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Il grande Bluff

Lo scorso febbraio la Banca D’Italia ha pubblicato i dati del credito alle imprese che evidenziano una forte battuta d’arresto, tanto nelle concessioni di finanziamento quanto in termini di tassi.

L’istituto evidenzia che i criteri di offerta sui prestiti alle imprese hanno registrato un ulteriore irrigidimento legato a “una maggiore percezione del rischio ed una minore tolleranza verso di esso”, ponendo l’accento sul peso del rallentamento della crescita economica.

Banca d’Italia all’epoca ha dimenticato di pubblicare che, dopo alcune ispezioni della vigilanza BCE nelle banche significant (ovvero quelle di maggiori dimensioni e quindi controllate direttamente), è stato chiesto, in via riservata, di modificare i sistemi interni di rating, innalzando i requisiti di capitale correlati alla concessione dei prestiti.

Evidentemente hanno ritenuto i sistemi adottati troppo ottimistici se correlati al periodo intriso dalle problematiche derivanti dalla guerra e dall’inflazione.

E se è vero questo per le grandi banche fanno, allora l’allarme potrebbe diventare di carattere generale.

Il rating creditizio è un “giudizio sintetico sulla rischiosità del cliente” ed è una risposta numerica alla probabilità che il cliente diventi insolvente nell’arco di un anno (probabilità di default) ed alla quota stimata di capitale prestato che sarà possibile recuperare (perdita attesa).

Sappiamo tutti che gli aggiornamenti delle norme bancarie hanno preso il nome dal posto in cui vige l’autorità di vigilanza bancaria europea, per l’appunto Basilea. 

Gli “Accordi di Basilea” sono linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori del G10 (composto attualmente da undici paesi) più il Lussemburgo allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.

Tali accordi stabiliscono di “valutare” le aziende tenendo conto sostanzialmente di tre parametri:

  • I dati attuali e prospettici che esprimono i bilanci ed i business plan dell’azienda;
  •  Quello che viene definito “andamentale bancario”, o meglio il comportamento bancario dell’impresa, (la regolarità nei pagamenti, eventuali sconfinamenti, regolarità negli incassi, etc.)
  • Gli aspetti qualitativi che sono informazioni di natura qualitativa, quali il settore di appartenenza, il mercato ove opera l’impresa, le previsioni economico-finanziarie del settore, la qualità della governance, il rapporto tra i soci, etc. In particolare si tiene conto di fatti pregiudizievoli (pignoramenti, ipoteche, azioni giudiziari, verso l’impresa, gli amministratori o i cosi), rating di legalità, adozione del modello organizzativo ex legge 231/2001, dell’adozione degli attuali “assetti organizzativi”.

I parametri di cui sopra sono il nutrimento di un algoritmo che assegna quindi un “voto” all’azienda, il cosiddetto RATING, che varia su una scala che va da 1 a 10 (quest’ultimo è il voto peggiore) e che esprime “la probabilità di default” dell’impresa.

Il rating serve anche alla banca per adeguarsi all’accordo sottostante, ovvero l’accumulo di capitale di vigilanza correlato alla concessione di crediti; in pratica la BCE impone alle banche di bloccare una parte dei depositi dei risparmiatori che è tanto più altra quanto più prestiti l’istituto concede ad aziende con rating non proprio ottimali.

Dopo l’ultima ispezione, non solo la BCE ha consigliato una revisione dei rating ma ha anche innalzato i livelli di capitale di cautela per le banche esaminate.

Ironia della sorte in questi giorni arriva la panacea, o meglio quella che potrebbe essere la copertura mediatica ai problemi delle banche europee, l’ultima causa sulla quale scaricare tutte le colpe, il fallimento della banca americana.

Nel giro di qualche giorno Silicon Valley Bank (SVB), banca californiana e sedicesima per dimensioni degli Stati Uniti, è fallita.

Il suo è il più grande fallimento bancario nel paese dai tempi della crisi finanziaria del 2008.

Una delle preoccupazioni è che, come successo nel 2008, potesse generarsi un effetto contagio che, intaccando altre banche ed intermediari, avrebbe poi avuto effetti nefasti sull’economia.

In tanti si dicono sicuri che le conseguenze non saranno come quelle del fallimento di Lehman Brothers.

Le ultime esperienze ci ricordano che quando leggiamo sui giornali “alcune sicurezze”, possiamo attendersi anche l’esatto contrario.

Oggi le banche centrali si trovano a fare i fronti con un’inflazione che, lontana dal picco della scorsa estate, è sempre vivamente presente.

Di contro, alzando i tassi si rischia di compromettere la stabilità finanziaria in particolar modo, dopo anni di soldi facili.

Per le Imprese la sommatoria di tutti questui eventi potrebbe essere una “miscela esplosiva, da un lato le problematiche commerciali derivanti dalla guerra Russo-Ucraina e dall’inflazione derivante anche dalla ripresa post Covid e, dall’altro, la difficolta a finanziarsi per tutte le problematiche bancarie appena enunciate.

Tutte informazioni da considerare per rimodulare gli scenari presenti nei business plan e nella pianificazione delle attività future di imprese e famiglie.

Mario Vacca

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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