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L’ IVA non dovuta

La questione relativa alla non assoggettabilità ad imposta sul valore aggiunto (IVA) della tariffa puntuale per il servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani (TARIP), introdotta dall’art. 1, comma 668, della legge ordinaria dello Stato 27 dicembre 2013, n. 147, deve essere affrontata con rigore tecnico sotto il duplice profilo della qualificazione giuridica dell’entrata e della compatibilità con i presupposti oggettivo, soggettivo e territoriale del tributo IVA, così come delineati dal DPR 26 ottobre 1972, n. 633, alla luce dei principi costituzionali (artt. 3, 23, 53, 97 Cost.) e del diritto unionale (direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006). 

La TARIP, com’è noto, costituisce una modalità di determinazione della tariffa rifiuti commisurata alla quantità di rifiuti effettivamente conferita, in attuazione del principio “chi inquina paga”, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni. Tuttavia, la struttura parametrica del “quantum” dell’obbligazione non muta la natura giuridica del prelievo, che resta coattivo, unilaterale, imperativo, fondato su una fonte legislativa di rango primario e non su una manifestazione di volontà negoziale dell’utente. In particolare, l’art. 1, comma 639, della legge ordinaria dello Stato n. 147/2013 qualifica l’obbligazione come tariffaria, ma imposta “in relazione al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti”, e ciò secondo un modello di matrice pubblicistica, analogamente alla TARI, da cui la TARIP deriva per continuità normativa e sistematica. 

Ai fini IVA, rileva, anzitutto, la verifica del presupposto oggettivo dell’imposta, ovvero l’effettuazione di una cessione di beni o prestazione di servizi a titolo oneroso nel territorio dello Stato (art. 1 del DPR n. 633/1972). L’art. 3, comma 1, del medesimo decreto qualifica come prestazioni di servizi “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, di appalto, di trasporto, di mandato, di mediazione, di deposito e in genere da obbligazioni di fare, non fare o permettere qualunque ne sia la fonte”. In tal senso, l’onerosità della prestazione presuppone la sussistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti, con reciproco consenso e autonomia contrattuale, elementi che risultano assenti nel caso della TARIP, la quale si impone erga omnes per effetto della mera disponibilità di un’utenza. 

Sul piano soggettivo, l’art. 4 del DPR n. 633/1972 dispone che è soggetto passivo IVA chi esercita “attività di impresa, arti o professioni” o in ogni caso “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni ovvero della prestazione di servizi”. La gestione del servizio rifiuti, anche se esercitata da società formalmente di diritto privato (es. società in house), è svolta su base pubblicistica, non nel libero mercato, bensì nell’ambito di un regime vincolato, regolato in modo autoritativo dagli enti locali ex art. 198 del d.lgs. n. 152/2006. 

L’eventuale affidamento a soggetti terzi avviene, infatti, con vincoli stringenti che escludono ogni discrezionalità nella definizione delle condizioni economiche e operative del servizio, il quale conserva carattere essenziale, obbligatorio e non eludibile, come da giurisprudenza costituzionale (sent. n. 199/2012 e n. 31/2021). 

Sul piano costituzionale, il principio di legalità in materia impositiva (art. 23 Cost.) vieta l’imposizione di prestazioni patrimoniali in mancanza di base legale. Nel caso di specie, l’applicazione dell’IVA alla TARIP comporterebbe un indebito ampliamento del campo d’applicazione dell’imposta mediante interpretazione estensiva e analogica in “malam partem”, in assenza di una norma positiva che qualifichi la TARIP come operazione rilevante ai fini IVA. In secondo luogo, la previsione dell’IVA su una tariffa coattiva comporterebbe la violazione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), poiché graverebbe il soggetto passivo di un’imposta sui consumi in assenza di un atto dispositivi di ricchezza, trattandosi di prestazione imposta in modo autoritativo e non liberamente determinata. In terzo luogo, l’assoggettamento ad IVA violerebbe anche il principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto finirebbe per discriminare gli utenti di un servizio pubblico obbligatorio rispetto ai fruitori di prestazioni effettivamente facoltative e commerciali, sottoponendo i primi ad un trattamento tributario irragionevole, non proporzionato né coerente con la natura del servizio ricevuto. 

A livello unionale, la direttiva IVA n. 2006/112/CE, art. 2, e la giurisprudenza della Corte di Giustizia (v. sent. 16 settembre 2008, causa C-25/07, Comune di Carbonia) richiedono che il prestatore agisca in qualità di soggetto passivo che effettui un’operazione a titolo oneroso. Tuttavia, nel caso della gestione rifiuti, l’attività non è posta in essere in regime di concorrenza, bensì in esecuzione di una funzione pubblica delegata, con natura autoritativa. La stessa Corte ha precisato che non rientrano nel campo applicativo dell’IVA le attività esercitate dallo Stato o da enti pubblici in quanto autorità pubbliche, anche quando percepiscano corrispettivi specifici per la loro attività, in assenza di una vera concorrenzialità. In sintesi, la TARIP non integra né sul piano oggettivo né su quello soggettivo né su quello funzionale un’operazione economicamente rilevante ai fini dell’IVA. L’eventuale addebito dell’imposta sulla tariffa configurerebbe, pertanto, una violazione del principio di legalità tributaria, oltre che un indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c., con obbligo di restituzione in favore del soggetto passivo. La corretta qualificazione tecnico-giuridica della TARIP, alla luce del quadro costituzionale e unionale vigente, impone, quindi, di escludere in modo rigoroso la sua assoggettabilità all’IVA.

Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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