La tagliola che mette a rischio l’intero comparto delle imprese del settore forniture ospedaliere, preparata da Renzi nel 2015 e avvallata da Draghi con il decreto “Aiuti Bis” del luglio scorso, oggi, con il governo Meloni, è servita.
Il problema principale è che migliaia di aziende e di lavoratori del comparto rischiano di finire per strada dal 30 aprile prossimo.
Purtroppo, l’attuale esecutivo sembra non essersi preoccupato di questa scadenza perché ha pensato di utilizzare il meccanismo di conversione del Milleproroghe, inserendo il comma 8 all’art. 4, con il quale non ha fatto altro che confermare la data del “30 aprile 2023” di cui all’art. 9-ter, comma 9-bis del D.L.n. 75/2015 (come conv. L.n. 125/2015).
Di fatto, non essendo scaduto il decreto, con questa mossa l’ha mantenuto, permettendo alle Regioni, dopo il 30 aprile, di attivare il meccanismo di compensazione dei crediti maturati da payback.
In sostanza, da quella data in poi, le Regioni, potranno chiedere alle aziende fornitrici dei dispositivi sanitari, di rendere per il solo periodo 2015-2018, 2 miliardi di euro di “eccedenze”, che il decreto “Aiuti Bis”, ha chiamato extra profitti.
Una follia targata Renzi, Draghi, che considerano extra profitto quanto in più hanno pagato le Regioni sulle forniture ospedaliere, ma non perché qualcuno ci abbia marciato sopra, bensì perché le Regioni non erano state in grado di redigere correttamente i Forecast budget, cioè le previsioni d’acquisto dei materiali sanitari.
Errori creati dai burocrati delle aziende sanitarie, spesso nominati proprio dai politici, che oggi si vogliono far pagare alle aziende fornitrici.
Abbiamo parlato con la Dottoressa Cristina Cattini Amministratore Delegato di Novamedisan Italia Srl di Bologna, la quale per prima a gennaio 2023 nella trasmissione di Nicola Porro “Quarta Repubblica”, ha lanciato l’allarme.
Dottoressa Cattini cosa sta succedendo?
A quanto ne so, ma è quello che mi riferisce la mia associazione FIFO, Federazione Italiana Fornitori Ospedalieri, esiste da parte dell’attuale Governo, sia una condivisione sull’iniquità della legge, sia una consapevolezza sui rischi della sua applicazione per la tenuta del SSN pubblico, accompagnate da una volontà (almeno esplicitata a parole) di voler abrogare il payback sui dispositivi medici.
Il problema fondamentale e di difficile soluzione, riguarda come compensare i “buchi” o meglio le “voragini” che si verrebbero a creare nei bilanci sanitari delle Regioni.
Il Governo “dovrebbe” trovare qualche centinaio di milioni di euro, parte dei quali verrebbe “rimandata” alle Regioni (che a mio modesto parere non hanno nessuna intenzione di riprenderla), e un’altra parte che dovrebbe essere coperta dalle aziende più grandi, ovvero quelle da un fatturato dai 20 miliardi in su, ma non dalle PMI.
Confindustria DM, in quanto federazione che tutela questo tipo di grandi aziende, ha espresso il proprio disaccordo.
A tal proposito l’onorevole Lucaselli di FDI, demandata ad occuparsi del problema, al convegno di Confindustria DM del 21 febbraio, ha ventilato di far pagare sull’utile e non sul fatturato, ottenendo in risposta, un’alzata di scudi da parte di tutti, e in particolare da parte di FIFO, e PMI Sanità.
Insomma, la situazione è ancora parecchio ingarbugliata e il 30 aprile è alle porte.
Il 13 giugno vedremmo come si pronuncerà in merito il TAR (a mio avviso potrà solo rimandare alla Corte costituzionale, difficile che prenda la decisione di illegittimità normativa).
Tutti speravamo che partissero i tavoli di lavoro, perché ci sarebbe tantissimo da discutere, non solo sul payback, ma anche sul nuovo Codice degli Appalti, sulle centrali di acquisto e i “finti risparmi”, così come sulla non deducibilità delle spese per congressi e tanto altro.
Quindi un’ulteriore proroga potrebbe dare un poco di respiro alle PMI coinvolte in questa follia?
Assolutamente no.
Purtroppo, se la sospensiva concessa venisse riferita ai soli “incassi” da parte delle Regioni, le Aziende sarebbero comunque costrette in Giugno a iscrivere a bilancio le cifre pazzesche richieste dalle Regioni.
Di fatto molte PMI si troverebbero con bilanci in forte perdita.
Non potrebbero più partecipare alle gare pubbliche e avrebbero sicuramente problemi con gli istituti di credito.
Di fatto sarebbero costrette a chiudere e a licenziare i propri collaboratori.
Al contrario, se la proroga fosse concessa nell’ottica di guadagnare tempo per poter giungere a una soluzione equa, il Governo dovrebbe prorogare le richieste di pagamento da parte delle Regioni.
Solo in questo modo, nel caso di un ulteriore rinvio, si rispetterebbero le PMI.
FIFO Sanità auspica che la soluzione venga trovata prima della prossima scadenza del 30 aprile, per scongiurare il rischio concreto che la paralisi dell’apparato pubblico sanitario costringa i cittadini bisognosi a rivolgersi al sistema privato per curarsi.
Andrea Caldart