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Lo scarso rendimento sul lavoro

da | Mag 21, 2023 | Economia, Lavoro

La recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione in tema di licenziamento per scarso rendimento irrompe del delicato rapporto tra lavoratore ed impresa che, in quanto tale, necessita di un approfondimento affinché siano evitate interpretazioni “personali” della pronuncia stessa; ne parliamo con l’Avvocato Antonio Curatola del foro di Roma.

Avvocato, recentemente la Suprema Corte si è pronunciata sul tema in questione individuandone la sussistenza dove vi è una violazione della collaborazione del dipendente, come si è espressa realmente la cassazione? 

È legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione (Cass., Sez. Lav., ord. 6 aprile 2023, n. 2023).

È un tema che riguarda sia il settore pubblico che privato?

In tema di licenziamento per scarso rendimento, l’esonero dal servizio deve essere caratterizzato –da un rendimento della prestazione scarsa rispetto alla media e dall’’imputabilità a colpa del lavoratore. Per tali ragioni, lo scarso rendimento non può essere dimostrato da vari precedenti procedimenti disciplinari già contestati e sanzionati al lavoratore, in quanto ciò costituirebbe una violazione del principio del ne bis in idem come avviene nelle contestazioni disciplinari di cui all’art. 7, L. n. 300/1970(4).

Nel settore privato le aziende che intendono recedere da rapporti di lavoro con personale al di sotto delle aspettative devono continuare a basarsi sugli orientamenti della giurisprudenza in materia. Orientamenti che evidenziano come, sotto il profilo dell’onere della prova, i requisiti richiesti sono stringenti e rigorosi e tutti a carico del datore di lavoro recedente.

Alla luce della giurisprudenza formatasi nel tempo sul punto la prova circa la legittimità del licenziamento grava sul datore di lavoro, il quale, nello specifico, deve dimostrare:

  • sotto il profilo oggettivo, che il lavoratore ha raggiunto un risultato inferiore rispetto alla media delle prestazioni rese dai colleghi con medesima qualifica e mansione e che lo scostamento registrato sia notevole, cioè assuma i caratteri di una “abnorme” sproporzione tra i risultati messi in paragone nei termini sopra indicati;
  • sotto il profilo soggettivo, invece, che lo scarso rendimento sia imputabile al lavoratore e, dunque, che derivi da sua negligenza o imperizia o, addirittura, dalla sua intenzionalità (in buona sostanza, dovrà escludersi che l’inadeguatezza qualitativa o quantitativa dell’attività del lavoratore non performante sia riconducibile a fattori organizzativi o socio ambientali dell’impresa).

Entrambi gli aspetti non possono essere ricondotti a isolati episodi di negligenza lavorativa.

Il datore di lavoro, deve dimostrare che l’anomalo rendimento è riferito ad un arco temporale significativo nel corso del quale è stata richiamata l’attenzione del dipendente circa i propri obblighi di diligenza, anche mediante appositi procedimenti disciplinari.

Sotto il profilo formale, va ricordato che la validità del licenziamento per scarso rendimento è subordinata all’espletamento della procedura prevista all’art. 7, legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori): il datore di lavoro dovrà pertanto preliminarmente contestare per iscritto al lavoratore le circostanze che caratterizzano la sua condotta manchevole e consentire a quest’ultimo di esercitare il suo diritto di difesa.

La giurisprudenza ha riconosciuto la facoltà al datore di lavoro di richiedere il risarcimento dei danni al ricorrere in materia di responsabilità contrattuale.

Pertanto, nell’ipotesi in cui il dipendente, con il proprio comportamento manchevole, abbia provocato i danni eziologicamente connessi all’inadempimento, potrebbe essere tenuto al risarcimento.

Mario Vacca

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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