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Home Inchieste Interviste Filosofia, religione e gastronomia. Questi ed altri ancora i temi affrontati con il professore Diego Fusaro

Filosofia, religione e gastronomia. Questi ed altri ancora i temi affrontati con il professore Diego Fusaro

Nella nostra “società globalizzata”, che vorrebbe l’uomo “consumatore non pensante”, non manca la capacità di interrogarsi su temi, come la “verità”, la “famiglia”, “l’amore”, “la parola e il linguaggio”. Questi sono solo alcuni dei temi affrontati, insieme al professor Diego Fusaro, filosofo, scrittore, giornalista e docente di Filosofia. 

Prof. Fusaro, lei è un filosofo, se dovesse collocarsi in una corrente filosofica quale sarebbe?

Se dovessi collocarmi in una corrente filosofica, mi definirei un “dialettico” nell’accezione di Hegel, che ritengo autore imprescindibile per fare filosofia.

È Hegel il suo filosofo preferito?

I gusti sono molteplici, però sicuramente Hegel è, tra i filosofi, quello che ritengo più portatore di verità.

Professore, lei ha definito Hegel il massimo portatore di verità, cos’è la “verità”?

Dal punto di vista Hegeliano, la verità è connessa alla temporalità, quindi la temporalità implica un processo in cui la verità si attua e si realizza. Questo è uno dei meriti di Hegel, quello di aver messo in relazione verità e tempo.

Lei concorda con Hegel per quanto concerne il concetto di “verità”, o ha anche una sua visione?

Se dovessi definire la “verità”, direi che essa è il processo con cui l’umanità si realizza in forme sempre più libere e consapevoli, che non ha nulla a che vedere con la certezza scientifica, la sincerità o la correttezza rappresentativa. La “verità”, comporta un rapporto con la “totalità”, quindi è esclusiva prerogativa della filosofia, dell’arte e della religione.

La verità è prerogativa di tutte le religioni?

Ogni religione ha un suo tentativo di cogliere l’Assoluto, naturalmente non tutte sono sullo stesso piano. Sicuramente, la religione Cristiana è la religione che più si avvicina, che più coglie la verità, quella che Hegel chiama “la religione assoluta”. 

Quando lei parla di religione Cristiana fa riferimento in particolare al Cattolicesimo?

A mio giudizio, la versione Ortodossa è ancora superiore, e rappresenta per me, il culmine della consapevolezza religiosa. In questo mi discosto da Hegel, per il quale com’è noto, la religione Luterana è quella più vicina alla verità. 

Lei ha prodotto moltissimi scritti, e tra questi “Il Nuovo Ordine Erotico” – Elogio dell’amore e della famiglia, che si apre con una citazione di Adorno, tratta dai “Minima Moralia”: “l’amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile. Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”. Cos’è l’amore per lei?

L’amore è una realtà talmente grande, che è difficile sintetizzarlo in una definizione. Potremmo dire che esso, è il tentativo di completarsi mediante l’unione con l’altro, quell’unione che non annulla la nostra individualità, ma le permette di realizzarsi in una sintesi duale. Questa è l’espressione che ho usato nel mio libro “Il Nuovo Ordine Erotico”, e che ritengo tuttora valida. 

Quando lei parla di amore, parla anche di amore omossessuale?

Io ho rispetto per ogni forma di relazione fra gli esseri umani, ma quando intendo l’amore, lo intendo nell’accezione di cui parla Hegel, e cioè quell’amore che implica la differenza dei sessi e la loro ricerca di congiungimento, che nella nascita del figlio trova la sua azione. 

Che cosa è per lei la famiglia e come viene considerata in quello che lei chiama “Nuovo Ordine Erotico”?

La famiglia è la forma dell’amore che, dall’immediatezza quasi naturale dell’attrazione dei sessi, si consolida in un rapporto etico, che trova nella nascita del figlio, il momento in cui gli amanti vedono il loro amore che si realizza, il loro desiderio di unità, che si realizza in una persona, che rappresenta quell’unità. Oggi, in quello che definisco il “Nuovo Ordine Erotico”, per famiglia, si intende sostanzialmente ogni tipo di relazione voluta dall’individuo, e che dunque, non ha più confini precisi. Da questo punto di vista, tutto può diventare indistintamente famiglia e in questo modo esplode il concetto stesso di famiglia.

L’autodeterminazione assoluta dell’uomo che cosa comporta?

