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Home Economia Lavoro Intervista a Volk, CLPT: “Porto di Trieste non è Stato di Diritto, lavoratori intimiditi con metodi terroristi”

Intervista a Volk, CLPT: “Porto di Trieste non è Stato di Diritto, lavoratori intimiditi con metodi terroristi”

Alessandro Volk, meglio conosciuto come Sandi, è presidente e portavoce del sindacato CLPT (Coordinamento Lavoratori Portuali Trieste). Da tempo denuncia quelli che sarebbero una serie di sistematici atti illegittimi contro la categoria, diventata celebre, da quando ha annunciato il blocco totale delle operazioni a partire da venerdì 15 ottobre 2021 ossia quando il Green Pass è diventato obbligatorio per i lavoratori.

Volk, lei ci ha raccontato che nel Porto di Trieste si respira una forte tensione tra le aziende e i lavoratori, si è arrivati – secondo le vostre denunce – a rappresaglie sistematiche a danno degli operai. Come si è arrivati a questo punto?

Il problema è che il CLPT ha messo in discussione il “diritto” delle aziende di fare quello che volevano. Il CLPT è nato nel 2014 dalla constatazione da parte dei lavoratori che i sindacati allora presenti non facevano nulla, anzi, firmavano accordi come ad esempio quello per l’introduzione del contratto di solidarietà in Trieste Marine Terminal, che all’apposito referendum era stato respinto dal 90% dei lavoratori. Così un gruppo di lavoratori di tutte le aziende del porto si è accordato è ha deciso di formare una organizzazione propria per tutelarsi, il CLPT. Le rivendicazioni erano semplici e chiare: stesse condizioni di lavoro per tutti, paghe dignitose, rispetto della dignità e della salute dei lavoratori, nessuno doveva essere più licenziato a piacere delle aziende. Lo strumento per ottenerlo è stato individuato nell’Allegato 8° del Trattato di Pace tra potenze alleate e Italia del 1947, che norma la gestione del Porto Libero Internazionale di Trieste. Una norma tuttora in vigore, essendo stata recepita nella legislazione italiana, compresa la legge 84/94 sulla gestione dei porti, ma mai applicata, se non per quel che riguarda qualche vantaggio fiscale concesso a discrezione ad alcune aziende. Mentre quello che l’Allegato 8° prevede per i lavoratori – in sintesi: tutti i lavoratori del porto devono essere dipendenti dell’ente gestore del porto (e non di terminalisti, altre aziende o cooperative), nelle assunzioni deve essere data la precedenza ai residenti nella Provincia di Trieste, l’ente gestore ha il potere di determinare le condizioni di lavoro, i salari devono essere detassati – non è stato mai preso nemmeno in considerazione. 

L’opinione pubblica vi conosce dal 2021 ma voi siete in prima linea per difendere i diritti dei lavoratori da molto prima, emblematica la protesta dell’estate 2015. 

Nell’agosto 2015 il CLPT ha indetto uno sciopero generale, molto riuscito, per opporsi alla privatizzazione di alcune aziende dell’Autorità portuale, contro il lavoro precario, per il rispetto dei contratti e delle norme sulla sicurezza e per l’applicazione dell’allegato 8°. I lavoratori sono stati anche caricati dalla polizia, ma lo sciopero ha segnato un punto di svolta: molte richieste sono state accolte (è stata bloccata la privatizzazione delle aziende pubbliche, molte questioni salariali e di rispetto delle regole sono state risolte) e si è instaurato un dialogo con l’Autorità portuale, diretta dal presidente D’Agostino e dal segretario generale Sommariva. Ma alle aziende non andava bene di veder in qualche modo limitato il loro potere assoluto. Perciò fin dall’inizio hanno osteggiato il CLPT e i suoi membri.  

