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Home Inchieste Caso Orlandi a 40 anni dalla scomparsa, Tommaso Nelli: “La Chiave è la Rosa Blu”

Caso Orlandi a 40 anni dalla scomparsa, Tommaso Nelli: “La Chiave è la Rosa Blu”

Giornalista e autore del libro-inchiesta Atto di dolore che ha avuto tre edizioni e grande successo, Tommaso Nelli da molto tempo si occupa della vicenda di Emanuela Orlandi, il dramma di una famiglia che non ha pace e un enigma investigativo che non trova soluzione.

Lo abbiamo intervistato all’inizio di un 2023 che segnerà il quarantennale della scomparsa della giovane cittadina vaticana.

E dobbiamo mettere l’accento sulla parola scomparsa, e non sequestro, ecco perché.

Dottor Nelli, da quanti anni si occupa di questa angosciante e intricatissimo caso? Da dove nasce la sua passione?

Mi occupo della scomparsa di Emanuela Orlandi da quattordici anni. La passione nacque all’improvviso.

Come tutti, sapevo qualcosa di questa vicenda, ma avevo le idee abbastanza confuse, finché un giorno acquistai un libro e ne venni come risucchiato.

Il caso divenne poi l’argomento della mia tesi di laurea in “Editoria e Giornalismo” alla facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’università “La Sapienza” di Roma.

Il mio relatore, il professor Pietro Veronese, che non smetterò mai di ringraziare, si dimostrò disponibile alla possibilità di trattare un tema così controverso e spinoso, soprattutto per un ragazzo come me, ancora inesperto in materia giudiziaria.

La prima cosa che mi aveva affascinato erano i luoghi in cui era accaduto il misfatto, nei quali mi capitava spesso di passare: non una squallida periferia o un habitat sociale degradato, ma il centro storico di Roma. Di Emanuela Orlandi si persero le tracce su corso Rinascimento, di fronte al Senato della Repubblica, in pieno giorno. Come può evaporare nel nulla in un luogo simile un’adolescente proveniente da una famiglia semplice, devota e descritta come diligente e obbediente?

Poi mi colpì che su un fatto così semplice avevano costruite teorie degne del rapimento di un capo di Stato. E mi chiesi anche se fosse stato indagato a dovere il luogo dell’accaduto.

Occupandomi poi da vicino del caso, mi sono accorto che non è stato così. 

Sulla Orlandi si è detto di tutto: sono stati tirati in ballo la massoneria, la P2, la Banda della Magliana, il terrorismo internazionale, perfino gli alieni. Ma che cosa è successo a Emanuela?

La cosa più importante per interpretare la vicenda è cambiare il paradigma interpretativo e smettere di parlare di “sequestro”. Perché facciamo una sorta di depistaggio logico.

Quando avviene un rapimento o un sequestro, l’autore lo rivendica e lo usa per ottenere qualcosa in cambio.

Nella storia di Emanuela invece nessun soggetto ha mai riconosciuto pubblicamente il fatto, nessuno ha mai preteso un riscatto economico, nessuno ha mai fornito prove che dimostrassero l’eventuale detenzione della ragazza. Anzi, è successo tutto il contrario: messaggi anonimi, se non con sigle fantasiose, e richieste insussistenti come la liberazione da parte del Vaticano di Alì Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II, che invece era stato condannato dalla giustizia italiana.

Per cui l’impressione è che si sia invece cercato di insabbiare la faccenda, qualcosa che non doveva succedere ma che ormai, una volta “combinato il guaio”, bisognava trovare il modo di nascondere.

Per Emanuela Orlandi si deve quindi parlare di “scomparsa”. Lei quel funesto 22 giugno 1983 seguì qualcuno di cui si fidava o che conosceva, qualcuno che è passato a prenderla dopo la scuola di musica o qualcuno con cui aveva un appuntamento già stabilito.

Questo si deduce dall’assenza di testimonianze relative a un fatto violento e dalla logica.

