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Home Italia Politica Benzina e Gasolio: Meloni aumenta le accise. Tradita la promessa del taglio

Benzina e Gasolio: Meloni aumenta le accise. Tradita la promessa del taglio

Doveva essere il governo del “taglio delle accise”. In campagna elettorale Giorgia Meloni lo ripeteva come un mantra: via le tasse che gravano su benzina e gasolio. Oggi, invece, assistiamo all’ennesimo voltafaccia. Non solo il taglio non è mai arrivato, ma da qualche girono è scattato un aumento di 1,8 centesimi sul gasolio, e una diminuzione sempre di 1,8 centesimi sulla benzina, mascherato sotto il pretesto dell’allineamento delle aliquote.

Un ritocco? No, un vero e proprio colpo basso. Infatti, su un totale di 42.057 miliardi di litri venduti nel 2024, il gasolio rappresenta il 66% delle vendite, mentre la benzina solo il 27%, e il restante è dato da Gpl e metano. Dunque, si tassa dove si consuma di più.

Colpo che diventa una mazzata ben assestata se si guarda a quello che han fatto quasi tutte le compagnie che hanno arrotondato a 2 centesimi.

Ma il vero “colpo di genio” lo firma EG Italia: invece di abbassare il prezzo della benzina, come previsto, lo ha aumentato di 4 centesimi al litro, approfittando di un arrotondamento. Un doppio rincaro che si somma all’aumento delle accise deciso dal Governo, colpendo i cittadini con un doppio schiaffo al portafoglio. Una manovra che grida alla speculazione, altro che trasparenza.

Sì, avete capito bene: non si sono limitati a recepire la nuova aliquota fiscale, come ci si aspetterebbe da un operatore trasparente e responsabile. No. Hanno scelto di aumentare anche il margine industriale in concomitanza con il rialzo delle tasse, scaricando così sul consumatore finale un onere doppio, camuffato da semplice adeguamento.

Impianto in disuso

Per capire la gravità della cosa, è utile spiegare come si forma il prezzo alla pompa. Ogni litro di carburante che pagate è composto da:

  una quota fissa di accise (ora aumentata),

  l’IVA al 22% calcolata anche sulle accise (sì, pagate l’IVA su una tassa),

  la quota del prezzo industriale, cioè il costo della materia prima più i margini di guadagno della filiera (raffinerie, trasportatori, distributori, compagnia petrolifera).

Ebbene, le compagnie hanno aumentato non solo la componente obbligatoria imposta dallo Stato, ma anche la parte sotto il loro diretto controllo: il prezzo industriale. Un’aggiunta silenziosa, ma pesante, proprio mentre il consumatore si abitua con rassegnazione all’ennesimo rincaro di Stato.

Non è trasparenza, non è concorrenza leale, e non è neppure casualità. È un comportamento che, pur muovendosi nei margini della legalità formale, solleva serie perplessità sotto il profilo dell’etica commerciale e della tutela del consumatore.

È proprio per casi come questo che esistono le autorità di vigilanza come l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). Perché quando una variazione di prezzo coincide “strategicamente” con un intervento fiscale, e viene addirittura amplificata a proprio favore, il sospetto che si tratti di un’operazione opportunistica è legittimo e doveroso.

Ed è qui che arriva un altro paradosso: mentre le grandi compagnie aumentano i prezzi e gonfiano i marginia rimetterci, oltre ai consumatori, sono anche i gestori dei distributori, ovvero coloro che ogni giorno, in prima linea, lavorano sul territorio per garantire un servizio essenziale. Molti di loro operano in conto vendita, con margini risicatissimi imposti unilateralmente dalla compagnia. Margini che non si muovono di un centesimo anche se i listini salgono.

Il risultato? Il gestore diventa il parafulmine della rabbia dei clienti, ma senza alcuna responsabilità reale sull’aumento dei prezzi. Anzi, spesso subisce anche lui, economicamente, le politiche delle grandi compagnie. In pratica: le compagnie incassano, i consumatori pagano e i gestori restano schiacciati.

Altro che concorrenza. Qui la crisi è diventata un’occasione per aumentare i profitti sulla pelle di cittadini già spremuti. E tutto questo avviene nel silenzio assordante di chi aveva promesso il taglio delle accise.

E il tempismo? Sospetto. L’aumento arriva in un momento di risalita dei prezzi del petrolio, proprio mentre le famiglie italiane arrancano tra inflazione, caro vita e stipendi fermi. Coincidenza? Difficile crederlo. Più facile pensare a un’operazione concertata per fare cassa sulla pelle dei cittadini, approfittando del silenzio di un governo che aveva promesso di tutelarli.

Ci chiediamo: che fine ha fatto la Meloni che, da leader dell’opposizione, denunciava “le tasse sul pieno”? Perché oggi, da capo del Governo, non solo le mantiene, ma le aumenta? Forse si è smarrita, assieme al senso della coerenza politica e alla tutela del potere d’acquisto dei cittadini.

Il sospetto più amaro è che dietro questa manovra si nasconda un’esigenza di copertura di bilancio, mascherata malamente da razionalizzazione fiscale. Ma in uno Stato che tassa il pane e il carburante con la stessa indifferenza, a pagare il conto è sempre l’ultimo anello: chi lavora, chi si sposta, chi sopravvive.

L’illusione del “governo del popolo” si frantuma davanti ai numeri del distributore. La fiducia, stavolta, non si misura nei sondaggi, ma in litri e in centesimi. E chi ogni giorno fa i conti con lo stipendio che non basta e con il pieno che diventa un lusso, non ha bisogno di slogan ma di coerenza.

Il taglio delle accise era una promessa chiave, ripetuta ossessivamente in campagna elettorale come simbolo del riscatto popolare contro la pressione fiscale. “Appena arriviamo al governo, le accise si tagliano!”, dicevano. E invece, non solo non sono state tagliate, ma ora vengono aumentate in silenzio, con un tratto di penna che sa di tradimento politico più che di necessità economica.

Altro che governo vicino alla gente. Qui si è scelto di agire quando il mercato era già in salita, aggravando l’impatto sui cittadini, mentre i colossi della distribuzione, come EG Italia, hanno pensato bene di cavalcare l’onda per gonfiare ancora i listini. Una doppia beffa: lo Stato incassa di più, le compagnie lucrano di più e il cittadino paga due volte.

Così, l’Italia si scopre stanca di fare rifornimento a promesse mai mantenute, esausta di governi che parlano di popolo e poi legiferano per le casse pubbliche e per i soliti noti. Quella che doveva essere una svolta per il cittadino si rivela l’ennesimo schiaffo al portafoglio, travestito da necessità tecnica.

La verità è una sola: non c’è niente di tecnico nel tradire una promessa politica. C’è solo la volontà di farlo.

Andrea Caldart

Link utili:

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