Il confronto con l’autorità portuale è stato proficuo, anche se a volte aspro, fino a fine estate del 2020, dopo la revoca dell’esautoramento di D’Agostino dalla presidenza a seguito della mobilitazione dei lavoratori che ha visto il Porto bloccato per due giorni. Dopo il reinsediamento però e la firma del protocollo sulla rappresentatività con l’Autorità portuale, paradossalmente i rapporti sono peggiorati, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro. Le nostre richieste venivano totalmente ignorate e venivano convocate riunioni che non producevano nulla, nemmeno un verbale. Mentre i dati dell’Ufficio avviamenti e i rapporti degli ispettori, nato ovvero rivitalizzato a seguito delle pressioni del CLPT e dei lavoratori, dai quali si poteva evincere le irregolarità nel lavoro, sono rimasti nei cassetti, anzi, il Servizio ispettivo è stato di fatto smantellato. I lavoratori iscritti al CLPT sono stati sempre nel mirino delle aziende, in particolare Stefano Puzzer che era un po’ il catalizzatore di tante rivendicazioni, anche prima della vicenda pandemica. Gliene hanno fatte di tutti i colori. Nel 2017 sono arrivati a mettergli la cocaina nelle urine del test per la prevenzione dell’uso di stupefacenti annuale.

Poi è arrivata la questione del Green Pass: voi eravate assolutamente contrari perché durante la pandemia i portuali hanno lavorato senza alcun tipo di presidio sanitario o di sanificazione e poi hanno chiesto prima i tamponi pagati dagli stessi e poi la vaccinazione, facendo ricadere tutti gli oneri sanitari sui lavoratori. 

Sì, eravamo contrari, ma non perché non credessimo alla pericolosità del virus, anzi. Eravamo quasi gli unici, assieme agli RLSS, a pretendere misure di tutela vere. Stefano Puzzer, fondatore e allora presidente del CLPT,  dopo che durante il suo turno di lavoro con altri colleghi si era rifiutato di salire sui mezzi se non venivano prima sanificati, al ritorno a casa ha trovato un personaggio che gli stava attaccando un segnalatore GPS sotto la macchina. La situazione era tale che nel marzo del 2020 abbiamo proclamato lo sciopero semplicemente per ottenere le mascherine e altre misure minime! In altre aziende ci sono stati dei veri e propri focolai di infezione. In ALPT, dove lavorava anche Stefano, chi chiedeva il rispetto del distanziamento negli uffici si è sentito dare dell’allarmista, salvo che poi tutti gli occupati dell’ufficio si sono beccati il Covid. Tutto questo senza che nessuno intervenisse a sanzionare le aziende. Abbiamo scritto all’Autorità portuale e a tutte le autorità competenti (ministero, Regione, Azienda sanitaria, Prefetto, Procura…) fin dal gennaio 2020 chiedendo misure serie di tutela della salute, senza risultati. 

Ed è proprio perché per un anno e mezzo i lavoratori sono stati costretti a lavorare in queste condizioni che quando è stato imposto il Green Pass, (una misura del tutto inefficace dal punto di vista sanitario e che avrebbe costretto i lavoratori a pagarsi i tamponi per poter lavorare) i lavoratori ne hanno avuto abbastanza di prese in giro. Come CLPT abbiamo proposto che invece del Green pass venisse introdotto l’obbligo del tampone, gratuito, prima di entrare in porto per tutti coloro che entravano in porto, vaccinati o meno, e non solo per i portuali. L’astensione dal lavoro l’ha decisa una affollatissima assemblea dei lavoratori, stufi di essere presi in giro, dopo che le autorità avevano rifiutato la proposta avanzata e anche qualsiasi confronto.

Occorrono delle prove per dimostrare queste affermazioni. E a quale scopo le aziende si accanirebbero in questo modo? 

Sulla vicenda della cocaina è stato accertato che si trattava di cocaina pura, che non era passata dall’organismo di Puzzer, e c’è una sentenza di primo grado di condanna di un dirigente di Trieste Marine Terminal per favoreggiamento, visto che sapeva prima di Stefano del risultato del test e si è rifiutato di dire da chi aveva avuto l’informazione. Lo scopo era di farlo cacciare dal porto proprio perché era il simbolo del CLPT e dei lavoratori. E di far fuori il CLPT in generale, perché era di ostacolo alla loro libertà assoluta in materia di “gestione” dei lavoratori. Si è arrivati all’assurdo per cui il CLPT era l’unico sindacato a pretendere il rispetto del contratto di lavoro, che non aveva nemmeno sottoscritto, mentre i sindacati che lo avevano firmato lasciavano che venisse violato sistematicamente senza dire una parola. 