Quale persona attuerebbe un rapimento, cioè portar via qualcuno contro la sua volontà, oltretutto una minorenne, di giorno (in estate alle sette di sera c’è ancora luce) e nella zona più trafficata di Roma? Giusto un folle!

Quali sono i punti salienti della sua indagine? Nella quarta di copertina del suo libro si legge come punto chiave la “mancata identificazione dell’ultima persona che la vide pochi attimi prima che sparisse per sempre: un’allieva della sua stessa scuola di musica”. Perché questa figura è così importante?

La mia indagine ha mirato a ricostruire il carattere e la personalità di Emanuela, che non sembra coincidere con il ritratto mediaticamente veicolato, i suoi microcosmi sociali e, soprattutto, la ricostruzione del luogo della scomparsa.

Dove è stato commesso l’errore più grave da parte degli inquirenti: non aver identificato l’ultima persona insieme a lei, che vide quel che fece Emanuela quella sera.

Quella ragazzina, oggi donna e da me chiamata “rosa blu” perché nella simbologia floreale rappresenta il mistero, è la zona d’ombra esiziale, il buco nero cruciale di questo intricatissimo enigma.

La sua esistenza è nota alla famiglia Orlandi dalla sera della scomparsa e agli inquirenti fin dall’indomani grazie alla denuncia di sparizione della sorella di Emanuela, Natalina.

Possibile non essere mai riusciti a identificarla? È possibile che invece ci riuscì la direttrice della scuola di musica, Suor Dolores?

Può spiegare meglio?

La famiglia Orlandi apprese della “rosa blu” da un’altra allieva della “Da Victoria”, che la menzionò agli inquirenti nelle sue deposizioni del luglio 1983 con tanto di descrizione fisica.

E in una di queste raccontò che Suor Dolores predispose un confronto tra lei e questa studentessa, della quale non ricordava il nome perché l’istituto era frequentato da più di seicento persone e tutti non potevano conoscere tutti. Però, nonostante questa testimonianza, gli inquirenti non chiesero mai nulla a suor Dolores. Nemmeno quando la riconvocarono nel 1985. 

Lei conosce l’identità della “rosa blu”?

Se la conoscessi, l’avrei già rivelata. In base alle mie ricerche però mi sono fatto un’idea su chi possa essere.

E ci sono altri errori investigativi evidenti che a suo avviso sono stati commessi?

Aver ignorato le settantuno ore di assenze da scuola di Emanuela nel secondo quadrimestre di quell’anno.

Nessuno conosce la causa. Le sue ex compagne di classe non lo ricordano, e ci può stare, o, come le sue due compagne di banco, non lo dicono. E questo ci sta di meno. Si dovrebbe prestare poi attenzione anche al calo di rendimento e all’8 in condotta di quell’anno. Perché?

Confrontando gli atti, ho poi rilevato le testimonianze divergenti di due studentesse della scuola di musica riguardo sempre la sera della scomparsa.

Interpellate da un ispettore di polizia nei giorni immediatamente successivi, venne fuori che erano transitate su Corso Rinascimento e avevano visto Emanuela alla fermata dell’autobus.

Riascoltate il mese dopo, cambiarono la loro versione: una disse che passò sul Corso senza però vedere Emanuela alla fermata; l’altra che l’aveva salutata un’ultima volta sul piazzale della scuola di musica e che quindi non vide se Emanuela si fosse recata o meno alla fermata.

Queste contraddizioni non sono mai state chiarite e inficiano pesantemente la ricostruzione del luogo del misfatto.

Ha cercato queste due persone?

Sì. Una ha respinto ogni mia richiesta con molta durezza. L’altra in un primo momento, era il 2018, si disse disponibile a incontrarmi, ma poi ha fatto marcia indietro e poche settimane fa mi ha fatto sapere che non vuole più parlare.

Altre anomalie?

