L’articolo 18 del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (c.d. “decreto sicurezza”) introduce il comma 3-bis all’articolo 2 della legge ordinaris dello Stato 02 dicembre 2016, n. 242, stabilendo che «è vietata l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata ai sensi del comma 1, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché dei prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati».
Si tratta di una norma di portata ampia e categorica, che vieta integralmente il circuito economico delle infiorescenze, anche qualora queste derivino da varietà ammesse e rispettino il contenuto di THC previsto dal diritto europeo (≤0,2%, con tolleranza fino allo 0,6%).
Tale disposizione risulta in evidente contrasto con il diritto convenzionale dell’Unione europea, in particolare con l’art. 34 TFUE (libera circolazione delle merci), interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-663/18 (Kanavape), in cui è stato affermato che uno Stato membro non può vietare la commercializzazione di prodotti derivati dalla canapa coltivata legalmente in un altro Stato membro, se non dimostrando in modo rigoroso, scientificamente fondato e proporzionato, che essi costituiscono un rischio concreto per la salute pubblica. La disposizione normativa italiana, invece, configura un divieto assoluto e preventivo, senza distinguere tra prodotti droganti e prodotti non droganti, senza fondamento tossicologico individualizzato e senza alcuna valutazione comparativa con altre sostanze lecite ben più lesive.
Viene pertanto violato il principio di proporzionalità (art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE) e il principio di non discriminazione tra prodotti simili, aggravando il rischio di procedura d’infrazione. Inoltre, la disposizione confligge con la stessa legge formale n. 242/2016, che legittima la coltivazione della canapa industriale e che, pur non disciplinando espressamente le infiorescenze, non le vieta, anzi le presuppone nella filiera agricola destinata, ad esempio, alla produzione di semi, alimenti, fibre, e cosmetici. Il nuovo comma 3-bis, in quanto norma penale in senso sostanziale, interviene con una deroga implicita e ambigua a una legge vigente rispondente al criterio di specialità, generando un grave vulnus alla certezza del diritto.
L’applicazione delle sanzioni previste dal DPR n. 309/1990 (Testo unico sugli stupefacenti), a condotte prima lecite e non ritenute in alcun modo pericolose, realizza un salto di qualifica giuridica arbitrario e retroattivamente sanzionatorio sul piano economico.
Dal punto di vista costituzionale, infine, tale intervento appare in violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e del principio di legalità in materia penale (art. 25, comma 2, Cost.), in quanto reprime in modo indifferenziato condotte che non presentano carattere di lesività, introducendo una presunzione assoluta di pericolosità che non regge a un vaglio di razionalità e coerenza sistematica.
L’uso della sanzione penale come strumento di politica agricola e commerciale appare abnorme rispetto alla finalità protettiva della salute pubblica, che avrebbe potuto essere soddisfatta da strumenti amministrativi selettivi o da controlli tecnico-sanitari mirati. In sintesi, l’articolo 18 del decreto-legge n. 48/2025, lungi dal perseguire razionalmente l’interesse pubblico alla salute, introduce un divieto penalmente assistito privo di base scientifica, sproporzionato e incompatibile con il diritto interno ed europeo vigente, che compromette l’unità del mercato, la certezza del diritto e il principio di legalità.
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it
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