Una nota importante da sottolineare è che diversi sindacati da quanto lei ha dichiarato in diverse interviste e comunicati già da tempo, non svolgono il loro lavoro in difesa delle istanze dei lavoratori. Quindi secondo lei si cerca di togliere con mezzi violenti e illegali l’agibilità ad un’organizzazione sindacale che invece tenta seriamente di tutelare i dipendenti. 

Certo, quello che è successo dopo l’ottobre del 2021 è una cosa che volevano fare da tempo, per poter disciplinare i lavoratori e poter tornare a fare profitti senza alcun scrupolo sulle spalle dei lavoratori. I portuali sono stati dipinti come barbari e il CLPT è stato dichiarato “non rappresentativo” – nonostante sia quello che ha tuttora il maggior numero di iscritti tra i lavoratori del porto. Bandito dai tavoli di contrattazione e da qualsiasi diritto sindacale. In barba a tutto, costituzione, leggi, regolamenti, accordi.   

Se un sindacato non è allineato rischia dunque di essere messo al bando. Questo è un precedente gravissimo e pericoloso per tutte le associazioni del lavoro. Si tratta di un problema socio-politico radicato, sintomo di un sistema democratico infetto. Questa denuncia che voi fate dovrebbe allarmare tutte le categorie di lavoratori. In altri posti avete notizia di situazioni analoghe o simili?

Sì, è così e sta succedendo anche altrove. Sappiamo che c’è stato di recente il licenziamento del presidente del sindacato Orsa Porti a Gioia Tauro, con pretesti disciplinari (avrebbe insultato dei dirigenti), ma mica ti dicono che ti licenziano perché fai attività sindacale. Ci sono gli arresti (poi revocati) dei membri del Si COBAS della logistica e di USB Logistica  di qualche mese fa, accusati di “estorsione” per aver …. condotto contrattazioni per migliori condizioni di lavoro! La situazione di Trieste però è particolarmente grave perché è stata il risultato di una vera e propria campagna di diffamazione e demonizzazione messa in atto da autorità, aziende, media e politici – tutti. Anche dei sindacati. Dopo lo sciopero del 15 ottobre ci sono state decine di sospensioni, del tutto illegittime, e nessuno ha alzato un dito. Lo scopo era quello di terrorizzare i lavoratori, in alcuni casi anche dicendogli apertamente che dovevano stare attenti a “rompere le scatole”, perché poteva capitare anche a loro quello che era capitato ad altri che pretendevano il rispetto dei propri diritti – essere licenziati. Naturalmente hanno preso di mira gli esponenti sindacali più attivi del CLPT, anche con ampio utilizzo di investigatori privati messi alle costole dei lavoratori da licenziare. 

E per scoprire cosa? 

“L’acqua calda”. In un caso hanno “scoperto” che poteva capitare che i lavoratori di quell’azienda al termine delle attività da svolgere, se ne tornavano a casa anche se formalmente il loro turno di lavoro non era finito. L’azienda lo sapeva ed è una pratica comune in porto. Hanno preso di mira alcuni lavoratori proprio per poterli licenziare. Ora ci saranno i ricorsi, ma noi nel frattempo abbiamo fatto un esposto alla Corte dei Conti regionale perché l’azienda in questione – Adriafer – è pubblica e deve rispondere di come utilizza i suoi soldi, e ha speso almeno 30mila euro solo per far seguire un lavoratore. Quando neppure serviva spiarli, bastava mettere una banale macchinetta per timbrare il cartellino. Oppure potevano farli controllare dai loro capi…ma non lo hanno fatto perché anche quelli se ne andavano prima del termine ufficiale del turno! Sono arrivati a mettere un segnalatore GPS sulla macchina della fidanzata di uno dei lavoratori. Cosa c’entra lei con le presunte infrazioni del suo compagno? A un altro lavoratore per licenziarlo gli hanno messo dietro un investigatore privato mentre era in malattia professionale, facendolo seguire fino in Emilia Romagna! Hanno messo fotocamere a infrarossi in terreno privato davanti ai portoni d’ingresso di palazzine, fotografando tutti coloro che entravano o uscivano. Si tratta da delirio di onnipotenza, in barba a qualsiasi norma, di rappresaglie di stile terroristico contro lavoratori che hanno l’unica colpa di aver rivendicato dignità e diritti. Quella di mettere investigatori alle costole dei lavoratori è una pratica che continua ed è ormai generalizzata in porto. Credo sia chiaro che tipo di clima si è creato, volutamente. Con il silenzio di tutti i pretesi democratici. I portuali sono stati lasciati alla mercé delle aziende da sindacati, partiti, tutti. 

