Non si può non ammettere che la piazza virtuale dei social media, abbia rivoluzionato il modo di comunicare, ma anche il vivere quotidiano di miliardi di persone per i ricavi astronomici di poche imprese.
Immediatamente il boom di esplosioni delle App, il crescente numero di siti web, hanno messo in contatto, milioni e milioni di persone nel mondo che si sono trasformate in “celebrità”.
Tutti possono dire tutto, spesso senza la minima conoscenza di ciò di cui blaterano, ma non vi si rinuncia comunque, anche a costo di fare una figuraccia.
Ci si cimenta tra balletti di ipotesi, spesso assurde, all’analizzare fatti reali, inserendo anche qui spesso, il personalissimo mal di pancia, incuranti della possibile critica, ma fondamentalmente concentrati, sull’internazionalità di apparire.
In tanti casi è diventata una caciara spaventosamente sfacciata, mettendo in secondo piano, i rapporti veri e reali tra le persone.
E forse tutto questo bailamme, portato alla ribalta con l’avvento delle piattaforme social, sta “venendo a noia”, facendo iniziare la discesa della parabola del “rapporto online”.
Tutti sappiamo bene che perdere un’abitudine è difficile, ma sta emergendo la sensazione che i social media, stiano un po’ “soffocando la nostra esistenza”.
L’annebbiamento cerebrale nel quale ci hanno condotto per lungo tempo, potrebbe essere la causa di questo “risveglio” della ricerca del contatto personale, quello reale.
Sempre più, le persone cercano risposte vere rispetto alla marea di notizie date in pasto da chi controlla il potere della comunicazione, imparando così a soppesare le parole per riprendere contatto con la realtà.
Emerge così la strumentalizzazione della manipolazione mediatica che inizia ad assomigliare un po’ al periodo dell’oscurantismo del XVIII secolo.
Sembra un paradosso questo mondo fatto da milioni di persone che comunicano tra loro, “ingabbiate” nelle maglie delle piattaforme social che, come nel periodo oscurantista sembra promuovano il progresso, ma nei fatti, utilizzano l’evoluzione tecnologica, quale sistema pregiudiziale per la diffusione della conoscenza dentro un recinto ben limitato.
Purtroppo sempre più ci stiamo accorgendo che i recinti dell’informazione sono delineati proprio da quell’élite di potere che li possiedono i quali, attraverso i loro “selezionati messaggi”, inducono l’internauta a dialogare di quell’argomento.
Un effetto avverso e molto pericoloso perché l’atteggiamento nei confronti della cultura del sapere, del cercare del conoscere, deve avere una propensione dinamica al confronto personale libero e indipendente.
Usciamo dall’inverno buio del “proselitismo di massa” che prova a limitare e negare la libertà di pensiero e individuale, diffondendo “messaggi ideologici” supportati da “credenze” prive di contenuti analizzabili.
Andrea Caldart