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Combattere la post-democrazia non con le “Armi” di Crouch

Il grande politologo e sociologo inglese, Colin Crouch, ha pubblicato, nel 2003, la sua celebre opera intitolata “Postdemocrazia” nella quale rilevava come la democrazia fosse avviata a diventare l’ombra di sé stessa. 

Le decisioni sempre più assunte a livello sovranazionale (basti pensare, a titolo esemplificativo, all’approvazione del Piano di Ripartenza e Resilienza), i partiti politici dove la classe dirigente è composta da soggetti non all’altezza, ossequienti rispetto al leader ed incapaci di proporre precise visioni del mondo, il consolidamento di centri di potere privi di qualunque responsabilità politica, la globalizzazione selvaggia iniziata negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso la con una inversione del rapporto crescita/occupazione, la manipolabilità dell’opinione pubblica etc… devono costituire il punto di partenza per cogliere le pieghe e le contraddizioni cui la  postdemocrazia, oggi strutturale negli Stati c.d. “liberi”, ci ha condotti. 

Non è un caso, allora, se l’ultima opera di Crouch si intitoli proprio “Combattere la postdemocrazia” edita nel 2020. Non bastano istituzioni “formalmente democratiche”, ma in realtà ispirate ad una logica di bulimia del potere e mancanti di un vero ricambio generazionale (lo abbiamo visto con la rielezione di Sergio Mattarella per un nuovo settennato in occasione della quale il Parlamento italiano ha dimostrato tutta la sua penosa mediocrità o con l’accettazione acritica di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel febbraio 2021), è necessario e doveroso non tanto, come propone Crouch, individuare “nuove categorie unificanti” (l’ambiente, la scienza con i loro profeti e le loro profetesse “di sventura” etc…), quanto porre le premesse per un cambio di paradigma filosofico-politico in senso giusnaturalistico classico con una visione del potere non “creatrice, ma ordinatrice”, un rafforzamento del controllo del corpo elettorale sugli eletti (ad esempio introducendo, a certe condizioni, l’istituto giuridico del “recall”), un ripensamento della partecipazione del nostro Paese ad alcune organizzazioni sovra-nazionali quali l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica, una articolazione del rapporto centro-periferia ispirata non all’elencazione di materie (“pagine bianche” le definiva Livio Paladin) bensì alla elaborazione di precise politiche pubbliche, un recupero della tradizione depurandola da una visione sia illuministica, sia romantica affinché  venga compresa e, dunque, accettata (Gadamer), una presa d’atto del fallimento della democrazia rappresentativa “ingoiata” dall’astensionismo (si vedano le recenti elezioni amministrative dell’ottobre 2021), dalla logica lobbistica/affaristica che la pervade e dall’incalzante scientismo tecnocratico degli ultimi tempi. Scriveva il drammaturgo irlandese George Bernard Shaw (1856-1950): “La democrazia è un meccanismo che ci assicura che non saremo governati meglio di quanto meritiamo“.

prof. Daniele Trabucco

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