Approvata in Consiglio dei ministri lo scorso 15 ottobre è stata firmata dal presidente della Repubblica e inizia il suo iter parlamentare passando al vaglio di entrambi i rami del Parlamento, ed incontrando sicuramente proposte di correttivi, con l’obiettivo dell’approvazione finale entro dicembre. Entrerà poi in vigore dal primo gennaio 2025.
Tra le misure più discusse la riforma delle detrazioni IRPEF, l’innalzamento a 67 anni dell’età per le pensioni pubbliche e la riforma dei compensi dei manager pubblici.
Confermate alcune agevolazioni fiscali sul lavoro dipendente, quale l’innalzamento della soglia esentasse dei fringe benefit e l’aliquota al 5% sui premi di produzione, prorogata per tre anni fino al 2027. Previsto anche un nuovo benefit esentasse fino a 5mila euro per i neoassunti a basso reddito che si trasferiscono di 100 km.
Cambia il meccanismo del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 35mila euro lordi annui che però diviene strutturale ed allarga la platea portando il benefit, a scalare, anche ai redditi fra i 35 mila ed i 40 mila euro.
Sopra la soglia dei 20mila euro di reddito, la decontribuzione diventa infatti una defiscalizzazione, passa quindi da Inps ad Irpef, in questo modo, non verranno diminuiti i contributi previdenziali, ma si verificherà un abbassamento delle tasse.
Per i redditi compresi tra 20mila e 25mila euro, continuerà ad applicarsi uno sgravio del 7% sui contributi, mentre con riferimento ai redditi tra 25mila e 35mila euro l’ammontare dello sgravio sarà pari al 6%. Questo sistema progressivo mira a scongiurare l’effetto “scalone”, che ha rappresentato un ostacolo per i datori di lavoro, i quali non concedevano aumenti salariali per evitare che gli stessi lavoratori subissero penalizzazioni economiche.
Il tutto dovrebbe determinare una diminuzione delle imposte per coloro che abbiano un reddito annuo fino a 35mila euro. Secondo alcune previsioni, il risparmio mensile dovrebbe essere superiore ai 100 euro. Tuttavia, l’effettiva entità delle riduzioni andrà valutata caso per caso, tenendo conto del reddito di ciascun contribuente.
Il nodo da sciogliere, tuttavia, riguarda le risorse finanziarie, che allo stato sono piuttosto limitate. Ciò potrebbe determinare l’impossibilità di estendere tali misure su larga scala.
L’imposta sui redditi delle persone fisiche, nota come Irpef, a seguito della Riforma Fiscale, ha subito per il solo anno 2024 delle modifiche.
In sostanza diventa strutturale l’accorpamento dei primi due scaglioni, con aliquota al 23% fino a 28.000 euro di reddito, ma nel corso del passaggio parlamentare poterebbe essere ridotta l’aliquota del secondo scaglione dal 35 al 33%, estendendo questa fascia di reddito fino a 60.000 euro, qualora le risorse lo permettano.
L’Irpef è disciplinata dall’articolo 11 del Dpr n. 917/1986, che detta le regole per il calcolo dell’imposta dovuta.
La nuova norma in esame prevede che al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 11, il comma 1, è sostituito dal seguente:
L’imposta lorda è determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10, le seguenti aliquote per scaglioni di reddito:
a) fino a 28.000 euro, 23 per cento;
b) oltre 28.000 euro e fino a 50.000 euro, 35 per cento;
c) oltre 50.000 euro, 43 per cento;
d) all’articolo 13, comma 1, lettera a), le parole «1.880 euro» sono sostituite dalle seguenti: «1.955 euro».
In un comunicato Ansa di ottobre il Ministro ha dichiarato: “Siamo impegnati non solo a confermare il taglio del cuneo e la riduzione delle tre aliquote, ma anche a renderle strutturali negli anni a venire“.
Tra le novità in materia di riforma IRPEF, si nota la modifica al meccanismo delle detrazioni in dichiarazione dei redditi che introduce nuovi tetti massimi di agevolazione utilizzabile (a decremento con il progredire del reddito) ed un quoziente familiare favorevole per i nuclei più numerosi, si parla di due soglie di reddito: 75mila euro e 100mila euro, rapportate al numero dei figli. I tetti massimi di spesa detraibile dovrebbero essere pari, rispettivamente, a 14mila euro e 8mila euro. Resterebbero comunque fuori dal computo le spese sanitarie e quelle dei mutui stipulati entro la fine del 2024.
Fra le novità contestate spicca un taglio agli stipendi dei dirigenti pubblici, la misura inserita riduce il tetto di questi compensi dagli attuali 240mila a 160mila euro. Resterebbero escluse le partecipate quotate in Borsa o che emettono strumenti finanziari scambiati sul mercato, come Cdp o le Ferrovie dello Stato, le autorità amministrative indipendenti come l’Antitrust o l’Agcom, le agenzie fiscali.
La nuova soglia massima si inserisce in un pacchetto di spending review che vede anche un taglio lineare del 5% sulle spese dei Ministeri. Forse più che ridurre gli stipendi ai manager che lavorano bene (lo stipendio serve comunque da attrattore) andrebbe rivisto l’intero sistema di spesa dei Ministeri.
Per quanto concerne le pensioni, sale a 67 anni il limite ordinamentale per il collocamento a riposo d’ufficio di chi ha il requisito contributivo per la pensione anticipata. Viene anche ripristinato il trattenimento in servizio, possibile fino a 70 anni e nei limiti del 10% delle nuove assunzioni autorizzate.
Le misure per la famiglia sono un capitolo fondamentale per il Governo con la reintroduzione del bonus bebè ed il potenziamento del congedo parentale, con l’aumento a tre mensilità retribuite all’80%.
Come anticipato sono tutte misure che nei passaggi alle camere potrebbero subire variazioni, prima fra tutte quelle relative ai compensi dei manager pubblici e per la riforma delle detrazioni.
Mario Vacca
In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it