Torniamo al 15 ottobre e al Green Pass. In effetti (giusto o meno che sia) voi sapevate a cosa andavate incontro perché il decreto annunciava sanzioni e sospensioni senza retribuzione, vietava però il licenziamento e altre forme di provvedimenti disciplinari. 

Le aziende hanno preteso di “interpretare” leggi e regolamenti a loro piacere, e ancora lo fanno. Hanno preteso di estendere anche alle attività portuali – che non sono annoverate tra i servizi pubblici essenziali nell’apposita legge – le limitazioni del diritto di sciopero per i servizi pubblici essenziali. Hanno preteso di applicare sanzioni ai lavoratori anche se la Commissione di Garanzia sugli scioperi ha sanzionato solo le organizzazioni sindacali proclamanti (e nemmeno tutte) e se la questione è ancora in discussione davanti alla magistratura, che è l’unica a poter dichiarare illegittimo uno sciopero. Hanno preteso di licenziare lavoratori solo perché non esibivano il green pass, in aperta violazione di quanto stabilito dal decreto che introduceva il Green Pass. Nel porto di Trieste di fatto lo stato di diritto non esiste più, sono le aziende e l’Autorità portuale a farsi le leggi come gli pare. E gli altri sindacati tutti in silenzio, quando non complici delle aziende. Sappiamo che in alcuni casi sono addirittura intervenuti per dissuadere i lavoratori da azioni sindacali contro i licenziamenti. Hanno dato ragione alle aziende sulla illegittimità dello sciopero.

Lei ha affermato su Visione Tv che il decesso di due lavoratori Roberto Bassin di 46 anni, in servizio come guardiafuochi a bordo di una nave al terminal Samer, risalente al 2019, e un altro al 9 febbraio 2023 -Paolo Borselli operaio di 58 anni- sono l’esito drammatico di condizioni di lavoro pericolose e che purtroppo non è stupito da queste tragedie. 

Bassin è morto a causa di una situazione di pericolosità che noi avevamo segnalato già nel 2018 all’Autorità Portuale. Le condizioni di lavoro dei guardiafuochi erano infatti particolarmente precarie: dipendenti di una cooperativa, venivano chiamati con preavvisi minimi quando serviva  la loro per l’imbarco o lo sbarco di merci pericoloso e cose simili. La stessa cooperativa non aveva un appalto vero e proprio, ma appunto veniva chiamata quando serviva alle aziende. I lavoratori perciò non avevano orari e per di più hanno retribuzioni ridicole. Avevamo chiesto che la loro situazione venisse stabilizzata in quanto lavoratori con una specifica professionalità creando un presidio antincendio stabile nel Porto che renderebbe più sicura la giornata per tutti. I Vigili del Fuoco si trovano infatti ad una distanza che non ci offre sicurezza.  Chiedevamo che la cooperativa avesse degli appalti formali con le aziende. Niente di tutto questo è stato realizzato. Oltre a ciò va detto che non c’era alcun protocollo o anche solo indicazione per le modalità della presenza a bordo dei traghetti dei guardiafuochi, non erano proprio considerati. Il risultato è che Bassin è stato schiacciato da un mezzo in manovra. Ne è seguito uno sciopero, era l’ennesimo decesso. 

Allora venne fatta un’ordinanza ad hoc, l’Ordinanza Bassin. Di cosa si tratta? 

L’ordinanza Bassin imponeva alle aziende di utilizzare nelle operazioni di imbarco/sbarco un segnalatore per ogni ponte con il compito di segnalare pericoli ai conducenti dei mezzi e a tutto il personale impiegato nelle operazioni. L’ordinanza è stata applicata per alcuni mesi e anche in quel periodo spesso a fare i segnalatori venivano messi marinai turchi che spesso neppure parlano italiano e avevano da svolgere contemporaneamente anche altre mansioni. Così nel 2021 uno di questi segnalatori turchi è stato travolto da un rimorchio in manovra proprio perché invece di fare il segnalatore faceva altro. Per fortuna si è solo rotto una gamba, ma poteva andare molto peggio. Solo dopo questo incidente ulteriore l’Autorità portuale ha modificato l’ordinanza obbligando le aziende a inserire gente specializzata che svolgesse solo quella mansione. 

