatori ha analizzato oltre 2300 confezioni di sieri, arrivando alla conclusione che i relativi bugiardini (nomen omen) mentono spudoratamente. Nelle fialette Pfizer e Moderna, infatti, non si trovano né mRNA né tracce di spike, come in quelle di Astrazeneca e Johnson & Johnson non compaiono i dichiarati adenovirus.
Quello che i ricercatori hanno invece trovato in ogni dose esaminata sono: acqua, idrossido di alluminio, nano particelle metalliche e nano particelle di ossido di grafene. In un video dove spiega tutto ciò, la dottoressa non ha remore nell’affermare “How it will kill people” (come ucciderà le persone).
Che effetti ha il grafene sull’organismo umano?
Utilizzato nell’industria da oltre un ventennio, il grafene è un foglio di carbonio dello spessore di un solo atomo; è molto resistente e vanta proprietà elettroniche e meccaniche che lo rendono idoneo a molteplici usi commerciali, ad esempio nel settore elettronico, ma anche in batterie, celle solari e dispositivi medici.
E fin qui tutto bene, ma se iniettato nel corpo umano?
Sebbene l’ossido di grafene sia costituito dagli stessi atomi che ritroviamo anche all’interno del nostro organismo (il carbonio è la base della vita), la sua natura bidimensionale causa delle interazioni con le proteine del sangue e le membrane cellulari, e ciò può portare a effetti molto gravi, quali la trombogenicità e l’attivazione delle cellule del sistema immunitario.
Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi della Brown University di Rhode Island ha inoltre attestato come il grafene sia in grado di compromettere le funzionalità cellulari degli organismi viventi; i successivi esperimenti in laboratorio degli stessi scienziati per analizzarne la tossicità su tessuti cellulari – ricavati da un polmone umano e dalla pelle – hanno ulteriormente confermato che frammenti di grafene, anche di soli 10 micron, sono effettivamente in grado di deteriorare le cellule.
Altre tipologie di danni sono state riscontrate in seguito a una ricerca congiunta da parte di studiosi dell’Università di Trieste, della Castiglia e di Stoccolma, che ha riscontrato un’azione pro-infiammatoria del grafene e dell’ossido di grafene sui cheratinociti, che convalidano le evidenze già riscontrate di dermatiti irritative da contatto, ipercheratosi e iperpigmentazioni a livello cutaneo.
E questo è solo ciò che è riuscito ad emergere, in un mare di menzogne e censura da parte del sistema… in teoria dovrebbe essere più che sufficiente ad arrestare la distribuzione di questi preparati mortiferi, ma in pratica viviamo in mondo sporco e corrotto, che mette il beneficio economico di pochi potenti davanti alla salute della collettività.
Eva Bergamo
Foto: credits del Prof. Pablo Campra