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Il giallo delle aziende italiane in Russia nel campo minato del default

Nella tarda serata di lunedì 27 giugno l’agenzia Moody’s annuncia che la Russia: “non ha rispettato gli obblighi nei confronti del debito estero che quindi è in default”. Sarà vero?

Tutti gli organi di stampa fanno impazzire le tastiere dei loro computer e battono la notizia con certezza assolutistica. Repetita iuvant: sarà vero?

La notizia in sintesi, data da tutti, era questa: “Dopo il fallimento del 1917 e quello del 1998, la Russia è entrata di nuovo in area di default. Questa volta un fallimento tecnico, è la prima volta nella storia. Gli eurobond hanno rendimenti che arrivano al 142% a scadenza, mentre gli avvocati internazionali stanno analizzando una situazione completamente nuova”.

Nel frenetico bombardamento della notizia, tra le agenzie di stampa per la paternità della medesima, si è dimenticato che la Russia non può accedere a finanziamenti internazionali, per via dello scoppio del conflitto in Ucraina e, questo default assumerebbe un valore in parte simbolico, certificato dalle agenzie di rating stesso.

A questo punto interviene la nota del ministero delle finanze russo negando qualsiasi inadempienza. “In accordo con il rilascio della documentazione per le citate questioni, l’evento di inadempimento e il mancato pagamento da parte del debitore, ma il pagamento è stato anticipato – il 20 maggio 2022. In questo caso, il mancato ricevimento da parte degli investitori fondi avvenuti per azione di terzi e non per il mancato pagamento, che non è espressamente previsto nella documentazione di rilascio e va considerato nell’ambito delle norme generali di legge che regolano le condizioni dell’emissione, tenuto conto di tutte le circostanze e buona fede nelle azioni delle parti “, così ha affermato il Ministero.

Se capiamo bene in pratica ci stanno dicendo che la colpa è dell’occidente perché L’Unione Europea nel sesto pacchetto di sanzioni anti-russe ha incluso la National Settlement Depository della Russia, cioè quella struttura accreditata per pagare il debito estero e, il presidente russo Vladimir Putin il 22 giugno come contro mossa, ha emesso un ordine esecutivo, in base al quale Mosca considera onorato il suo obbligo di pagamento degli eurobond “se vengono effettuati in rubli per un importo equivalente al valore degli impegni in valuta estera” il giorno in cui i fondi vengono trasferiti al Depositario nazionale di regolamento.

Come dire che i nostri “migliori” euroinomani convinti, non si sono nemmeno ricordati che, in ogni contratto di questo genere esiste la clausola di indennità valutaria che consente pagamenti legittimi in rubli anche quando le sanzioni impediscono il pagamento in valuta originale, in caso di sentenza del tribunale, ordine del tribunale o qualsiasi altra decisione.

Glielo ha detto molto bene la governatrice della Banca centrale, Elvira Nabiullina, affermando che: “La Russia ha tutte le opportunità per ripagare i debiti esteri utilizzando le sue risorse finanziarie”.

L’analista Levon Kameryan, dell’agenzia Associate Director di Scope Ratings europea, chiarisce che l’insolvenza sul debito estero “dovrebbe avere implicazioni finanziarie limitate nel breve termine, ma a lungo termine il default limita la flessibilità di finanziamento della Russia e potrebbe rappresentare un ulteriore colpo alle prospettive di crescita”.

Sono circa 500 le aziende italiane che operano in terra russa e fra queste ci sono: Todini Costruzioni, Barilla, Pirelli, Marcegaglia, Leonardo, Tecnimont, Coeclerici, Costa Crociere, Enel, Eni, Danieli, Parmalat, Mapei, Menarini, Salini, Perfetti, Angelini, Alfasigma, Chiesi, Kedrion, Italfarmaco, Recordati, Zambon, Dompé.

Secondo lo studio dalla Livolsi & Partners il 69% di queste ha deciso di non abbandonare la Russia anche se sarà inevitabile, per le sanzioni occidentali, che queste aziende andranno incontro a problemi di calo dei profitti, penalizzate anche dall’andamento del rublo.

Ma allora perché rimangono?

Forse perché il businessman italiano è una persona ragionevole e di buon senso e, data la situazione, sprecare anni di lavoro e di investimenti per goliardici giochi politici, meglio rallentare, osservare e capire quando possibile ripartire.

Anche l’ambasciatore russo Sergey Razov in un’intervista a Russia 24 è dello stesso avviso e ha dichiarato: “La maggior parte delle aziende italiane, nonostante le pressioni, nonostante le minacce di sanzioni secondarie, continua a lavorare sul mercato russo anche se ovviamente il clima turbolento nei confronti della Russia incide sul loro lavoro”.

Quindi le sanzioni a cosa servono? O meglio servono davvero a qualcosa? Perché il file rouge che si continua a vedere è che nessuno deve vincere o perdere questa guerra che, come tutte le guerre, è insensata e ingiustificata, ma combattuta sempre e solo per una supremazia economica più che militare.

Infatti, come ha riportato anche la CNN nei giorni scorsi, l’esercito russo sta avendo la meglio in Ucraina e così, desideri e appetiti occidentali, sembra inizino a prendere altre strade e, anche alla Casa Bianca, qualcuno inizia a segnalare che forse, è venuto il momento di finire questa pazzia.

Continuare a demonizzare l’economia russa e il rublo è quanto di più sbagliato si possa fare perché, forte dell’espansione e degli accordi nei marcati asiatici, il rublo si è rinforzato e corazzato, contro quella propaganda americanocentrica occidentale che, se non ci si ferma in tempo, quelli isolati e da salvare, saremo noi.

Andrea Caldart

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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