L’uomo non può autodeterminarsi in assoluto, perché è pur sempre inserito in un contesto particolare, in cui non è il dominus assoluto. L’uomo non può essere padrone assoluto della natura, come diceva invece Cartesio, l’uomo è sempre inserito in condizioni particolari, è dominato da molteplici fattori storici, culturali, naturali e quindi pensare all’uomo come autodeterminantesi in assoluto mi sembra una pura contraddizione.

Che cos’è “il Nuovo Ordine Erotico”?

Il “Nuovo Ordine Erotico”, nel mio libro, è definito come quella serie di pratiche e di argomenti, che l’odierno sistema capitalistico promuove nell’ambito dei sentimenti, delle relazioni affettive, del discorso sull’eros. Il “nuovo ordine erotico”, che fa il verso al “nuovo ordine economico”, è sostanzialmente la ridisposizione dell’ambito affettivo, sentimentale ed erotico, modellato secondo le logiche del capitale.

Lei vede “il Nuovo Ordine Erotico” con un’accezione negativa?

Si, sicuramente e per molte ragioni. Indubbiamente esso è figlio del nostro tempo e produce una disarticolazione delle relazioni, una fluidificazione che ricalca i moduli della società commerciale.

E questo, secondo lei, ha un impatto positivo o negativo sull’uomo?

Paradossalmente, il fatto che l’individuo possa instaurare relazioni pansessualiste, in ogni direzione, senza più limiti, non produce più relazioni, ma determina sostanzialmente l’isolamento e la solitudine dell’uomo contemporaneo.

Cambiamo argomento. Professor Fusaro, nel suo scritto del 2023: “La Fine del Cristianesimo”, evidenzia come la “desacralizzazione e la scristianizzazione accompagnino il destino dell’occidente”. Questo destino è “ineluttabile”?

Io credo che nella storia umana non ci sia nulla di ineluttabile, e chi dice il contrario fa valere un’ideologia di bassa lega. Sicuramente stiamo assistendo, in questa fase a quella che io chiamo “l’evaporazione del Cristianesimo”, almeno nella parte occidentale del mondo, soprattutto in Europa. Discorso diverso si potrebbe fare per gli Usa, che hanno una forte saldatura con la religione Protestante, riletta in chiave di supporto alle logiche del neoliberismo. Diverso discorso ancora, si potrebbe fare per altre religioni che, tutto sommato, sembrano godere di buona salute, come l’Islam o come la religione Cristiano – Ortodossa in Bielorussia o in Serbia.

L’evaporazione del Cristianesimo potrebbe anche essere un ripercorrere da parte della religione Cristiano – Cattolica, una specie di “Via Crucis”, per cui si arriverà ad un momento, dopo quello dell’evaporazione a cui seguirà la “rinascita”?

Questo potrebbe essere, naturalmente, ma bisogna che si dia una logica necessaria in questo processo. Siamo nell’ambito del possibile, per taluni anche dell’auspicabile, però non c’è nulla di necessario che ci ponga nelle condizioni di dire che accadrà naturalmente e necessariamente. Certo, quello che stiamo vedendo è un processo che io nel libro dicevo “duplice”, perché, per un verso, il Cristianesimo evapora, al cospetto di una civiltà che non vuole più saperne della trascendenza, e anzi, deve metterla in congedo, e per un altro verso, questa mi sembra una novità interessante soprattutto riscontrabile oggi: la Chiesa, che dovrebbe avere interesse a difendere il Cristianesimo, diventa essa stessa promotrice della sua evaporazione. 

Sempre nel libro, “La Fine del Cristianesimo”, lei affronta la vicenda delle cosiddette “dimissioni” di Papa Benedetto XVI, e della “illegittimità” dell’elezione di Papa Francesco. Ce ne vuole parlare?

L’idea che mi sono fatto è, che in qualche modo, Ratzinger sia stato messo all’angolo, e abbia tentato come “estrema ratio”, quella del porsi in “sede impedita”, con il “munus petrino”, senza però il suo esercizio. Quindi, sostanzialmente, il potere capitalistico, che pensava di aver neutralizzato Ratzinger, non è riuscito a farlo, almeno non nella maniera in cui sperava.

Anche lei sostiene, come altri sostengono, l’illegittimità delle elezioni di Papa Francesco?

In termini puramente logici, più che di “illegittimità”, bisognerebbe parlare di “atto nullo”, perché, se il Papa era ancora, come penso che fosse, Ratzinger, l’elezione di un altro Papa è di per sé stessa, non un “atto illegittimo”, ma “nullo”, e cioè senza alcun effetto pratico.

