La legge approvata in via definitiva dal Senato della Repubblica il 14 maggio 2025 (ed in attesa di promulgazione), frutto di una iniziativa legislativa popolare promossa dal sindacato CISL e presentata come strumento di attuazione dell’articolo 46 della Costituzione italiana vigente, si fonda su un impianto normativo di natura essenzialmente procedurale e volontaristica.
Essa si limita a prevedere un catalogo di ipotesi astratte e opzionali di partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa, modulandone la concreta applicazione sulla base della contrattazione collettiva e delle disposizioni statutarie delle singole società. Le principali forme contemplate riguardano: la partecipazione gestionale mediante l’inserimento eventuale di rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione o di Sorveglianza; la partecipazione economico-finanziaria attraverso l’assegnazione di azioni aziendali, con una temporanea e parziale esenzione fiscale sui dividendi; la partecipazione organizzativa mediante commissioni paritetiche consultive, prive di potere vincolante; e infine una debole previsione in materia formativa, anch’essa subordinata a soggetti terzi e vincolata a logiche bilaterali. Si tratta, nel complesso, di un articolato che rinuncia programmaticamente a conferire una struttura obbligante e sistemica al principio partecipativo, optando per una disciplina indeterminata e discrezionale, priva di sanzioni e di strumenti coattivi.
Questa scelta legislativa si rivela insoddisfacente tanto sotto il profilo dell’ermeneutica costituzionale, quanto dal punto di vista dell’ontologia normativa sottesa al diritto naturale classico. L’articolo 46 del Testo fondamentale non configura un obiettivo generico, né una clausola di stile programmatica: è norma precettiva, immediatamente cogente, che impone al legislatore ordinario un obbligo positivo di conformazione istituzionale. Riconoscendo “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende”, il Costituente ha inteso promuovere un riequilibrio sostanziale tra le istanze del capitale e quelle del lavoro, rompendo l’egemonia proprietaria dell’impresa come centro esclusivo della volontà economica. In tal senso, l’articolo 46 esige una legge che determini in modo vincolante e generalizzato i “modi” e i “limiti” di una effettiva co-gestione, non già una facoltà condizionata alla buona volontà degli attori negoziali.
La fonte-atto appena approvata, invece, elude sistematicamente tale mandato, degradando la partecipazione a mera eventualità contrattuale, riconducibile al perimetro della libertà negoziale, anziché al piano dell’obbligazione pubblica. Il risultato è una normativa che nega nei fatti ciò che afferma nel titolo, tradendo l’essenza teleologica della disposizione costituzionale. In prospettiva giusfilosofica, la lacuna si fa ancora più evidente. Il diritto naturale classico, nella sua formulazione tomista, postula che l’ordinamento giuridico, per essere legittimo, debba fondarsi sulla natura razionale e sociale dell’uomo, orientata al bonum commune. In tale visione, l’impresa non è una struttura neutra o privatistica, ma una comunità di lavoro retta da un principio finalistico, in cui il bene dell’intero corpo produttivo prevale sulla somma degli interessi individuali. Il lavoro, pertanto, non può essere ridotto a fattore tecnico subordinato alla proprietà del capitale, ma costituisce esercizio di una funzione propria della persona, che postula, per sua natura, il diritto alla corresponsabilità e alla deliberazione.
Una legge conforme al diritto naturale avrebbe dovuto riconoscere il principio di co-decisione come fondamento strutturale dell’impresa, traducendolo in istituti giuridici che realizzino concretamente l’equità relazionale tra soggetti cooperanti. L’assenza nella legge di obblighi generalizzati, di poteri co-gestionali e di sanzioni per l’inadempimento rivela una concezione positivistica del diritto, priva di ogni ancoraggio a criteri di giustizia oggettiva. Essa ripropone, in forma aggiornata, lo schema hobbesiano del “pactum subiectionis”, in cui la volontà del più forte prevale per definizione, mentre il lavoro resta relegato a funzione strumentale, oggetto di tutela paternalistica ma non di riconoscimento ontologico.
Né può dirsi che il riferimento alla contrattazione collettiva compensi questa mancanza: la libertà sindacale, per quanto rilevante, non può sostituire l’obbligazione legislativa di garantire a ogni lavoratore, in quanto tale, un diritto soggettivo pubblico alla partecipazione effettiva. Una vera legge di attuazione dell’art. 46 Cost. avrebbe dovuto stabilire in modo imperativo l’inserimento dei rappresentanti dei lavoratori negli organi decisionali delle imprese sopra una soglia dimensionale determinata, con diritto di voto su materie sensibili quali l’organizzazione del lavoro, la destinazione degli utili, le politiche industriali e le scelte di delocalizzazione. Avrebbe dovuto affermare un principio di corresponsabilità patrimoniale, con la previsione obbligatoria di quote di utili condivisi e di strumenti di partecipazione azionaria diffusa, non come liberalità del datore di lavoro, bensì come diritto strutturale alla compartecipazione.
Avrebbe altresì dovuto prevedere un sistema di formazione permanente garantito e non meramente accessorio, volto a sviluppare nelle persone le competenze necessarie a una cittadinanza economica matura. Tutto ciò avrebbe reso l’impresa luogo di collaborazione ordinata e non di dominio unilaterale, spazio di realizzazione personale e non semplice macchina produttiva. In assenza di tali elementi, la legge del 2025 si configura come un artificio giuridico, tecnicamente raffinato ma sostanzialmente inerte, che perpetua lo squilibrio tra capitale e lavoro, e nega, sul piano della realtà normativa, l’istanza etica e antropologica (sia pure molto problematica sul piano filosofico) inscritta nella Costituzione italiana e nella più alta tradizione del pensiero giuridico occidentale.
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it