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Terra dei fuochi, il disastro nell’oblio è pure esportato

Da oltre vent’anni in Campania si consuma un disastro ambientale di enorme entità, riassunto da media, attivisti e politici nell’espressione “terra dei fuochi”. Roghi tossici, rifiuti abbandonati in strada, nelle acque e nel sottosuolo, impianti malfunzionanti e discariche a cielo aperto, siti contaminati mai bonificati: sono immagini entrate a far parte di una normalità a cui ci si abitua come ci si abitua al frastuono delle bombe nei Paesi straziati dalla guerra. Un marchio che si sta espandendo in tutt’Italia.

Una storia che affonda le radici nel terremoto degli anni 80, oro colato per camorristi, imprenditori e politici corrotti. Tante furono le opere pubbliche della ricostruzione post-terremoto aggiudicate o subappaltate a imprese vicine alla camorra. Per alcune di queste servivano cave dove estrarre materiale inerte per i lavori. Cave che poi in qualche modo bisognava riempire. Fu così che, in una trattativa Stato-mafia, nacque l’”affare della monnezza”: secondo i racconti dei pentiti, di giorno venivano adocchiati appezzamenti di terreno idonei (cioè utilizzati meno di frequente, meno controllati) mentre nelle ore notturne, spesso all’insaputa degli agricoltori, si effettuavano gli scavi e successivamente veniva interrato il materiale. A riempire i buchi ci hanno pensato le industrie del Nord Italia, grazie a intermediari della camorra, sversando rifiuti nelle campagne tra Napoli e Caserta a costi irrisori rispetto a quelli di mercato.

Bastava pagare e senza troppe spiegazioni scorie, fanghi industriali, amianto, veleni dell’industria chimica e del petrolio venivano trasportati e abbandonati in discariche illegali dei clan o nelle discariche pubbliche a cui avevano libero accesso. Una storia alimentata dalla mala gestione del ciclo dei rifiuti e delle bonifiche, con un’emergenza durata ufficialmente 15 anni, che ha consentito l’infiltrazione della criminalità organizzata in ogni spazio lasciato libero dallo Stato.

Nonostante i miliardi spesi e la militarizzazione, l’emergenza rifiuti in Campania non è mai finita, anzi, ha assunto le forme di un disastro ambientale e sanitario senza precedenti. L’ultimo rapporto dell’Istituto superiore della Sanità n’è la conferma. Ha certificato una “relazione causale o di concausa” tra la presenza di siti di rifiuti incontrollati e l’insorgenza di patologie tumorali nei 38 comuni analizzati della “terra dei fuochi” (19 in provincia di Napoli e 19 in provincia di Caserta). Considerando l’estensione del fenomeno, con 90 comuni compresi nella “terra dei fuochi” secondo le direttive ministeriali, l’incalcolabilità dei rifiuti effettivamente stoccati e bruciati quotidianamente e la multifattorialità delle patologie, l’impatto reale del fenomeno non solo non è quantificabile, ma potrebbe essere di dimensioni colossali.

Intanto tutto tace e molti si affannano a smentire. Le prove di un fenomeno da anni denunciato da chi vive in quelle terre senza cielo non smuovono le coscienze di politici e amministratori. “La ‘terra dei fuochi’ non esiste”. “Il termine ‘terra dei fuochi’ va cancellato, non ha più morivo di esistere”. “La ‘terra dei fuochi’ riguarda solo una piccolissima parte della Campania”. La strategia adottata finora è quella di negare l’esistenza stessa del problema, più preoccupati del danno d’immagine che del benessere dei cittadini. Oppure di affibbiarlo a una zona circoscritta e maledetta della Campania.

Ma la ‘terra dei fuochi’ non si esaurisce in un’area geografica stabilita a tavolino da direttive ministeriali. È un sistema tossico e criminale, con confini labili e in espansione, che riesce facilmente ad attecchire nelle zone più marginali del Paese. Morto un papa se ne fa un altro e riempito un buco si ricomincia a scavare. Così crescono le località segnate sulla mappa dagli ambientalisti, dove i fondi dei terreni agricoli sono stati trasformati in discariche tossiche e pericolose, con danni irreparabili per l’eco-sistema. La Piana del Sele a sud della città di Salerno e il bacino idrografico del Sarno, noto per essere il fiume più inquinato d’Europa, per fare qualche esempio. Altre “terre dei fuochi” si stanno formando non solo in Campania, ma lungo tutta la Penisola: tra il 20 e il 21 settembre l’indagine della Procura distrettuale antimafia di Venezia, denominata “Plastic connection”, ha portato all’arresto di 14 persone. L’operazione ha acceso i riflettori sul traffico illecito dei rifiuti da Sud a Nord e in particolare sull’accordo tra società venete e campane, con tonnellate di rifiuti introdotti illegalmente nel ciclo produttivo o stoccati nei campi, mettendo a rischio, anche questa volta, terreni e falde acquifere. È la diagnosi di un male incurabile, che continua ad accompagnare cronache e statistiche, ma mai i programmi elettorali.

Giorgia Scognamiglio

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