Per quel che riguarda invece l’ultimo morto sul lavoro, Paolo Borselli, morto il 9 febbraio, la beffa tragica è che il giorno prima della morte di Borselli è uscita una nota del Comando Generale della Capitaneria di Porto che riguardava l’autoproduzione, ossia le operazioni specifiche che devono essere svolte dai portuali, ma che spesso vengono effettuate da lavoratori delle navi. La nota affermava che queste operazioni dovevano essere fatte esclusivamente da personale formato e specializzato per questo, non da marinai. Anche per ragioni di sicurezza. Quando abbiamo segnalato la nota all’Autorità portuale chiedendo di farla applicare e segnalando diversi casi di autoproduzione a Trieste e Monfalcone, la risposta stizzita del presidente D’Agostino è stata che loro facevano applicare l’ordinanza Bassin. Che però riguarda solo una attività, e tutte le altre che abbiamo segnalato? Ma quel che è peggio è che D’Agostino ha esordito dicendo che di cosa si impicciava il CLPT, che una sentenza aveva dichiarato non rappresentativo! Non importava se quanto segnalavamo erano cose reali o meno, pericoli veri, quello che contava per lui era che era il CLPT a farlo, e quindi non andava tenuto in considerazione.

Quindi l’Ordinanza Bassin incide ben poco sul piano pragmatico. Prima dello scoppio di questa crisi tra lavoratori e aziende del Porto c’erano maggiori condizioni di sicurezza?

Dove lavorava Borselli una volta c’erano barriere per evitare ai mezzi di finire in mare, ma l’azienda le ha tolte per costruire un’altra corsia per le manovre dei mezzi. Hanno detto che forse ha avuto un malore, ma anche se lo avesse avuto, se ci fosse stata la barriera almeno non sarebbe finito in mare. E se non fosse stato da solo il suo collega avrebbe potuto dare subito l’allarme. Così invece si sono accorti che era sparito dopo un’ora! Fino a qualche anno fa quella operazione veniva svolta da quattro lavoratori, non a caso. Poi sono stati ridotti a due e poi a uno solo. Anche adesso l’azienda non vuol sentir parlare di barriere e di affiancare un secondo collega. Per di più hanno smantellato il servizio ispettivo dell’Autorità portuale, fortemente voluto dal CLPT, per non dare fastidio alle aziende. Così la strage dei lavoratori continuerà. 

I portuali di Trieste hanno però anche dei punti di forza, avete dimostrato che qualora non doveste essere d’accordo con decisioni del Governo siete in grado di bloccare tutto. Il governo deve tenere a freno (anche per mezzo di sindacati collusi?) l’eventualità che ci si organizzi contro la volontà popolare, ad esempio contro la guerra?

La cosa è semplice, non c’è alternativa: o accetti tutto e stai zitto, o ti batti per condizioni di lavoro migliori, per difendere la tua dignità e garantire un futuro migliore ai tuoi figli e a tutti. Per questo è nato il CLPT, un sindacato dei lavoratori e per i lavoratori, senza funzionari che decidono per loro. Questo disturba perché le aziende sono abituate a fare ciò che vogliono, letteralmente. Abbiamo dimostrato diverse volte che uniti i lavoratori hanno una forza grandissima: con lo sciopero del 2015, il blocco del Porto per avere risposte sull’applicazione dell’allegato ottavo hanno portato all’incontro a Roma con il Mef nel 2019. Sempre nel 2019 dopo la morte di Bassin, poi la manifestazione contro l’esautorazione di D’Agostino, (che significava il pericolo dell’annullamento dei provvedimenti per noi positivi, firmati da D’Agostino) e poi contro il Green Pass, che ci ha messi direttamente a confronto con il Governo. Siamo diventati untori, ribelli, portatori di caos nazionale. Perché abbiamo fatto paura, paura che altri seguissero il nostro esempio. Ora stanno facendo una vera e propria operazione di terrorismo e demonizzazione nei confronti dei lavoratori, e molti sono spaventati. E intanto la gente muore lavorando per loro e i loro profitti. E tu dovresti stare zitto e accettare tutto? Proprio no, noi non ci fermiamo e non ci fermeremo.

Giulia Bertotto 

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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