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Home Inchieste Tamponi: La prepotenza ossessiva degli ospedali

Tamponi: La prepotenza ossessiva degli ospedali

L’emergenza sanitaria è terminata da tempo, ma quello che non termina, sebbene non sussistano più né requisiti di legge “costruiti per l’occasione”, né motivazioni sanitarie, è rimasta l’abitudine di tamponare chi entra in un ospedale per cure sanitarie.

L’accesso al pronto soccorso dell’ospedale, dunque, non si capisce per quale inutile prassi, debba essere subordinata al tampone.

Una consuetudine divenuta una “pratica arbitraria” di assuefazione alla quale nessuno si oppone, ma rimane in essere, senza che vi siano disposizioni.

Questo sadismo del “tampone lasciapassare” per aver accesso alle cure mediche pone due questioni che riteniamo fondamentali; la prima di carattere sanitario, la seconda di natura giuridica.

La prima questione, quella sanitaria, mette l’attenzione sul fatto che, se il paziente ha bisogno di cure mediche, dovrà rimanere, anche ore, ad aspettare l’esito del tempone, prima di riceverle e, nell’attesa, potrebbero peggiorare.

Più che prevenzione del contagio, visto anche quanto dichiarato da Janine Small di Pfizer in Commissione Europea, ovvero che non sono stati fatti test per verificare se il siero fermava la trasmissione del virus, sembra davvero una vera e propria prepotenza paranoico-ossessiva e di vessazione.

E se il tampone sbaglia?

Sì, il tampone può anche sbagliare e allora si rifà e, di antologia in questi due anni, ne abbiamo letto molta, molte volte, ma su tutto, prevale sempre il business, in questo caso quello del tampone.

Lo sa bene la neomiliardaria Stefania Triva, AD di Copan che è l’azienda di Brescia che produce tamponi, al contrario invece di milioni di italiani che venendo violati nella loro dignità, hanno dovuto sborsare, ogni due giorni, 15 euro per poter lavorare.

Ci sono comunque diversi esami di valutazione del Covid-19, ma non tutti però sono affidabili ed efficaci allo stesso modo.

La nostra riflessione poi riguarda l’aspetto giuridico di questi fatti perché vi è una evidenza nell’ostinazione di tamponare le persone che hanno bisogno di cure mediche al pronto soccorso.

Vi sono due elementi che ci colpiscono e riguardano in primis se è legalmente corretto sottoporre discrezionalmente e senza normativa giuridica a questo test e poi ci è venuto un dubbio, ma i dati sensibili e personali del paziente, che fine fanno?

In merito abbiamo sentito l’avvocato Angelo Di Lorenzo dell’associazione Avvocati Liberi – ALI che ci fornisce un’attenta e precisa analisi.

Avvocato Angelo Di Lorenzo

Se forse – anzi sicuramente – esistono protocolli, linee guida o disposizioni interne dei vari Direttori Sanitari dei nosocomi e dei Pronto Soccorso che richiedono ai sanitari di effettuare un “test d’ingresso” o tampone di screening per l’accertamento dell’infezione da Sars Cov-2 a tutti i pazienti che chiedono cura e assistenza, non dimentichiamo che il “test” non è un semplice questionario ma un vero e proprio trattamento sanitario.

Ciò significa che, se da una parte il medico ha la prescrizione lavorativa di farlo, dall’altra il trattamento sanitario è subito dal paziente il quale, è bene che si sappia, può rifiutare di riceverlo se non vuole, posto che non esiste alcuna legge che obblighi le persone a sopportare l’invasività di un test diagnostico del tutto svincolato dalla necessità concreta di cura e assistenza per cui il paziente si rivolge al sistema sanitario pubblico.

Del resto, non esiste alcuna norma che subordina l’erogazione delle cure, in particolare quelle di pronto soccorso, da parte del SSN, all’effettuazione di un test molecolare o antigenico anti covid-19.

Quanto ai dati personali, purtroppo una volta espresso il consenso all’effettuazione del test, la pubblica amministrazione diviene titolare del trattamento e può gestirli come crede nell’ambito della finalità pubblica per cui li acquisisce.

Del resto, il Governo Draghi, proprio per smarcarsi dai divieti posti dal T.U. sulla privacy (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e succ. modif.) ha emanato il decreto-legge 8 ottobre 2021, n. 139 convertito con legge 3 dicembre 2021, n. 205 c.d. Decreto Capienze, il cui art. 9, derogando ai divieti del D.Lvo 196/03, ha cancellato del tutto la privacy in ambito sanitario. Ecco cosa prevede il testo normativo: “il trattamento dei dati personali da parte di un’amministrazione pubblica … nonché da parte di una società a controllo pubblico statale … è anche consentito se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri ad esse attribuiti…”.

I nostri dati personali sanitari relativi alla salute, peraltro, sono trattati da vari soggetti, elencati dal comma 1bis dell’art. 9 cit “nel rispetto delle finalità istituzionali di ciascuno, dal Ministero della salute, dall’Istituto superiore di sanità, dall’Agenzia nazionale per i  servizi  sanitari regionali, dall’Agenzia italiana del farmaco, dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà e,  relativamente  ai  propri assistiti, dalle regioni anche mediante l’interconnessione a livello nazionale dei sistemi informativi su base individuale del Servizio sanitario nazionale, ivi incluso il Fascicolo  sanitario  elettronico (FSE), aventi  finalità compatibili con quelle sottese al trattamento, con le modalità e per le finalità fissate con decreto del Ministro della salute, ai sensi del comma 1, previo  parere  del Garante…”.

Un garante della Privacy messo all’angolo dal successivo comma 7 della disposizione, perché i suoi pareri non più vincolanti e, se non sono resi nel termine non prorogabile di trenta giorni dalla richiesta, l’Amministrazione potrà procedere indipendentemente dall’acquisizione del parere.

Dunque, tutto torna nelle nostre mani, perché i “diritti” appartengono a ciascun cittadino che, se accetterà di subire la pressione intentata deve sapere come verranno trattati questi diritti, come deve essere consapevole di cosa può fare per tutelarli e quali sono i limiti entro i quali accettare compressioni o limitazioni che la mentalità covidiana ancora pretende di apportare.

Rifiutarsi, pretendere il rispetto della persona, del proprio corpo, della legge e dei limiti dei funzionari pubblici che erogano un servizio essenziale non vuol dire essere cittadini irresponsabili, anzi, è un approccio doveroso sia per l’autotutela soggettiva sia per stigmatizzare abusi di ufficio, violenze private, ispezioni corporali non volute e semmai interruzioni di pubblico servizio o lesioni personali. 

Forse è arrivato il momento di piantarla di parlare di Covid e di ripristinare al più presto, le regole del buon senso, quelle che ci hanno sempre accompagnato e aiutato fino a due anni fa, tempo in cui si è instaurata artificiosamente, una narrazione surreale della verità, comprimendo le libertà individuali costituzionali.

Andrea Caldart

Link utili:

https://forbes.it/2022/02/07/chi-e-la-famiglia-italiana-diventata-miliardaria-grazie-ai-tamponi-per-il-covid/

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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