Non aver chiesto in che modo solitamente Emanuela tornasse a casa dalla scuola di musica a Ercole Orlandi quando fu ascoltato per la prima volta dagli inquirenti, cosa tra l’altro avvenuta a oltre due settimane di distanza dalla sparizione della figlia! Questa domanda gli fu rivolta dal giudice Ilario Martella soltanto diversi anni dopo, è incredibile.

Perché poi quella sera, uscita da scuola, Emanuela andò su Corso Rinascimento quando invece aveva appuntamento con gli amici davanti alla Corte di Cassazione, cioè dalla parte opposta?

Emanuela Orlandi era cittadina vaticana. Lei non ha guardato solo in quella direzione ma secondo lei la chiave dell’enigma è al suo interno.

Tra le novità della mia indagine c’è la testimonianza di un’altra sua amica, anch’essa mai ascoltata dagli inquirenti, alla quale Emanuela raccontò di essere stata pesantemente infastidita da un ecclesiastico pochi mesi prima della scomparsa.

Questa notizia è stata riportata come inedita da “Netflix” in Vatican Girl, ma non è vero perché è nero su bianco che io lo scrissi già nel 2016.

Poi tra il 1993 e il 1995 arrivarono tre lettere anonime agli inquirenti nelle quali si faceva anche il nome di un prelato che la sera del 22 giugno 1983 avrebbe caricato a bordo di una berlina scura Emanuela proprio su Corso Rinascimento e lei, secondo una di queste, sarebbe anche rientrata in Vaticano prima di sparire.

Questa macchina scura torna in altre testimonianze slegate tra loro.

Come quella di una ex studentessa della “Da Victoria”, mai ascoltata dagli inquirenti, che mi ha raccontato come nell’ultimo periodo prima della scomparsa ci fosse una vettura che passava a prendere Emanuela: un’auto scura con finestrini oscurati e di grossa cilindrata.

Mi disse anche che Emanuela le avesse offerto dei passaggi, ma lei non si era fidata di quella macchina così austera.

E poi ci fu l’intervista del 1993 al cardinale Silvio Oddi, che riferì di aver ascoltato una conversazione in ambienti ecclesiastici, secondo la quale Emanuela quella sera sarebbe rientrata in Vaticano per poi uscire e salire a bordo di un’auto di lusso.

Certo è difficile credere all’accumularsi di così tanti e gravi errori in uno stesso caso. Ad essere sospettosi verrebbe da pensare che proprio non si doveva sapere cosa fosse successo a questa ragazza. Cosa è successo ad Emanuela? È viva o meno oggi, secondo le sue indagini?

Per me la soluzione è da cercare nell’ambiente di provenienza di Emanuela, il Vaticano.

Perché non si è mai mobilitato per cercare una sua cittadina? Per di più una ragazzina e la figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia.

Perché classificò immediatamente la vicenda come “sequestro di persona” quando ancora non erano arrivate rivendicazioni in tal senso?

Oltretevere sono a conoscenza di quanto è accaduto e si capisce anche da un’intercettazione telefonica del 1993 a un funzionario della vigilanza vaticana del tempo che, prima di presentarsi in Procura a proposito della sparizione di Mirella Gregori, ricevette una telefonata di uno suo superiore che lo invitò al silenzio su Emanuela Orlandi, raccomandandogli che non dicesse che la cosa era andata anche alla Segreteria di Stato.

E perché le amiche di Emanuela dell’epoca, che abitavano in Vaticano o nelle zone limitrofe, si rifiutano di parlarne e reagiscono infastidite, arrivando a minacciare denunce, al sol sentire il suo nome?

Ritengo che dietro questa scomparsa ci sia uno scenario scabroso, a sfondo sessuale, che, se si conoscesse fino in fondo, causerebbe danni rovinosi all’immagine della Chiesa nel mondo, la quale si ritroverebbe ad affrontare non soltanto un atto increscioso su una minorenne, ma una sua morte e un eventuale occultamento o, peggio, una eventuale distruzione del suo cadavere.

Giulia Bertotto

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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