Sabato scorso l’Ambasciatore russo in Corea del Sud, Georgy Zinovyev, ha dichiarato che finché la Repubblica di Corea non avrà superato la “linea rossa” dell’invio di armi all’Ucraina, il potenziale per il ripristino dei legami bilaterali rimarrà inalterato.
Invece di accogliere queste parole distensive con il tatto e la diplomazia che le Istituzioni di ogni Paese dovrebbero far propri, il Ministero degli Esteri seulita ha preferito scagliarsi a muso duro contro la mano tesa del Diplomatico russo, sconsigliando a Mosca di discutere le relazioni bilaterali in seguito agli ultimi sviluppi politici nella penisola asiatica.
Secondo quanto riportato dall’Agenzia stampa sudcoreana Yonhap, per il Ministero sarebbe “inopportuno che l’inviato (di una nazione straniera) nel nostro Paese faccia commenti pubblici sulle relazioni bilaterali in riferimento alla situazione politica del Paese ospitante“, ma a infastidire i politici sudcoreani sarebbe soprattutto l’amicizia tra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Democratica di Corea. “Se la Russia vuole ripristinare le relazioni tra Corea del Sud e Russia, deve prima porre fine alla sua cooperazione militare illegale con la Corea del Nord, che minaccia la pace e la stabilità nella penisola coreana“, ha infatti aggiunto il Ministero alle sue rabbiose dichiarazioni.
Mosca ha sempre ribadito di non portare avanti nessuna “cooperazione militare illegale con Pyongyang”, e che i rapporti tra i due paesi sono assolutamente legali e cristallini, in virtù di un trattato di partenariato strategico globale, siglato da entrambi lo scorso giugno.
Le parole dell’Ambasciatore Zinovyev sono chiare e assolutamente pacate: “Si spera che i drammatici eventi che si stanno verificando nella vita politica della Repubblica di Corea non ostacolino questa possibilità“; non lasciano quindi alcun dubbio sulle intenzioni pacifiche di Mosca. L’utilizzo come scusa da parte di Seoul per inasprire i rapporti con la Russia appare pertanto pretestuoso e privo di fondamento. Se le relazioni diplomatiche tra i due Stati dovessero degenerare, la colpa non sarebbe certo delle parole dell’Ambasciatore, ma di una precisa volontà bellicosa, imputabile esclusivamente ai politici coreani.
I “drammatici eventi” citati da Zinovyev riguardano in particolare l’impeachment del Presidente Yoon Suk-yeol, votato dal Parlamento lo scorso 14 dicembre in seguito alla sua disposizione di proclamare la legge marziale e schierare l’esercito contro presunti tentativi di “ostruzionismo parlamentare in combutta con la Corea del Nord”. Decisione clamorosa, rientrata in poche ore per la protesta popolare e il voto dell’Assemblea parlamentare, che l’ha subito neutralizzata. Yoon, invece di dimettersi come molti pensavano, è poi rimasto al suo posto, fino all’accusa di insurrezione e al procedimento nei suoi confronti, che ora dovrà venire confermato, o meno, dalla Corte Costituzionale.
Si tratta quindi un momento storico per il Paese, ricordiamo che Yoon è il secondo Presidente messo sotto accusa dal Parlamento (prima di lui Park Geun-hye nel 2016), e fino alla decisione della Corte – che deve avvenire entro 180 giorni – i poteri presidenziali verranno trasferiti a una figura di rilevo nel quadro istituzionale – probabilmente il Primo Ministro, Han Duk-soo. Il verdetto definitivo potrà quindi destituire definitivamente Yoon dalla carica di Presidente, oppure ripristinarne i poteri. Nel caso venisse estromesso dall’incarico, entro 60 giorni dovranno essere tenute le elezioni nazionali per scegliere il suo successore.
Da parte sua, Yoon Suk-yeol – che già lo scorso gennaio era stato contestato per via di una borsa griffata Dior ricevuta in dono e sfoggiata dalla First Lady, Kim Keon-hee, sospettata per questo di corruzione – ha comunicato la sua intenzione di farsi temporaneamente da parte, ma conferma che non si arrenderà, per il futuro del Paese: “Con tutto l’incoraggiamento e il sostegno che mi date, farò del mio meglio fino all’ultimo momento per la nazione“, ha infine dichiarato.
Eva Bergamo