Dalle prime collaborazioni a 16 anni al ritorno a Donna Moderna, la storia di una professionista che non si è mai arresa.
Raccontare storie sfidanti e di successo è importante, ancora di più se sono declinate al femminile, senza per questo voler togliere spazio agli uomini. In questa intervista esclusiva, Eleonora Molisani, giornalista professionista e autrice di lunga data nel panorama italiano, ripercorre la sua storia professionale. Eleonora ha dedicato la sua carriera all’attualità, alla cultura e ai libri, collaborando con testate come il settimanale Tu Style. Oltre al suo lavoro di giornalista, condivide la sua esperienza come docente di giornalismo, comunicazione e new-media presso la Scuola di linguaggi Mohole di Milano, dove cura anche la rassegna letteraria annuale “Parolibere”.
Con oltre quarant’anni di esperienza tra carta stampata e web, ha vissuto in prima persona le epocali trasformazioni del giornalismo, diventando testimone e protagonista di un settore in continua evoluzione. In questa chiacchierata approfondita, esploreremo il suo percorso professionale, dalle prime collaborazioni a soli 16 anni alla cassa integrazione, fino al ritorno a Donna Moderna.
Scopriremo cosa l’ha spinta a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà, quali insegnamenti ha tratto dall’esperienza nel giornalismo anglosassone e come vede ilfuturo di una professione sempre più complessa e sfidante.
Affronteremo anche temi delicati come le dinamiche di potere nel mondo del lavoro e la condizione femminile nel giornalismo, senza tralasciare i sogni e i progetti per il futuro.
Preparatevi a un viaggio appassionante nel mondo dell’informazione, attraverso gli occhi di una giornalista che ha fatto della curiosità, della passione e della determinazione i suoi punti di forza.
La sua vocazione per il giornalismo nasce fin da bambina, una passione che ha mantenuto viva nonostante le resistenze familiari e le difficoltà congenite nel settore. Cosa l’ha spinta, in tutti questi anni, a non arrendersi mai e a continuare a credere in questo lavoro?
“Da piccolissima ero affascinata dagli inviati di guerra, mi sembrava fosse importantissimo il loro lavoro, quello di testimoniare che cosa accadeva in posti remoti del pianeta, posti di cui non sapevamo nulla, visto che negli anni 70 la tecnologia non era certo quella attuale. Durante gli ultimi due anni del liceo, la mia passione per il giornalismo mi ha portato a collaborare con un quotidiano di provincia: avevo solo 16 anni ma una determinazione straordinaria a imparare il mestiere del giornalista. Quella gavetta intensa mi ha fatto guadagnare il tesserino da pubblicista già a 18 anni. Crescendo, nonostante nella mia famiglia ci fosse una lunga tradizione di laureati in legge, dopo il liceo classico avrei voluto iscrivermi alla facoltà di lettere, ma mio padre mi convinse (quasi costrinse) a scegliere legge, ritenendo che mi avrebbe dato più possibilità lavorative. Non mi sono mai arresa perché sento una vera vocazione per questo lavoro: abbiamo il privilegio di essere testimoni del nostro tempo e poterlo raccontare, e il grande privilegio e onore di poter dare voce a chi non ha voce. Infatti, io mi sono sempre occupata di diritti civili e umani, di emarginazione, di emancipazione, di attualità, cultura e società”.
Dopo aver conseguito una laurea in legge per accontentare suo padre, ha deciso di “scappare” in Inghilterra per imparare il vero giornalismo. Cosa ha trovato di diverso e di stimolante nel sistema anglosassone e quali insegnamenti ha portato con sé che hanno caratterizzato la sua carriera?