Lei come risolverebbe questa questione della “nullità” del Papato di Francesco?

Non sono interno alla Chiesa Cattolica, e non so neanche bene tutti i codici e i cavilli che caratterizzano il suo ordinamento. Sicuramente, quello che posso dire, è che si è prodotta una scissione netta fra due chiese. Da un lato, abbiamo una chiesa fedele a Ratzinger e al suo magistero, e dall’altra abbiamo, invece, una chiesa che è fedele a Bergoglio e al suo magistero, che è totalmente antitetico rispetto a quello di Ratzinger e anche a quello della Chiesa Cattolica. Questa è la tesi che ho sostenuto nelle pagine del libro: “La fine del Cristianesimo”, dove, inoltre, ho precisato che le teorie e le pratiche di Bergoglio sono, non soltanto divergenti dal Verbo Cristiano, ma, in molti casi, addirittura palesemente passibili come eretiche.

Professore, lei è estremamente “riconoscibile” soprattutto per l’uso della “parola”. Ha coniato anche dei termini nuovi come “turbocapitalismo” o “glebalizzazione”. In virtù di ciò, quant’è importante per lei l’uso della parola?

L’uso della parola è fondamentale perché, la parola e il linguaggio, non sono strumenti neutri e non sono neanche strumenti. Heidegger usava questa immagine, dicendo che: “il linguaggio non è come la carta con cui incartiamo il pesce”, questo per dire che, il linguaggio, è il modo in cui siamo in contatto con l’essere. A mio giudizio è importante utilizzare il linguaggio in maniera precisa, ed è importante utilizzare parole nuove all’occorrenza, perché, con le parole noi formiamo il mondo e cambiamo anche l’immaginario. Lo sforzo che ho provato a fare e che provo a fare nei miei lavori è usare le parole per risignificare i concetti.

Parliamo del suo ultimo lavoro: “La dittatura del sapore. Larve, insetti, grilli, contro il gastronomicamente corretto”, edito da Rizzoli. Cosa ha voluto mettere in evidenza in questo suo lavoro?

Questo lavoro, ha per tema un ambito abbastanza particolare, per quanto all’apparenza, potrebbe sembrare secondario, ma che in realtà non lo è affatto. Ho provato a mostrare come, il sistema capitalistico dominante, vada a sconvolgere e ad investire anche l’ambito dell’alimentazione, secondo quella forma che ho chiamato, appunto, della “dittatura del sapore e del gastronomicamente corretto”. A questo è dedicato il mio studio.

Lei, ha parlato più volte e anche a più riprese, degli effetti devastanti della globalizzazione. Tra questi effetti, la presenza dell’ideologia omologante, che ci sta espropriando della nostra italianità. Quant’è importante, per noi Italiani, riconosciuti in tutto il mondo per il cibo, combattere quella che lei chiama “la dittatura del sapore”?

A mio giudizio è importante per noi Italiani, ma lo è ugualmente per i Francesi, per gli Spagnoli, per tutti gli altri popoli, preservare il loro rapporto con la loro identità della tavola. L’identità della tavola, sembra una questione secondaria, ma a mio giudizio, è uno dei luoghi in cui meglio si cristallizzano le identità dei popoli e delle culture, ed è anche per questo che le larve, gli insetti e i grilli hanno una funzione strategica per la riproduzione capitalistica, che è quella di annientare le identità come elementi eterogenei, rispetto all’omologazione capitalistica. In virtù di ciò, il mangiare secondo la propria identità, diventa un vero e proprio gesto di resistenza, rispetto alla logica capitalistica.

Possiamo dire che sotto l’aspetto del cibo l’Italia è tutt’altro che omologata, considerando che ogni regione ha le sue peculiarità?

Si, infatti si discute anche se esista una vera identità italiana al singolare, o ne esistano, invece, molteplici.

Lei, a tal proposito, cosa ne pensa?

Penso che siano corrette tutt’e due le interpretazioni, infatti, nel libro, sostengo che esistono molteplici identità, ma esiste anche un tratto unitario dell’identità italiana a tavola, che individuo nella “pasta”. La “pasta” è l’elemento unificante dell’identità italiana a tavola, dal Veneto alla Sicilia ci sono paste particolari che rispecchiano le identità plurali e le riconducono ad un coefficiente di unitarietà. 

Roberta Minchillo 

Fuori dal Silenzio

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dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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