“In Inghilterra mi sono iscritta a un corso per imparare l’inglese a livello avanzato e a un master in comunicazione. E’ stato un periodo molto duro ma esaltante: di giorno studiavo come una matta e la sera andavo a fare la cameriera fino a tardissimo nei ristoranti. Dividevo la casa con tante persone, andavo all’università in treno, spesso c’era la neve, in Inghilterra faceva freddissimo e in molte case – compresa la mia – non c’era il riscaldamento. Ma sono stati anni in cui ho imparato tanto, sia della vita sia della professione. Il giornalismo anglossassone tende a privilegiare l’oggettività, la separazione tra notizia e opinione è netta. Il nostro giornalismo è più sfumato, in molti contesti la politica gioca un ruolo cruciale, minando l’oggettività dell’informazione. In UK (ma anche negli Usa), sebbene la politica possa influenzare, ci sono standard professionali che limitano i conflitti di interesse. La separazione tra media e partiti politici è più netta. Da noi molti giornali, canali tv, e radio sono di proprietà di gruppi economici importanti, spesso legati a schieramenti politici, e questo porta a una maggiore polarizzazione dell’informazione e a una tendenza dei media a sostenere una parte politica, a scapito dell’oggettività e dell’onestà intellettuale”.
Ha vissuto oltre 40 anni di giornalismo, tra carta stampata e web. Quali sono a suo parere i cambiamenti più significativi che hanno trasformato questa professione nel corso del tempo e quali sono le sfide che attendono i giornalisti del futuro?
“Ho cominciato a lavorare in gruppi editoriali di piccole dimensioni, era l’epoca in cui ancora si scriveva con la macchina per scrivere e tutto era su supporto cartaceo, i computer non erano ancora attivati nelle redazioni. Dagli anni 90 in poi sono arrivati i computer e poi la grande digitalizzazione, io ho cominciato a lavorare in grossi gruppi editoriali, approdando in Mondadori, dove sono rimasta 25 anni. La trasformazione digitale è stata clamorosa e ha avuto un impatto straordinario sulle redazioni dei giornali e per i giornalisti. Da un lato tutto diventava più facile, non occorreva più fare viaggi in Italia o all’estero per reperire notizie, fare interviste, realizzare servizi, inchieste. Ma siamo diventati anche “animali da redazione”, nel senso che non dovevamo più andare a caccia delle notizie, perché erano le notizie ad arrivare da noi. La trasformazione digitale ha anche creato tantissima disoccupazione: in redazione – negli ultimi 15 anni – siamo diventati sempre meno, pochi giornalisti interni, tanti collaboratori esterni, giornali sempre meno venduti in edicola, tante chiusure di testate, nascita di nuove testate online. Io da alcuni anni insegno comunicazione e giornalismo alla Scuola Mohole di Milano, per la faculty di scrittura, e dico sempre ai miei studenti che non c’è più bisogno di giornalisti, ma di comunicatori a tutto tondo. Servono professionisti della comunicazione capaci di maneggiare qualsiasi media: cartaceo e online, tra internet e social media”.
Ha sperimentato sulla sua pelle la crisi del settore e la cassa integrazione. Come ha vissuto questo momento difficile, e cosa l’ha aiutata a “tornare a respirare a pieni polmoni” e a ritrovare un nuovo spazio su Donna Moderna? Ha mai pensato: basta, mi dedico ad altro?
“Quando il mio giornale – TuStyle, di Mondadori – ha chiuso, e mi sono ritrovata senza lavoro dopo 40 anni di professione, sono andata in crisi. I giornalisti sono considerati da sempre dei privilegiati, quindi non fanno pena a nessuno. Questo è ingiusto perché per noi spesso non esistono ferie, permessi, vacanze lunghe. Non ci sono orari, spesso si lavora più di dieci ore al giorno, senza che nessuno ti paghi lo straordinario. Non esistono i sabati e le domeniche, e spostarsi continuamente per eventi e impegni è molto stressante. Inoltre, non ci sono stipendi alti, come per altre professioni. Eppure, l’opinione pubblica non solidarizza mai con i giornalisti, anzi, spesso è piena di pregiudizi. Un giornalista professionista, dopo aver conseguito un titolo di studio, deve anche fare il praticantato e un esame di stato non semplice. Ma di tutto questo le persone non sanno nulla, oppure semplicemente non interessa. Nonostante questo, non ho mai pensato di dire basta perché considero il giornalismo il mestiere più bello del mondo. In realtà, la professione e l’arte della scrittura mi interessano in tutte le forme: infatti dal 2014 ho cominciato a scrivere libri (romanzi, racconti, poesie, saggistica, scolastica, libri per bambini), e da qualche anno insegno giornalismo e scrittura ai comunicatori del futuro, alla Scuola Mohole di Milano”.
Dopo una carriera così ricca e articolata, cosa sente di dire ai giovani che sognano di intraprendere la professione di giornalista, in un’epoca in cui l’informazione è sempre più frammentata e le opportunità sembrano scarse?
“Dico sempre ai miei studenti quello che scrisse quel visionario di Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”: dovete essere molto curiosi, molto appassionati, molto studiosi. Dovete interessarvi a ogni argomento, essere aggiornati su tutto ciò che vi circonda e su ciò che accade nel mondo. Dovete imparare a usare in modo corretto i nuovi media, essere competitivi sulle nuove skill. Se avrete tutto questo, potrete brillare, farvi notare ed emergere dalla massa. Studio, passione e determinazione sono la formula vincente per chi vuole diventare un buon comunicatore del terzo millennio.”
In quanto giornalista e osservatrice attenta delle dinamiche del settore, cosa pensa della vicenda che ha coinvolto Prodi e la collega Orefici, al di là dei singoli protagonisti, riveli sul persistere di certe dinamiche di potere e di affrontare le difficoltà come donna sul lavoro? Pensa che il professore si sarebbe permesso di tirare i capelli ad un uomo o ragazzo?
“Penso che Prodi non si sarebbe mai permesso di fare questo a un uomo. Per fare la giornalista, 40 anni fa, ho dovuto superare ostacoli che a tutt’oggi non sono stati rimossi: ho cominciato a lavorare nei quotidiani ma ho subito capito che le donne finivano tutte a lavorare nei settimanali e nei mensili, perché non erano considerate adatte a un certo tipo di giornalismo, sia come tematiche, sia come disponibilità. Mi sono sentita chiedere ai colloqui, sempre, se avessi voluto diventare madre o moglie, e la cosa non deponeva bene all’epoca. Ho visto tantissime colleghe giornaliste rinunciare a diventare madri e mogli, e io stessa ho fatto un figlio dopo i 40 anni, perché altrimenti non avrei fatto la carriera che ho fatto. È stato eroico, in Italia, conciliare la professione di giornalista con gli impegni da mamma, infatti ho dovuto rinunciare alla carica di caporedattore centrale quando mio figlio ha avuto dei problemi di salute. Penso che la situazione oggi non sia molto cambiata, purtroppo. E non lo dico io, ce lo dicono i numeri e le statistiche”.
Chiudiamo con un sogno nel cassetto: come e dove si vede Eleonora Molisani tra 10 anni? Cosa vorrebbe realizzare di nuovo nella sua vita professionale?
“Mi ritengo soddisfatta di quello che ho ottenuto, anche se è stato ed è, molto faticoso. Ho appena firmato un contratto con la testata Donna Moderna, mi piacerebbe continuare a scrivere sui giornali nei prossimi anni, sia sulla carta sia sul web, come faccio da sempre. Vorrei continuare anche a scrivere libri, perché la narrativa è uno spazio di libertà assoluta per uno scrittore, e lì riesco a esprimermi a 360 gradi. E infine vorrei continuare a insegnare quello che so fare alle nuove generazioni, perché penso che noi sopravviviamo solo se lasciamo qualcosa di importante nei cuori e nelle coscienze degli altri, come diceva il grande scrittore Lev Tolstoj”.
Francesca Caggiati
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it
Foto copertina: credits Alfredo Bernasconi